Nel momento in cui due coniugi decidono di separarsi, possono decidere di accordarsi sulle questioni economiche successive alla separazione (es. mantenimento) o su quelle pregresse (divisione dei beni comuni e/o obblighi di restituzione), dando vita a quelli che sono definiti gli accordi intervenuti al fine di regolare le vicende patrimoniali che derivano dalla separazione (o dal divorzio) dei coniugi. In assenza di accordi tra i coniugi sarà il processo che stabilirà queste condizioni.
Risulta evidente che con gli accordi tra i coniugi le parti possono fare riferimento a maggiori opzioni a propria disposizione (es. trasferendo i beni contesi o contestati ai figli), mentre con una sentenza gli schemi utilizzabili sono limitati dalla normativa vincolante per il giudice.
Anche in questo modo, non sono escluse liti per l'interpretazione degli accordi e/o delle sentenze. Basta pensare alla questione posta se le spese ordinarie e straordinarie (a cui potrebbero fare riferimento gli accordi tra i coniugi o le eventuali sentenze di separazione o divorzio) sono solo quelle relative all'unità immobiliare oppure nell'ambito delle spese ordinarie e straordinarie possono essere ricomprese anche le spese ordinarie e straordinarie relative alle parti comuni ex art. 1117 c.c. connesse all'unità immobiliare.
E' facile intuire che per risolvere tale questione occorre interpretare il testo dell'accordo (anche se omologato) dei coniugi o il testo della sentenza che regola le vicende patrimoniali dei coniugi successive alla separazione, occorre, però, sottolineare che diverse sono le regole di interpretazione di un accordo tra i coniugi e di una sentenza che regola la medesima fattispecie.
Infatti, l'interpretazione del giudicato che ah regolato i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi va eseguita applicando le regole ermeneutiche previste per gli atti normativi e non quelle previste per gli atti negoziali e che il criterio letterale ha, tra le prime, un ruolo prevalente, nel senso che, ove l'applicazione di tale criterio conduca a un risultato ermeneutico incontrovertibile, il compito dell'interprete deve ritenersi esaurito, senza necessità di ricorrere al criterio sussidiario della mens legis.
Le differenti norme interpretative relative ai diversi atti (negoziale o giurisdizionale) non risolvono (da sole) al questione se le spese ordinarie e straordinarie si riferiscono solo alle spese strettamente imputabili all'unità immobiliare o comprendono anche le spese ordinarie e straordinarie relative ai beni condominiali (ex art. 1117 cc) legati alla singola unità immobiliare da un rapporto (pertinenziale) funzionale o materiale.
In assenza di un espressa, chiara e precisa distinzione tra le due spese e in assenza di una chiara, espressa e precisa esclusione delle spese condominiali, non è sostenibile che tra le spese ordinarie e straordinarie relative ad un immobile non possano ricomprendersi anche le spese condominiali.
Vero è invece il contrario, essendo il carattere della ordinarietà o straordinarietà del tutto indipendente dal carattere condominiale o individuale delle spese inerenti ad un immobile. Ciò che conta è, appunto, l'inerenza a quest'ultimo, e non è vero che tale inerenza difetti, quanto alle spese condominiali, per il solo fatto che esse attengono alle parti comuni dell'immobile, piuttosto che alle singole unità di proprietà individuale: vi osta la stretta connessione delle parti di proprietà comune con quelle di proprietà individuale. Del resto le stesse spese condominiali sono suscettibili di essere qualificate, a seconda dei casi, come ordinarie o straordinarie.
Le spese ordinarie e straordinarie inerenti agli immobili comprendono anche le spese condominiali perché queste ultime sono tipicamente pertinenti alle prime (in assenza di un diverso, chiaro, espresso accordo delle parti sul punto o di una diversa, chiara ed espressa statuizione della sentenza sul punto).
Cass., civ. sez. I, del 28 maggio 2015, n. 11024 in pdf