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L’eurocrazia e le soluzioni alla crisi economica

La crisi economica attuale è colpa delle scelte giuridiche ed economiche compiute in passato ? In una situazione come quella attuale si può parlare di “Eurocrazia” ? Un bilancio degli ultimi 20 anni di Unione Europea.
A cura di Redazione Diritto
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Questo articolo è a cura dell’Avvocato Giuseppe Palma del Foro  di Brindisi. Appassionato di storia e di diritto, ha sinora  pubblicato  numerose  opere di saggistica a carattere storico – giuridico. 

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EUROCRAZIA: 

LA DITTATURA DELL’EUROPA E DELL’EURO

SOLUZIONI ALLA CRISI ECONOMICA

E MANIFESTO CULTURALE CONTRO IL NUOVO Ancien Régime EUROPEO.

Quanta speranza negli occhi di noi ragazzi del 78’ che, nel settembre del 1992, iniziavamo il primo anno di scuola superiore! Quanta speranza nelle parole Europa e Popoli! Quanti pomeriggi sottratti ai giri in motorino per partecipare ai progetti scolastici europei!

Ma oggi, trascorsi poco più di vent’anni dal Trattato di Maastricht, quella speranza si è trasformata in un giogo d’acciaio posto attorno al collo della libertà!

I parametri forcaioli che qualche politico nostrano (fin troppo consapevole) ha accettato di sottoscrivere perché il nostro Paese facesse parte sin da subito di un progetto europeo senza testa e con tante code, rappresentano oggi la condanna a morte dell’Italia – il Paese più bello del mondo -, ridotto dai ciechi ed ipocriti “Europeisti a tutti i costi” a svendere le proprie meraviglie ed i frutti di una vita alle multinazionali straniere! Penso agli italiani del nord nati prima della fine della guerra, che con appena la quinta elementare hanno creato dal nulla – con la sola meravigliosa forza della fantasia – officine e piccole botteghe familiari successivamente trasformatesi in fabbriche vere e proprie, spina dorsale di un intero Paese che hanno dato lavoro a milioni di persone! Penso ai contadini del sud nati nei primi decenni del Secolo scorso,  che con appena la seconda elementare (chi aveva la quinta era considerato un “uomo di lettere”) facevano sacrifici indicibili per mandare i propri figli più capaci all’Università: in quel modo avrebbero evitato a questi una vita di stenti come quella che avevano fatto loro…ma all’epoca la laurea valeva molto! Un laureato – oltre a godere del rispetto dell’intera comunità – un lavoro dignitoso lo trovava comunque! E questo i contadini lo sapevano bene… quella era la loro Repubblica!

Poi sono arrivati i “dottorini”, i “professoroni”, gli “europeisti” e i “tecnici”, quelli che hanno tre lauree, cinque Master, che insegnano all’Università, che sanno l’inglese alla perfezione e che hanno fatto esperienza all’estero, i quali ci hanno convinto che un’unione monetaria ci avrebbe fatto diventare più ricchi e che la povertà nel Vecchio Continente sarebbe stata definitivamente debellata, che saremmo stati tutti insieme come in una sorta di Paradiso economico eterno!

E se qualche scettico si opponeva a questo progetto di folle unificazione (un’unione monetaria non può funzionare senza una forte unione politica che si assuma la responsabilità di prendere decisioni sovrane), ecco pronti gli ipocriti e gli assoldati a reagire con la solita arma: la denigrazione morale, culturale ed intellettuale di coloro che la pensano diversamente! Ricordo che, fino a pochissimo tempo fa, chi si permetteva di mettere in discussione il collante dell’Unione Europea veniva immediatamente additato come un “fascista” ignorante, come un soggetto pericoloso addirittura per la democrazia!

Poi è iniziata la più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni, e tutti i limiti di un progetto folle sono venuti alla luce! E, ciononostante, ancora oggi quegli stessi ipocriti – che appartengono alla nuova Intellighenzia europeista – continuano a ghettizzare culturalmente chi critica il progetto europeo così come finora concepito!

Ma come siamo arrivati a questo punto? Partiamo dall’inizio.

Recita l’art. 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La chiave di lettura è nella parte della disposizione costituzionale che dice: “[…] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Unione Europea trova pertanto il proprio embrione giuridico (per quanto riguarda ovviamente la posizione del nostro Paese) in quest’ultimo frammento della disposizione costituzionale di cui all’art. 11, ma, come il lettore potrà rendersi conto, tali limitazioni alla sovranità nazionale sono fortemente circoscritte a due rigidi requisiti: 1) le condizioni di parità con gli altri Stati; 2) la necessità di assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Nell’attuazione di tale disposizione, inizialmente interpretata in favore di organizzazioni internazionali che avessero la mera finalità di garantire la pace e la giustizia fra le Nazioni e non per uno specifico progetto europeo, è successivamente servita quale trampolino di lancio per l’Unione Europea, ma qualcosa – da un punto di vista strutturale – non ha funzionato.

E la responsabilità non è certo dei Padri Costituenti!

Gli ipocriti “Europeisti a tutti i costi”, sfruttando la loro sedicente credibilità internazionale (è facile essere credibili tra chi la pensa alla stessa maniera), hanno pertanto dato vita ad un’unione monetaria senza passare dalla necessaria unione politica, e ciò ha generato una falla mortale all’interno della struttura europea: se fino a qualche decennio fa ciascuno Stato nazionale – dotato della necessaria sovranità monetaria -, attraverso il potere di stampare nuova carta moneta e di non dover rispettare parametri forcaioli si faceva garante sia del debito pubblico sia delle condizioni sociali dei propri cittadini, dall’entrata in vigore della moneta unica qualcosa non ha più funzionato! La totale perdita di sovranità monetaria nazionale (frettolosamente ceduta ad un gruppo ristretto di sconosciuti burocrati di chissà quale organismo europeo), abbinata alla tenaglia del parametro del 3% nel rapporto deficit-PIL,  ha posto gli Stati nazionali con maggiori difficoltà (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo ed anche la Francia) nel dover fare i conti con una situazione insostenibile. Con il cocktail esplosivo rappresentato da debiti pubblici nazionali altissimi e una situazione recessiva pesantissima (il PIL di parecchi Paesi è sceso per più anni sotto lo zero), alcuni Stati – tra cui l’Italia –, non potendo sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit-PIL (e non potendo stampare nuova carta moneta), si sono trovati costretti a non poter assumere decisioni choc per far ripartire l’economia (le quali avrebbero sicuramente avuto un costo notevole ma necessario) perché altrimenti si sarebbero sforati i parametri sopra citati. Il problema è, seppur sommariamente, proprio questo! E, come se ciò non fosse già di per sé sufficiente a rovinare una Nazione, il 2 marzo 2012 venticinque Stati dell’Unione europea (compresa l’Italia e ad eccezione, guarda caso, proprio del Regno Unito che è uno dei pochi Stati che sin dall’entrata in vigore dell’Euro aveva deciso di mantenere la sovranità monetaria) hanno sottoscritto il cosiddetto Fiscal Compact (Patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), un Trattato internazionale folle e dannoso che prevede – tra le altre cose – l’obbligo per gli Stati firmatari di recepire nei propri ordinamenti nazionali alcuni vincoli assurdi quali ad esempio: 1) l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; 2) una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5%) all’anno fino al raggiungimento del rapporto del 60% sul PIL nell’arco di vent’anni; 3) l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL. Tre misure che hanno condannato a morte soprattutto l’Italia! Ma i nostri politici (in quel caso “tecnici” e “professoroni”), riempiendosi la bocca con parole come sobrietà e credibilità, sono stati tra i primi a firmare la condanna a morte dei loro cittadini. E con una rapidità quasi miracolosa (praticamente nell’arco di qualche settimana), il Parlamento italiano – sordo e schiavo – ha inserito in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio (art. 81 Cost.). Nulla di più folle…

che Dio li perdoni!

Per quanto riguarda il Patto di bilancio europeo (Fiscal Compact), sul sito web dell’enciclopedia libera Wikipedia è riportata la seguente critica: «I premi Nobel per l'economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al Presidente Obama, hanno affermato che "Inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose"; soprattutto questo "avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale (per concomitante diminuzione del PIL) e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno dunque aumentare il deficit pubblico, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e quindi del potere di acquisto (che influiscono sul consumo o domanda di beni o servizi)". Nell'attuale fase dell'economia, continuano, "è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole". Nell'appello si afferma che "anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo". Infine si afferma che "un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza". Critico anche l'economista e premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l'inserimento in costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione dello stato sociale»[1].

Ma dov’erano i nostri politici e i nostri tecnici quando i Premi Nobel argomentavano così chiaramente le loro critiche contro gli scellerati vincoli del Fiscal Compact?

In una situazione di grave crisi economica come quella che ancora oggi attanaglia il nostro meraviglioso Paese, sarebbe stato invece necessario – se non addirittura indispensabile – che l’Italia avesse assunto decisioni choc che mirassero a far ripartire l’economia reale ed il lavoro, quindi i consumi delle famiglie e gli investimenti; e ciò è ancora possibile – a mio modesto parere – attraverso i seguenti strumenti:

A)    L’allentamento – con un accordo comune sottoscritto da tutti i Paesi dell’Unione Europea firmatari dei Trattati – della morsa dei parametri di Maastricht, come ad esempio consentire agli Stati in difficoltà di sforare ampiamente – e per un considerevole numero di anni – l’attuale parametro deficit-PIL. E medesima necessità di allentamento si renderebbe necessaria anche in merito ai parametri forcaioli previsti dal Fiscal Compact, i quali, sempre a mio parere, andrebbero integralmente abrogati! Tuttavia, da un punto di vista giuridico – trattandosi di Trattati internazionali e quindi nel rispetto del principio pacta sunt servanda –, sarebbe necessario l’accordo tra tutti gli Stati firmatari in deroga a quanto precedentemente stipulato.

B)    L’allentamento della morsa dei parametri come sopra specificato senza passare necessariamente dalla modifica dei Trattati ma godendo – qualora tutti gli Stati firmatari fossero d’accordo – di una deroga pro tempore concessa dall’Unione Europea agli Stati con maggiori difficoltà.

C)    La violazione dei Trattati internazionali, quindi lo sforamento non autorizzato del parametro deficit-PIL e il non rispetto dei vincoli stabiliti dal Fiscal Compact. Qualora si adottasse quest’ultima soluzione, ci sarebbero comunque pesanti sanzioni inflitte dai burocrati di Bruxelles, ma – di fronte alla gravissima situazione come quella in cui versa attualmente l’Italia – meglio violare i patti che far morire la propria gente e le proprie eccellenze… Del resto, ed è bene sottolinearlo, nessuno potrà mai cacciare l’Italia dall’Unione Europea, in quanto: 1) l’Italia, oltre ad essere uno dei Paesi fondatori della Comunità Europea, è una delle più forti economie mondiali; 2) senza l’Italia verrebbe meno sia l’intero progetto di integrazione europea sia lo sviluppo del progetto medesimo. Sarebbe come fare la pasta alla carbonara senza uova e senza guanciale; 3) come potrebbe continuare ad esistere un’Europa senza Virgilio, senza Dante e senza Piero della Francesca? Ricordo inoltre al lettore che sia la Germania che la Francia, nei primi anni dello scorso decennio, sforarono arbitrariamente il parametro del 3% nel rapporto deficit/PIL senza che nessuno battesse ciglio. E, una volta sistematisi i loro problemi, si sono pure permessi di fare i “sorrisini”! Anche da questo punto di vista, e mi duole ricordarlo, l’Italia non ha avuto – e non ha – politici all’altezza di far pesare il ruolo del nostro Paese in ambito comunitario.

D)    Ridiscutere integralmente e riscrivere tutti insieme (attraverso un accordo sottoscritto da tutti i Paesi dell’Unione Europea firmatari dei Trattati) i parametri di Maastricht e di conseguenza abrogare definitivamente i vincoli fissati dal Fiscal Compact, stabilendo una soglia più alta del rapporto defici-PIL e cancellando i vincoli fissati dal Patto di bilancio europeo con l’eliminazione sia dell’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio sia dell’obbligo di riduzione sistematica della spesa pubblica. A queste misure andrebbe inoltre aggiunta quella di attribuire alla BCE, ovvero a ciascuno Stato nazionale, l’autonomia decisionale in merito all’emissione di nuova carta moneta, attribuendo altresì alle Banche Centrali di ciascuno Stato (sotto il diretto controllo dei Governi e dei Parlamenti nazionali) la vigilanza sugli Istituti di Credito affinché la maggiore liquidità venga esclusivamente utilizzata nel credito a famiglie e imprese. Con l’insieme di tali misure di cui al presente punto, ciascuno Stato nazionale – in un periodo di forte e grave crisi economica come quella attuale – potrebbe far leva sulla spesa pubblica al fine di ridurre le tasse (concedendo ad esempio forti agevolazioni fiscali alle aziende che assumono oppure ai giovani che vogliono aprire un’attività, ovvero prevedere la possibilità per le aziende e i professionisti di detrarre tutte le spese sostenute senza eccezione alcuna, od anche ridurre drasticamente il cuneo fiscale e realizzare un piano di piena occupazione) e quindi far ripartire il lavoro, i consumi delle famiglie e gli investimenti, sconfiggendo di conseguenza le pesanti difficoltà sociali e riducendo la forbice tra ricchi e poveri, garantendo in tal modo la resuscitazione del ceto medio.

Se si intende pertanto mantenere la moneta unica e continuare a tenere seriamente in piedi il progetto europeo, si rende necessario – ora più che mai – adottare la soluzione di cui alla lettera d) sopra brevemente argomentata. Con la predetta soluzione ciascuno Stato nazionale potrebbe porre in essere un grande piano di sviluppo economico e di piena occupazione che risolverebbe la gran parte delle problematiche economico-sociali, il tutto perché – potendo far leva sulla spesa pubblica (sia per via del fatto che non si rispetterebbero i parametri di Maastricht e del Fiscal Compact, sia perché vi sarebbe maggiore liquidità in quanto si immetterebbe in circolo nuova carta moneta) -, ciascuna Nazione eserciterebbe la sua funzionalità sussidiaria, propria dell’essere Stato. Togliendo invece allo Stato la possibilità di spendere, viene meno l’essenza stessa di essere Stato. Ecco dov’è il problema. Hanno costruito un’Europa monetaria senza l’indispensabile unione politica in grado di prendere decisioni sovrane sulla spesa pubblica e sulla moneta! E, in assenza di tutto ciò, si rende necessario riconsegnare lo scettro agli Stati nazionali oppure ridiscutere e riscrivere integralmente (tutti insieme ed abbandonando le logiche campanilistiche) i parametri previsti dai Trattati! E’ chiaro che l’attuazione delle soluzioni sopra prospettate [soprattutto quella di cui alla lettera d)] avrebbero un’incidenza considerevole sia sulla spesa pubblica che sull’inflazione, ma gli effetti positivi sarebbero sicuramente maggiori: 1) significativa ripresa dell’occupazione e, di conseguenza, dei consumi delle famiglie e degli investimenti; 2) crescita del PIL; 3) un fisco “più amico” del cittadino e quindi aumento del gettito fiscale quale diretta conseguenza della riduzione delle tasse e dell’abrogazione degli strumenti troppo invasivi di accertamento fiscale; 4) maggiore ottimismo nel futuro e voglia di investire; 5) diminuzione della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali.

E)    Uscire dalla moneta unica e riappropriarsi della sovranità monetaria: quest’ultima soluzione (sicuramente la più rischiosa di tutte ma che si renderebbe indispensabile di fronte alla continua e colpevole indifferenza dei burocrati di Bruxelles) produrrebbe molto probabilmente una svalutazione della moneta nazionale che si calcola attorno al 20-30% circa, ma sortirebbe tuttavia alcuni importanti effetti positivi, come ad esempio quello che lo Stato, riappropriandosi della sovranità monetaria (facoltà di stampare nuova carta moneta) e “libero” di non osservare (benché ciò costituirebbe violazione dei Trattati internazionali) i parametri di Maastricht e del Fiscal Compact, assumerebbe su se stesso sia la responsabilità di garantire il debito pubblico (garanzia del tutto sicura in quanto, essendo lo Stato stesso produttore di moneta, non potrebbe non onorare i propri debiti), sia la responsabilità di prendere decisioni choc di carattere economico-fiscale tali da far ripartire il lavoro, quindi i consumi e gli investimenti (sostanzialmente l’economia reale). Inoltre, attraverso un ritorno alla sovranità monetaria nazionale, si potrebbe pianificare e realizzare un piano di piena occupazione – accompagnato dalla necessaria riduzione delle tasse e dall’abrogazione degli strumenti troppo invasivi di accertamento fiscale – che produrrebbe l’effetto di “far girare” l’economia reale con una forte ripresa dei consumi e degli investimenti delle famiglie, oltre che una maggiore fiducia nel futuro. Quanto premesso causerebbe, sì, un aumento spaventoso della spesa pubblica, ma ciò non deve affatto allarmare! Di fronte ad un debito pubblico enorme (il rapporto debito pubblico/PIL del Giappone è addirittura del 236%, mentre quello italiano è “appena” del 133%) ma con una totale sovranità monetaria e con la realizzazione sia di un progetto di piena occupazione che di un piano di riduzione delle tasse (oltre che di abrogazione degli strumenti eccessivamente invasivi di accertamento fiscale), si raggiungerebbero di conseguenza obiettivi fondamentali quali: 1) l’aumento dei consumi delle famiglie e degli investimenti; 2) l’aumento delle esportazioni; 3) la crescita del PIL; 4) l’aumento del gettito fiscale; 5) la forte diminuzione della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali; 6) maggiore fiducia ad investire i capitali in Italia. Il tutto, come si è visto, con effetti molto positivi sull’economia reale e senza alcun problema di default, anzi, tutt’altro! E’ tuttavia importante ammettere che, affinché le misure sopra individuate producano gli effetti sperati, sarebbe altresì indispensabile – almeno per quel che riguarda il nostro Paese – procedere sia alla riforma istituzionale (che superi quanto meno il bicameralismo perfetto) sia alla riforma della Pubblica Amministrazione, e quindi soprattutto del sistema giustizia! Inoltre, per evitare di ricadere nuovamente nei medesimi errori del passato, sarebbe altresì indispensabile che lo Stato esercitasse un effettivo controllo sulle banche affinché queste tornino a prestare denaro a famiglie e imprese, e non a fare speculazione finanziaria con i soldi dei risparmiatori. Ma perché ciò avvenga occorre soprattutto una radicale riforma della Banca d’Italia e dell’intero sistema bancario, quindi una precisa volontà politica in tal senso. Infine, ed è un fatto da non sottovalutare, ricordiamoci che l’Italia dispone di una riserva aurea tra le più consistenti d’Europa (circa cento miliardi di Euro): facciamo attenzione che i nostri governanti non la sciupino per fare gli interessi della piramide aristocratico-finanziaria!

E’ pertanto pacifico che, per poter dare attuazione anche ad una sola delle soluzioni ut supra succintamente argomentate [soprattutto quelle di cui alle lettere c), d) ed e)], è necessario disporre di uomini di governo capaci e che amino per davvero il loro Paese, sicuramente con meno lauree e meno master, con più coraggio e con maggiore consapevolezza della realtà. Purtroppo, come si è visto finora, i governanti italiani – adottando pesanti misure di austerity, stipulando Trattati internazionali forcaioli, aumentando le tasse, inasprendo fortemente gli strumenti di accertamento fiscale e “abbassandosi i pantaloni” di fronte al rigore della Cancelliera tedesca Angela Merkel  (che sa far bene gli interessi del suo popolo) – non hanno fatto altro che peggiorare una situazione economica già pesantemente compromessa: il tutto a scapito di quel rapporto di fiducia Stato-cittadino costato milioni di vite umane… altro che uomini di Stato!

E che dire della decisione assunta in passato di privatizzare le banche? Quei “politici” che la attuarono hanno sulla coscienza la funesta conseguenza che gli Istituti di Credito, invece di limitarsi ad adempiere alla loro missione naturale (prestare denaro ai cittadini e alle imprese ed amministrarlo secondo le leggi), hanno iniziato a speculare senza limiti utilizzando la gran parte dei risparmi dei loro correntisti (vedesi il caso del Monte dei Paschi di Siena sul quale è caduto un silenzio assordante). E’ ovvio che, senza alcun controllo da parte dello Stato (che sarebbe dovuto avvenire tramite la Banca d’Italia, anch’essa – di fatto – in mano a quelle banche che avrebbero dovuto essere a loro volta da questa vigilate), chi è naturalmente preposto a prestare denaro ad aziende e famiglie in difficoltà “chiude i rubinetti” rifugiandosi in logiche del tutto confliggenti con le legittime necessità dell’economia reale. E medesima culpa grave in vigilando ce l’ha anche la BCE, un’Istituzione che – così com’è stata concepita sinora – è quasi del tutto inutile se non per gli interessi esclusivi della grande finanza speculativa!

Ma la cosa più sconvolgente è che quegli stessi ipocriti che commisero questi errori (che ancora oggi fanno fatica a scomparire dalla scena pubblica), continuano imperterriti a lavarsi la bocca con parole come Costituzione e lavoro!

Del resto, senza andare alla ricerca chissà di quale soluzione, il vero problema italiano è quello del cosiddetto sistema delle “porte girevoli”, il quale rende impossibile l’uscita del nostro Paese dalla drammatica situazione in cui si trova! Se chi ci governa è uomo di fiducia dell’Europa finanziaria, dei banchieri e del Bilderberg, una volta terminati gli incarichi di Governo rientra immediatamente nel “sistema” attraverso la propria appartenenza all’establishment europeista, quindi è ovvio che – quando è al Governo – non può che fare gli interessi del “Club”! E stesso discorso dicasi per quegli uomini che si accingono in futuro a ricoprire cariche di Governo: debbono purtroppo godere del gradimento di quello stesso establishment settario che è a capo di questa piramide anti-democratica e assolutistica! E, nonostante quanto premesso sia ormai sotto gli occhi di tutti, i nostri politici – riempiendosi continuamente la bocca con parole come Europa e stabilità, continuano a far finta di nulla deviando l’attenzione popolare verso problemi che non esistono.

In merito alle soluzioni che ho sinora sommariamente prospettato, si chieda il lettore cosa ha fatto il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama (d’accordo con il Presidente della Federal Reserve Ben Bernanke) perché il suo Paese uscisse dalla crisi economica. Disponendo dell’indispensabile sovranità politica e monetaria (la Fed  “dipende” direttamente dal Governo U.S.A., contrariamente a quanto accade in Europa dove la BCE non prende ordini da nessuno Stato nazionale e risponde unicamente a qualche aristocratico e sconosciuto burocrate), ha – dal 2009 – immesso in circolo liquidità pari a circa 3.200 miliardi di dollari al fine di dare ossigeno ad un’economia a pezzi e senza preoccuparsi di stare all’interno di un tetto nel rapporto deficit/PIL, il quale è salito addirittura al 12% (in Europa è rigidamente posto al 3%). Risultato? Nel giro di qualche anno l’America è uscita dalla crisi e, per il 2014, è prevista una crescita del suo PIL di circa il 3%!

Imparino i nostri “professoroni” e i nostri “tecnici”, e tornino a studiare Keynes!

A proposito, invece, degli aspetti storico-giuridici che tanto mi stanno a cuore, chi fosse interessato ad approfondire questo studio potrà leggere il mio libro intitolato: “La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea […]”, Editrice GDS (versione cartacea ottobre 2013; versione e-book novembre 2013).

 

***

A conclusione di questo mio articolo/manifesto, non posso non osservare come, trascorsi circa due Secoli di guerre, morti e distruzioni (dal 1789 al 1945) – fatte per donare alle generazioni future libertà, democrazia, solidarietà e rappresentatività della volontà popolare –, il principio democratico sta cedendo il posto (se non l’ha già ceduto) all’ipocrisia degli “Europeisti a tutti i costi”: nessuno si rende conto che – tramite una sontuosa cornice di ipocrisia sostenuta da soggetti fiduciari dell’establishment aristocratico/finanziario – il sistema che regge il vero potere in Europa è ben peggiore (da un punto di vista democratico e quindi sotto l’aspetto del deficit di rappresentanza) sia dell’Ancien Régime ante rivoluzione francese sia delle dittature del Secolo scorso. I dittatori del Novecento – qualunque sia, nel bene o nel male, il giudizio della Storia – basarono comunque il loro consenso politico sulla volontà popolare, talvolta addirittura plebiscitario. L’Unione Europea, invece, è retta da circa venti grigi burocrati non eletti da nessuno (quindi senza alcun rapporto, neppure indiretto, con i cittadini), i quali – governando circa quattrocento milioni di persone e decidendone i destini – rispondono unicamente agli interessi degli speculatori finanziari, dei banchieri, delle multinazionali, della massoneria e – quindi – della nuova Aristocrazia europea: tutti tasselli di un unico mosaico del nuovo Ancien Régime assolutistico del Terzo Millennio[2]!

E proprio quegli stessi mascalzoni che ci hanno ridotto in braghe di tela continuano – nonostante l’evidente disastro che hanno causato con il loro “progetto criminoso” – a lavarsi la bocca con parole come libertà, democrazia, integrazione e diritti civili! Si vergognino!

Il popolo è stato – e lo è ancora – vittima di spauracchi costruiti ad arte come lo spread, ovvero di ricatti morali del tipo: “Ce lo chiede l’Europa”! Quale Europa poi? Quella delle banche, dei burocrati e delle multinazionali? Purtroppo ci siamo fatti fregare proprio da questi! Ma la cosa più importante di cui avremmo dovuto ricordarci – ma che siamo ancora in tempo a fare – è quella che, piaccia o no, la sovranità appartiene solo al popolo[3]!

Non tirino troppo la corda i burocrati e i politici nostrani perché con il popolo, prima o poi, si finisce per sbattere il grugno. E da italiano che ama il suo Paese dico loro: “[…] Non vedete che tutta si scote, / Dal Cenisio alla balza di Scilla? / Non sentite che infida vacilla / Sotto il peso de’ barbari piè?[4].

Grazie all’ipocrisia degli “Europeisti a tutti i costi”, che appartengono a quel mondo radical chic con la puzza sotto il naso e con il vizio di ghettizzare coloro che la pensano diversamente, il nostro amato Paese – con tutte le sue bellezze artistiche, culturali, industriali, artigianali, intellettuali e di capacità dei singoli – è ormai in svendita a prezzi stracciati!

Di fronte a tanta delusione mi tornano di nuovo a mente i versi del Manzoni: “Oggi, o forti, sui volti baleni / Il furor delle menti segrete: / Per l’Italia si pugna, vincete! / Il suo fato sui brandi vi sta. / O risorta per voi la vedremo / Al convito dei popoli assisa, / O più serva, più vil, più derisa / Sotto l’orrida verga starà[5].

“Grazie” Europa! “Grazie” politici! “Grazie” professoroni!

Avete dalla vostra la forza micidiale di rubarci il futuro, ma non potrete appropriarvi della nostra sconfinata libertà di pensiero! Quella non l’avrete mai!

Se il vostro “progetto criminale” rappresenta il duro destino che mi spetta e che attende anche le sorti di mia figlia, io voglio restare profondamente italiano… a tutti i costi!

Viva la Libertà!

Avv. Giuseppe PALMA del foro di Brindisi


[1] Passaggio tratto integralmente da: http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_bilancio_europeo#Critiche

[2] A tal proposito il lettore – come ho già ricordato nel testo dell’articolo – potrà approfondire l’argomento leggendo il mio libro intitolato: “La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea […]”, Editrice GDS (versione cartacea ottobre 2013; versione e-book novembre 2013).

[3] Art. 1 comma II della Costituzione italiana: “La sovranità appartiene al popolo […]”.

[4] Alessandro Manzoni, Marzo 1821, vv. 45-48.

[5] Alessandro Manzoni, Marzo 1821, vv. 89-96.

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