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Interpretazione del contratto e la chiarezza dell’elemento letterale

La Cassazione del 15.7.2016 n. 14432 ha affermato il principio (non ricompreso fra i criteri d’interpretazione del contratto accolti dal codice vigente) secondo cui in claris non fit interpretatio, la “chiarezza” che consente di evitare ogni altra indagine interpretativa non è, infatti, “una mera chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, avulsa dalla considerazione della comune volontà delle parti”. Al contrario, “la chiarezza che preclude qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale è la chiarezza delle intenzioni dei contraenti.
A cura di Paolo Giuliano
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Comprensione del contenuto del contratto e identificazione del contratto

Quando si scrive qualcosa può capitare che una frase (contenuta in qualsiasi atto scritto) apparentemente chiara e lampante per l'autore della stessa risulti essere del tutto oscura a coloro che leggono la medesima frase oppure alla frase potrebbero essere attribuiti diversi significati. Per eliminare tali dubbi ed incertezze si effettua un'operazione denominata interpretazione.

Legata alla comprensione dell'atto è l'identificazione del tipo di contratto.

Rapporto tra interpretazione e qualificazione del contratto

Sul punto si può dire che, in linea di principio, anche se l'interpretazione e la qualificazione del contratto sono due operazioni concettualmente distinte, tali operazioni sono legate da una connessione biunivoca, in quanto volte all'unico fine che è la determinazione dell'effettivo regolamento negoziale.

L'interpretazione precede logicamente la seconda la qualificazione. L'attività interpretativa è,  infatti,  operazione ermeneutica, governata da criteri giuridici cogenti, che tende alla ricostruzione del significato del contratto in conformità alla comune volontà dei contraenti.

Una volta individuata l'intenzione comune delle parti del contratto, il passaggio successivo è la sussunzione del negozio in un paradigma disciplinatorio, si da apprezzarne l'aderenza (magari anche solo parziale e/o secondo schemi combinatori) con una fattispecie astratta, tra quelle preventivamente delineate dal legislatore nel codice civile oppure conformate dagli usi e dalle prassi commerciali, sebbene il contratto possa anche non coincidere affatto con il "tipo" e mantenere, come tale, la sua vocazione ad essere "legge tra le parti", ove sia diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322, secondo comma, cod. civ. In siffatta prospettiva, la qualificazione del contratto ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad esso applicabile, con le relative conseguenze effettuali.

L'interpretazione del contratto (intesa come ricerca volta ad individuare l'effettiva voluntas dei contraenti) è utile per la successiva qualificazione del negozio.

Contestabilità dell'interpretazione della qualificazione del contratto

L'attività di interpretazione – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo alcune ipotesi.

L'attività di qualificazione, affidandosi al metodo della sussunzione, si risolve nell'applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica in sede di legittimità sia per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico cui si riferisce, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativa.

Interpretazione del contratto: principi generali

La ricerca volta ad individuare l'effettiva voluntas dei contraenti, non può  prescindere dall'osservanza dai canoni ermeneutici indicati negli art. 1362 ss. cc, che rappresentano delle vere e proprie norme cogenti, le quali sono ordinate secondo un principio di gerarchia interna, in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi- integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività allorquando l'applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti.

Principio in claris non fit interpretatio (non codificato)

E' lo stesso art. 1362 cod. civ. dedicato alla interpretazione del contratto, che si assume il compito, prescrittivo, di declinare l'oggetto dell'attività interpretativa (cioè "quale sia stata la comune intenzione delle parti") – che confina il dato "testuale", pur rivestendo esso rilievo centrale, in un ambito di per sé non decisivo, giacché l'interprete non può "limitarsi al senso letterale dalla parole", ma deve indagare, per l'appunto, quale sia la "comune intenzione" dei contraenti anche tramite "il loro comportamento complessivo".

Di conseguenza, il "significato" del testo può essere desunto solo in seguito ad una operazione combinata.

AI fini della ricostruzione dell'accordo non è decisivo il mero dato testuale, giacché  – il significato dalle dichiarazioni negoziali è l'esito di un processo interpretativo, «il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé "chiare" e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti».

In siffatto contesto occorre, dunque, intendere il principio (non ricompreso fra i criteri d'interpretazione del contratto accolti dal codice vigente) secondo cui in claris non fit interpretatio. La "chiarezza" che consente di evitare ogni altra indagine interpretativa non è, infatti, "una chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, avulsa dalla considerazione della comune volontà delle parti". Al contrario, "la chiarezza che preclude qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale è la chiarezza delle intenzioni dei contraenti".

Soltanto ove lettera ed intenzione delle parti siano effettivamente chiari e tra loro coerenti potrà, dunque, arrestarsi l'indagine dell'interprete. Con la conseguenza che è da escludere che l'anzidetto principio possa trovare applicazione "nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti".

Cass., civ. sez. III, del 15 luglio 2016, n. 14432

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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