La revocazione delle donazioni: casi, limiti, questioni
Questo articolo è a cura del Dott. Piergiorgio Castellano, laureato presso l'Università L. Bocconi di Milano in Economia e legislazione per l'impresa e laureato in Giurisprudenza presso la stessa Università L. Bocconi di Milano, autore di contributi per importanti riviste notarili. Si occupa in Taranto di trasferimenti immobiliari e di problematiche inerenti l'attività notarile.
Revocazione delle donazioni: casi, limiti, questioni
Introduzione
La donazione è il contratto attraverso il quale un soggetto determina l’arricchimento di un altro soggetto “per spirito di liberalità”, quindi in modo del tutto disinteressato, senza pretendere alcunché in cambio e senza essere influenzato da determinati costumi sociali. Questa delineata spontaneità, che viene a colorare e qualificare la causa liberale della donazione, non arriva però a spingersi fino al punto di lasciare il beneficiario del tutto svincolato da un sia pur minimo vincolo di riconoscenza e di rispetto verso il donante che è stato l’autore del suo gratuito arricchimento.
Nello stesso tempo, la contrattualità dell’attribuzione e la definitività dello spoglio non possono nemmeno permettere – secondo la preoccupazione del Legislatore – un depauperamento del patrimonio del donante e della sua famiglia nel momento in cui a costui sopraggiungano dei figli.
A queste due esigenze fanno fronte i rimedi della revocazione delle donazioni per ingratitudine e per sopravvenienza di figli. Si tratta di due rimedi eccezionali, previsti in particolare per il contratto di donazione, in forza dei quali la definitività dell’attribuzione viene sacrificata a fronte di interessi del donante ritenuti superiori a quello del donatario, secondo la valutazione espressa dal Legislatore.
Natura dell’istituto
Occorre preliminarmente precisare che l’istituto in questione è un rimedio previsto per le sole donazioni, con ciò intendendo escludere dalla sua portata tutti quegli atti gratuiti che però divergono dallo spirito liberale e spontaneo della donazione in quanto determinati da convenzioni sociali (ad esempio si pensi alle regalie in occasione di ricorrenze) o da un intento rimunetorio a fronte di servizi ricevuti dal donatario o dalla necessità di provvedere al mantenimento, educazione, abbigliamento e formazione professionale dei figli. Ulteriore limite è fissato nelle donazioni compiute in occasione di un matrimonio: deroga disposta al fine di salvaguardare gli interessi della neo-costituita famiglia, evitando di menomarne la dotazione patrimoniale.
Al di fuori di questi limiti, può operare l’istituto della revocazione, nella sua duplice accezione di revocazione per sopravvenienza di figli e di revocazione per ingratitudine.
Va ricordato, però, che il rimedio in questione non presenta i connotati dell’automaticità come invece il rimedio “gemello” della revocazione per sopravvenienza di figli in ambito testamentario. Infatti, è sempre necessario che l’interessato – che sarà il donante o i suoi eredi – esperiscano un’azione giudiziale, spettando quindi solo al giudice il potere di “sciogliere” il contratto di donazione in presenza dei succitati presupposti. La domanda di revocazione è poi soggetta a stringenti limiti temporali di decadenza: un anno dal giorno in cui si è venuti a conoscenza della causa di revocazione per ingratitudine; cinque anni dalla nascita dell’ultimo figlio o discendente legittimo o dalla notizia della sua esistenza o dal riconoscimento di un figlio naturale. In quest’ultimo caso – a dimostrazione che l’interesse tutelato del Legislatore è strettamente legato alla sopravvenienza di un figlio – la legge dispone che non si possa proporre o proseguire l’azione di revoca dopo la morte di detto figlio.
La revocazione si pone, inoltre, come normativa di interesse pubblico: infatti il Legislatore ha stabilito l’invalidità di un’eventuale rinunzia preventiva all’azione.
Quanto agli effetti di detta azione, l’inefficacia dell’atto di donazione, che ne deriva, permette un rimedio recuperatorio sui beni donati, sempre che questi non siano stati medio tempore alienati. Infatti, in caso di alienazione o di costituzione di diritti reali, gli acquisti compiuti dai terzi sono salvi e il donatario è tenuto a restituire l’equivalente monetario o a indennizzare il donante, con la precisazione, però, che, in caso di acquisti soggetti a trascrizione o iscrizione, i terzi potranno prevalere solo se la formalità pubblicitaria inerente il proprio atto risulti eseguita anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale di revocazione.
Revocazione per sopravvenienza di figli
In questa fattispecie assume rilievo innanzitutto l’inesistenza di figli o discendenti legittimi o l’ignoranza di averne: circostanza da verificarsi al momento della donazione. Ai figli legittimi devono essere equiparati i figli minorenni adottati, in quanto trattasi di adozione legittimante (disciplinata dalla L. 184/83), tale cioè da parificare la posizione dei secondi ai primi. Al contrario, nel silenzio della legge – che sul punto si connota come norma eccezionale e quindi di stretta interpretazione – l’adozione dei maggiorenni, ossia quella disciplinata dagli artt. 291 segg. c.c., non può ritenersi causa di revocazione della donazione (come recentemente ribadito da Cass. 4 maggio 2012, n. 6761). Ugualmente non sarà causa di revocazione la sopravvenuta legittimazione di un figlio naturale, non essendo essa citata dal legislatore, a differenza di quanto previsto dalla norma parallela in materia testamentaria (art. 687 c.c.), così come per l’ipotesi appena affrontata dell’adozione di maggiorenne.
Quanto alla filiazione naturale, essa assume rilievo solo ove c’è stato un riconoscimento del figlio naturale ignorato dal testatore al momento della donazione oppure, similmente a quanto rilevato da dottrina e giurisprudenza in ambito testamentario, qualora vi sia stato un riconoscimento giudiziale di paternità o maternità naturale.
Altra peculiarità è l’esclusione dalle cause di revocazione della sopravvenienza di discendenti naturali: peculiarità che si spiega in considerazione del fatto che gli effetti del riconoscimento rimangono limitati, salvo alcune eccezioni, al genitore che l’ha compiuto (in questo caso il figlio premorto del donante).
Vale, infine, ricordare che la revocazione è esclusa se il donante aveva già un figlio al momento della donazione e di seguito ne sopraggiungono altri. Al contrario non è esclusa se il figlio è solo concepito al momento della donazione, in quanto l’evento rilevante ai fini che qui interessano è la nascita.
Revocazione per ingratitudine
Questa seconda ipotesi di revocazione è di più difficile applicazione in quanto richiede preliminarmente di definire il concetto di ingratitudine. Il codice civile, all’art. 801, prevede diverse ipotesi: tutte riferite all’arco temporale successivo alla donazione, non avendo invece rilevanza i medesimi comportamenti compiuti prima del perfezionamento della liberalità.
In primis il codice rimanda ai fatti di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 463 c.c.: cioè a quei fatti, penalmente rilevanti (omicidio o tentato omicidio, calunnia, falsa testimonianza e altre ipotesi cui si applicherebbero le disposizioni sull’omicidio), compiuti verso il donante o il suo coniuge o un suo ascendente o discendente. Ulteriore ipotesi è quella del rifiuto ingiustificato di prestare gli alimenti a favore del donante: qui il rimando è agli artt. 433 e 436 che sanciscono l’obbligo di prestazione alimentare in via graduata a carico dei più stretti congiunti della persona che viene a trovarsi in stato di bisogno. In quest’ambito è interessante notare che la revocazione viene collegata all’inadempimento dell’obbligo alimentare compiuto da un donatario che sia anche un familiare del donante (coniuge, discendente, genitore, genero, nuora, suocero …). Viceversa, non essendo richiamato l’art. 437 c.c., non è causa di revocazione la mancata somministrazione degli alimenti qualora essa avvenga da parte di un donatario non legato al donante dai vincoli di parentela o affinità o adozione di cui ai predetti artt. 433 e 436 c.c.
Infine, vanno considerate le due ipotesi più problematiche di revocazione per ingratitudine: l’ingiuria grave verso il donante e il grave pregiudizio arrecato al suo patrimonio. La difficoltà applicativa di queste fattispecie è espressione a sua volta della difficoltà di delimitare i concetti di “grave ingiuria” o di “grave pregiudizio patrimoniale”: un compito che, com’è evidente, viene dalla legge demandato alla sensibilità del giudice, alla luce delle peculiarità del singolo caso concreto. Il legislatore non ha qui operato un rinvio ad altre nome, ad esempio di matrice penale, al fine di qualificare queste cause di revoca. È logico concludere, quindi, che esse dovranno essere definite in modo autonomo, calandole nello specifico contesto dei rapporti tra donante e donatario, cioè come particolare strumento di reazione predisposto dall’ordinamento a fronte di atti lesivi della dignità e del patrimonio di un soggetto che spontaneamente si è spogliato di alcuni suoi beni a favore dell’autore stesso del fatto lesivo.
La posizione della giurisprudenza
Un ausilio al tentativo di dare concretezza a queste ipotesi di revocazione potrà venire da una breve rassegna di giurisprudenza, limitata agli orientamenti più recenti.
Cass. 21 maggio 2012 n. 8018 si concentra sull’aspetto temporale e sottolinea che l’ingiuria grave va intesa “come un comportamento non isolato”; comportamento che, per la sua lesività nei confronti della sfera morale del donante non può consistere nel rifiuto del donatario di prestare qualsiasi forma di aiuto e di assistenza al donante, che pure aveva fatto reiterate richieste in tal senso, “essendo al riguardo necessario un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario tale da ripugnare alla coscienza comune” (Cass. 10 novembre 2011, n. 23545). L’ingiuria grave richiesta ai fini della revocazione, tuttavia, non coincide con la fattispecie rilevante penalmente: “pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod. pen. e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva” (Cass. 31 marzo 2011, n. 7487). Di conseguenza, come è da escludersi l’ingiuria per i sentimenti di acrimonia tra donante e famiglia del donatario (Cass. 10 novembre 2011, n. 23545), ugualmente è da escludersi per il comportamento del donatario che, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i due genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, aveva invitato il padre, con una lettera formale, a lasciare l’immobile di sua proprietà, destinato a casa familiare, acquistato con il denaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna” (Cass. 31 marzo 2011, n. 7487).
Al contrario costituisce ingiuria rilevante ai fini della revocazione quella consistente “nella grave violazione dei doveri coniugali ed in particolare, come nella specie, nell’adulterio” (Trib. Bassano del Grappa, 27 febbraio 2010). Viceversa non può essere considerata ingiuria né “il rifiuto di acconsentire alla richiesta del donante di vendita dell’immobile oggetto di donazione (tale richiesta equivalendo a una pretesa di restituzione del bene legittimamente rifiutata indipendentemente dai motivi della stessa), né quei comportamenti di reazione legittima (perché attuata attraverso gli strumenti offerti dall’ordinamento) a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla” (Cass. 16 marzo 2004, n. 5333), né “il fatto della donataria, consistito nell’aver proposto querela contro il donante per lesioni personali sulla base di indizi, poi risultati insufficienti a sorreggere l’accusa; e nell’avere intentato contro il donatario una causa civile, nella quale era rimasta soccombente” (Cass. 5 novembre 2001, n. 13632), né il “comportamento del donatario che aveva schiaffeggiato per due volte la madre donante, essendo l’episodio maturato a seguito di provocazione in un contesto di rapporti familiari deteriorati per contrasti riconducibili alle scelte di vita del donatario, disapprovate dai genitori donanti” (Cass. 5 aprile 2005, n. 7033).
Quanto, infine, alla revocazione per grave pregiudizio al patrimonio del donante, è stato sottolineato in dottrina che la fattispecie potrà dirsi integrata solo quando il donatario pone in essere un danno effettivo al patrimonio del donante e non un mero pericolo di danno. Il pregiudizio dovrà essere “oggettivamente idoneo ad arrecare notevole offesa o danno” (App. Roma, 12 luglio 1990) al patrimonio del donante e dovrà essere stato causato con dolo da parte del donatario, ossia con “malvagio proponimento di danneggiare il donante” (Trib. Bologna 27 aprile 2004).
Dott. Piergiorgio Castellano