L'art. 5 della legge n. 898 del 1 dicembre 1970 (legge divorzio) ai commi 6, 7, 8, 9, 10 regola quello che comunemente viene denominato comunemente come assegno di "mantenimento" per il coniuge divorziato.
In particolare il testo di legge sul divorzio prevede che il Tribunale "con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze"
La legge sul divorzio individua i casi in cui è possibile che un coniuge versi all'altro un assegno per provvedere al proprio sostentamento (l'assegno è previsto nei casi in cui un coniuge non ha adeguati mezzi di sostentamento o quando per ragioni oggettive non può procurarseli), la stessa legge stabilisce anche quando un tale obbligo viene meno, ovviamente, viene meno quando il coniuge riesce a procurasi autonomamente il sostentamento o quando passa a nuove nozze.
Anche se il legislatore ha fornito un canovaccio su cui orientarsi al fine di stabilire se l'assegno è dovuto o meno, la vita concreta presenta sempre delle vicende che permettono di ripensare completamente all'interpretazione che viene data alla norma di legge. In particolare, ci si riferisce alla locuzione "il coniuge non può procurarsi i mezzi di sostentamento per ragioni oggettive", ora, per ragioni oggettive si intende, sicuramente, una malattia fisica completametne invalidante che impesce lo svolgimento del lavoro, oppure, la perdita repentina del posto di lavoro per il fallimento del datore di lavoro. Resta da compredere se una malattia non fisica, ma psichica (come ad esempio, l'esaurimento nervoso) rientri o meno in quelle ragioni oggettive che impediscono di trovare i mezzi di sostentamento e che giustificano la corresponsione dell'assegno da un coniuge ad un altro.
E' di tutta evidenza che tra le tante malattie psichiche alcune possono dirsi effettivametne oggettive (si pensi a quelle che determinano incapacità di intendere e volere a cui consegue la nomina di un tutore o di un amministratore di sostegno con funzioni di rappresentanza totale dell'assistito), altre malattie psichiche sono tutto tranne che oggettive, (nel senso che possono facilemtne essere simulate) e, si può anche dire che già la loro diagnosi e "valutazione" dipendono da scelta "personale" del singolo medico e, quindi, possono dirsi soggettive ab origine, cominciando, proprio dalla fase di diagnosi, si pensi, ad esempio, alla c.d. "depressione".
E', ovvio, che lo stato di depressione (o una malattia psichica "soggettiva") può avere tanti gradi di "gravità", ma, anche presupponendo un stato tanto grave di depressione, tale da rendere impossibile qualsiasi tipo di attività lavorativa, sarebbe lecito chiedersi se alla corresponsione di un assegno divorzile non debba anche essere legata anche la nomina di un amministratore di sostegno, posto che se la persona è affetta da una forma tanto grave di depressione tale che non le permette di lavorare, logica conseguenza è che difficilmente la stessa persona sarà in grado di gestire in modo autonomo e diretto la somma ricevuta per il proprio mantenimento.
In poche parole, si è in presenza di due facce della stessa medaglia e non è possibile riconoscere un assegno divorzile sulla base di una malattia psichica (così grave che oggettivamente impedisce di procurasi in modo autonomo i mezzi di sostentamento) senza chiedersi se la medesima persona affetta dalla medesima malattia sia in grado di gestire tale somma di denaro in modo autonomo, del resto, è difficile immaginare una malattia psichica così grave da impedire di procurasi il lavoro o di lavorare, ma che colpisce solo la capacità di procurarsi delle entrate in modo autonomo e non colpisce anche la capacità di spesa (e che colpisce anche la capacità di una persona aver cura di se stessa in modo autonomo).
Cassazione, civ. sez. I, 12 dicembre 2012 n. 22752
Col secondo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione su punto decisivo della controversia rappresentato dall'impossibilità di controparte di procurarsi i mezzi adeguati per ragioni oggettive, considerando l’irrilevanza della sindrome depressiva sulla capacità lavorative della G. e la sua volontaria cancellazione dalle liste collocamento, entrambi dedotti ed adeguatamente documentati in atti.Il motivo è inammissibile. La Corte del merito ha esaminato le circostanze dedotte in giudizio, compresi i fatti cui si riferisce la censura, nel coacervo delle complessive evenienze istruttorie. Ha infatti preso in considerazione le contestazioni circa l’impossibilità oggettiva di reperimento di attività lavorativa ascrivibile ad inerzia della G. , la non incidenza della sua mancata qualificazione professionale, l'influenza della sindrome depressiva riscontrata sulla sua capacità lavorativa, e le ha quindi sottoposto a vaglio critico in chiave concreta, tenendo conto della situazione del mercato, dell'età e della condizione della stessa, residente in zona periferica non ben servita da mezzi pubblici. L'apprezzamento di queste circostanze, valutate nel loro complesso e non atomisticamente, risulta puntualmente argomentato e la sintesi ricostruttiva tratta all'esito è illustrata con esauriente tessuto motivazionale. Il mezzo in esame induce alla rivisitazione di questo percorso critico che, attesa la riscontrata puntualità del tessuto motivazionale sottostante, è preclusa a questa Corte.
Analoga sorte meritano il terzo e quarto motivo con cui il ricorrente deduce violazione dell'art. 5 della legge n. 897/1970 ed ancora vizio d'insufficiente motivazione sia in ordine alle opportunità di lavoro rifiutate dalla G. , che ha cessato la sua attività all'età di 34 anni e ben poteva, così come ha fatto nel periodo in cui ha lavorato, raggiungere il posto di lavoro essendo munita di patente di guida, sia in ordine alle asserite ma immotivate considerazioni circa le opportunità che offre il mercato del lavoro, sia infine in relazione all'asserita oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati nel caso considerato.