La legittimazione (il diritto) di partecipare alle riunioni di condominio è un tema che non viene molto approfondito, anche se presenta notevoli conseguenze concrete, basta pensare a tutta la questione relativa alla validità dell'assemblea per la mancata convocazione di uno dei proprietari.
La legittimazione alla partecipazione in assemblea deve essere distinto in due aspetti, il diritto di essere convocato in assemblea e il diritto di partecipare in assemblea; anche se, di solito, questi due aspetti coincidono, (colui che viene convocato in assemblea è anche colui che partecipa alla riunione), nulla esclude che colui che viene convocato decide di partecipare in assemblea mediante un altro soggetto usando la c.d. procura o delega assembleare (perché, ad esempio, malato). Questa dicotomia è applicabile sia nel condominio, sia nel supercondominio, sia nel condominio minimo o parziale.
E' opportuno subito chiarire che la delega assembleare non incide sulla legittimazione ad essere convocato, nel senso che la delega per partecipare alle assemblee rientra nell'ambito della rappresentanza, con la conseguenza che la legittimazione ad essere convocato non si trasferisce sul rappresentante, quindi, se è stata effettuata una errata convocazione (c.d. carenza di legittimazione ad essere convocato) la delega non sana la mancanza di legittimazione ad essere convocato.
Focalizzando l'attenzione sul diritto ad essere convocato in assemblea, questo spetta al proprietario, cioè a colui che è effettivamente proprietario nel momento in cui è inviata la convocazione (è opportuno chiarire che in alcune ipotesi devono essere convocati anche gli usufruttuari e i conduttori).
In queste situazioni sorge la questione sul soggetto obbligato a verificare il corretto esercizio del diritto/dovere di effettuare una valida convocazione, in altri termini, occorre valutare se in presenza di un cambio di proprietà dell'immobile è obbligo dell'amministratore di condominio o del singolo (nuovo) proprietario comunicare l'acquisto dell'unità immobiliare. Inoltre, occorre anche valutare se in presenza di un soggetto che si dichiari (ed appaia) proprietario aspetta all'amministratore di condominio di verificare la veridicità delle affermazioni relative ai titoli di proprietà.
La riforma del condominio ha, di fatto, imposto al vecchio proprietario di informare l'amministratore del trasferimento della proprietà, sanzionando questa mancata comunicazione con la responsabilità per gli oneri condominiali sorti dopo il trasferimento, infatti, l'art. 63 disp. att. c.c. prevede che "chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto".
Fuori da questo aspetto che (indirettamente) impone un obbligo di comunicazione, resta a carico dell'amministratore verificare il coretto adempimento dell'obbligo di convocazione, l'esistenza di questo obbligo si comprende meglio nelle ipotesi in cui un soggetto si comporta da proprietario (dichiara di essere proprietario), viene convocato alle assemblee in quanto apparente proprietario, alle riunioni condominiali partecipa sempre l'apparente proprietario, comportandosi come titolare del diritto di proprietà dei locali posti nel condominio, mentre il reale proprietario non aveva mai comunicato di essere l'effettivo proprietario ingenerando (e rafforzando) con il suo comportamento il ragionevole convincimento negli organi condominiali la situazione di apparenza della proprietà.
Risulta evidente che in questa situazione occorre valutare se il comportamento omissivo del proprietario reale può essere una scriminate (una giustificazione per il condominio) nel momento in cui il verbale di assemblea è impugnato ex art. 1137 c.c. (da parte del proprietario reale non convocato) per la mancata convocazione di tutti i proprietari.
Nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condomini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo (la sanzione rimane l'annullabilità del verbale di assemblea, l'unica sanzione prevista per l'omessa comunicazione del cambio di proprietà è la responsabilità solidale per le spese condominiali sorte dopo il trasferimento dell'immobile).
Inoltre, non è applicabile il principio dell'apparenza di diritto, infatti, nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, mancano le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.
D'altra parte, ed in generale, la tutela dell'apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l'effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all'operatività del principio dell'apparenza: pubblicità ed apparenza sono, infatti, istituti che si completano l'un l'altro, rispondenti alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma proprio per ciò stesso alternativi. La tutela dell'apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità.
E' opportuno precisare che neppure il libro anagrafe condominiale può sopperire ai controlli presso la conservatoria dei registri immobiliare, posto che il libro anagrafe condominiale non è in alcun modo equiparabile al libro soci previsto nelle società.
Cass., civ. sez. II, del 30 aprile 2015, n. 8824 in pdf