La mediazione obbligatoria, che gioie e dolori suscita in base ai diversi punti di vista e che necessita di notevoli correttivi per poter fornire dei frutti (è sostanzialmente inesistente il controllo sugli enti di mediazione), a fronte di risultati (concreti) alquanto scarsi, presenta notevoli problemi.
Basta pensare alla sospensione dei termini (di prescrizione e decadenza) non con la presentazione dell'istanza di mediazione, ma con la ricezione dell'invito di mediazione da parte del convenuto in mediazione.
Oppure si potrebbe pensare alla norma della mediazione obbligatoria che prevede per i decreti ingiuntivi l'inizio della mediazione solo dopo l'udienza (di solito la prima) che decide sulla sospensione dell'esecutività del decreto ingiuntivo,
- senza, però, indicare a quale soggetto spetta l'onere di iniziare la mediazione, se, cioè spetta al creditore che ha richiesto il decreto ingiuntivo oppure al debitore che ha notificato l'opposizione
- e senza specificare le conseguenze derivanti dalla mancata attivazione della mediazione, se, cioè, viene meno tutto il procedimento compreso il decreto ingiuntivo, oppure, viene meno solo l'opposizione e resta in vita il decreto ingiuntivo.
Per risolvere il problema occorre individuare la ratio (la funzione) dell'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 ed occorre interpretare tale norma in modo conforme alla sua ratio.
Si potrebbe dire che la norma sulla mediazione obbligatoria è stata costruita (in teoria) in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell'efficienza processuale (in pratica, oggi, è un mero un ulteriore adempimento burocratico, ma questo aspetto riguarda l'operatività dell'istituto). In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per così dire – a rendere il processo la extrema ratio: cioè l'ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.
Quindi l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo.
Il problema, in questo contesto, è dato dal fatto che esistono due soggetti che hanno interesse al processo, il primo, il creditore, che ha iniziato il procedimento del decreto ingiuntivo, il secondo il debitore, che ha iniziato il procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo.
Inoltre, nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo sussiste una ulteriore difficoltà derivante dall'inversione, nell'ambito processuale, delle posizioni assunte nel rapporto sostanziale, in altri termini, esistono due rapporto a cui si può fare riferimento (sostanziale e processuale) in base ai quali variano i soggetti interessati al procedimento giudiziario. Infatti, se si analizza il rapporto sostanziale l'interesse al procedimento è del creditore (interesse estinto con il decreto ingiuntivo), se, invece, si analizza il rapporto processuale interesse all'opposizione è del debitore (diretto ad eliminare il decreto ingiuntivo). Quindi, nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell'onere di attivare la mediazione obbligatoria deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l'opposto nel giudizio di opposizione.
Questa situazione, ove si tenesse in considerazione solo il rapporto sostanziale, senza considerare il rapporto processuale, potrebbe portare ad un errato automatismo logico per cui si dovrebbe individuare nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente diventa attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l'onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell'interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta.
Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l'attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell'efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E' l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E' dunque sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.
La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
Quanto alle conseguenze derivanti dalla mancata attivazione del procedimento di mediazione, se, dunque, è l'opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione, ne discende che dalla mancata attuazione della procedimento di mediazione discende il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.
Soltanto quando l'opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l'onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l'opposizione sarà improcedibile.
Cass., civ. sez. II, del 3 dicembre 2015, n. 24629 in pdf