In presenza di una separazione o di un divorzio può capitare che occorre procedere alla quantificazione dell'assegno di mantenimento da versare al coniuge debole o ai figli (anche maggiorenni) economicamente non autosufficienti.
Tralasciando il mantenimento per i figli (dovuto da entrambi i genitori) e concentrando l'attenzione solo sull'assegno di mantenimento al coniuge debole, occorre individuare i principi e le modalità attraverso le quali si giunge a quantificare l'assegno per il coniuge debole.
Per quantificare l'assegno di mantenimento occorre procedere per gradi.
Infatti, occorre prima verificare se (in astratto) il coniuge ha diritto all'assegno, e per diritto all'assegno si intende non solo che occorre verificare la presenza dei requisiti giuridici per poter chiedere l'assegno (quindi, occorre che non sussistono cause ostative come l'addebito della separazione o del divorzio), ma bisogna anche accertare se il coniuge debole non ha i mezzi (per motivi oggettivi) per procurarsi un reddito che equipari il tenore di vita durante il matrimonio (o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio), da valutarsi al momento del divorzio, e, quindi, procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Cioè occorre quantificare quale somma di denaro serve per colpare questa discrepanza (tra il reddito del coniuge debole e il tenore di vita durante il matrimonio).
Fatto questo calcolo occorre passare a determinare, in concreto, l'assegno da versare (in questo si concreta la seconda fase del procedimento di determinazione del valore dell'assegno). In concreto, il giudice deve procedere alla determinazione dell'assegno sulla base dei criteri indicati dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, i quali agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, ove la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. Il comma 6 dell'art. 5 della legge del 1 dicembre 1970 n. 898 stabilisce che "il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".
Quando dalla teoria astratta, si passa alle situazioni concrete, ci si accorge quanto la vita di tutti i giorni influenza il mondo giuridico. Infatti, l'attribuzione del diritto di abitazione sulla casa familiare al coniuge debole (anche se la casa familiare è attribuita ai figli) incide (riducendola) sulla quantificazione dell'assegno di mantenimento, in quanto l'attribuzione della csa famialre è vista come un anticipo (contributo) in natura rispetto il contributo in denaro da versarsi al coniuge debole (ovviamente, l'ipotesi tipica è quella di un genitore con figli in cui tutti hanno diritto al mantenimento, mentre un'ipotesi particolare è quella nella quale il coniuge debole chiede il mantenimento in parte in denaro e in parte con il diritto di abitazione della casa familiare, in questo caso occorre verificare se il giudice ha il potere di imporre un diritto di abitazione o di godimento all'altro coniuge, si tratta, in altri termini, di una scelta che richiede il consenso di entrambi i coniugi).
Concorrono al determinare l'assegno di mantenimento anche i possibili sviluppi lavorativi o i futuri guadagni, naturalmente, nel momento in cui si si realizzano i prevedibili sviluppi lavorativi o gli incrementi di reddito, cioè non si determina un assegno di mantenimento su qualcosa che non è ancora concreto, ma che deve ancora realizzarsi.
Esistono anche delle entrate che non costituiscono reddito come, ad esempio, le borse di studio oppure gli aiuti ricevuti dai familiari.
Fino ad ora ci si è occupati di beni reali (casa familiare) o entrate reali (concrete) reddito (ed eventualmente entrate future, cioè prevedibili al momento della separazione), non ci siamo ancora occupati, di un altro aspetto della questione, se cioè un'uscita o una spesa o anche solo l'attività finanziaria (in senso lato, come l'acquisto e la vendita di immobili) può essere usata come elemento per quantificare il reddito o il tenore di vita dei coniugi (e, quindi, l'assegno di mantenimento). In altre parole, occorre valutare se una spesa o un'uscita patrimoniale può essere valutata come un indice della capacità di reddito. In particolare, un altro elemento del patrimonio o del tenore del reddito (indiretto) è l’attitudine agli acquisti del coniuge e/o alla spesa del coniuge, sia se si intende la spesa come investimento, sia se vede la spesa come indice della capacità di reddito (eventualmente occulto).
La spesa, l'uscita (o il versamento a fondo perduto) è già stato valutato, in passato, come un elemento che permette di quantificare il reddito (il tenore di vita ecc.) dei coniugi. La situazione analizzata è stata quella relativa alle immobilizzazioni presenti nelle società di uno dei due coniugi. In questo caso la giurisprudenza ha affermato che i fondi presenti in una società (o gli accantonamenti in vista di un futuro aumento di capitale) o gli utili non distribuiti (accantonati come riserve) concorrono a quantificare il reddito in quanto sono indice della capacità di spesa, in altri termini, la capacità di spesa è un elemento proporzionale al proprio reddito.
Su questa strada la giurisprudenza ha proseguito, ed è giunta ad affermare che anche l'attività finanziaria (acquisto e vendita di immobili) nel corso del tempo (rappresentando una spesa e la capacità di reddito) deve essere presa in considerazione, infatti, l'attività finanziaria è rilevante non solo sotto l'aspetto statico (per l'immobilizzazione della ricchezza che rappresenta e, quindi, concorre a formare il reddito della persona), ma anche per l'setto dinamico, nel senso che per poter effettuare un'attività finanziaria (o speculativa) immobiliare (es. acquisto e vendita di immobili) è necessario che questa attività abbia un'adeguata forma di finanziamento e (molto spesso) questo finanziamento deriva da risorse ulteriori rispetto le entrate visibili o dichiarate.
Quindi, per definire la capacità economica dell'obbligato, il giudice non può limitarsi a prendere in considerazione gli introiti collegati allo svolgimento di attività lavorativa o imprenditoriale o quella derivante dal godimento di trattamenti pensionistici o assistenziali, ma deve estendere la propria indagine all'eventuale titolarità di beni patrimoniali ed attività finanziarie, la cui disponibilità assume rilievo non solo sotto il profilo statico, per l'immobilizzazione di capitali che tali forme d'investimento comportano, ma anche sotto il profilo dinamico, per le potenzialità economiche di cui costituiscono un indice dell'esistenza di redditi diversi da quelli retributivi o pensionistici.
Cass. civv. sez. I del 4 aprile 2014 n. 7984 in pdf