L'esigenza dello Stato di controllare il territorio regolando anche gli interventi edilizi ha comportato un affievolimento del diritto del privato di costruire (diritto derivante e compreso dall'essere proprietario di un suolo). Quindi, il privato non ha più un diritto automatico di costruire solo per essere proprietario di un suolo, ma lo ius aedificandi (anche se si seguisse la tesi che è un diritto insito – compreso – nel diritto di proprietà del suolo e non è una ulteriore attribuzione della pubblica amministrazione) è – quanto meno – subordinato all'esistenza di numerose autorizzazioni e provvedimenti amministrativi.
Il primo tipo di condizione che si deve verificare per poter esercitare lo ius aedificandi è quella secondo la quale il terreno deve possedere l'attitudine edificatoria, in assenza di tale requisito nessun tipo di intervento edilizio è possibile.
Però, anche se il suolo è edificabile non è detto che il singolo privato possa costruire (o ottenere il provvedimento autorizzativo per la costruzione, in qualsiasi modo tale provvedimento possa essere denominato) questo perchè l'edificabilità del suolo non è un elemento che "garantisce" la realizzazione della costruzione, sia perchè il privato è sempre libero di presentare (o meno) una richiesta per costruire (la quale per altro è basata su uno specifico progetto) ed è questa che deve essere specificatamente autorizzata, sia perchè ad ogni costruzione sono connesse alcune opere collaterali edilizie (costruzioni di strade, acquedotti, fogne), che – essendo a carico dell'ente pubblico territoriale – oggi sono di difficile realizzazione per intuibili problemi economici.
Nelle more della decisione del privato di costruire o meno, il comune può stipulare con gli stessi privati un accordo detto convenzione di lottizzazione con il quale in previsione dell'intervento edilizio il privato e il comune si ripartiscono gli oneri per la realizzazione degli interventi connessi alla realizzazione edilizia (sulla natura giuridica di tali convenzioni si discute e si parla di negozi o di atti endo-procedimentali), ma quello che, in questa sede, è opportuno mettere in evidenza è che anche la convenzione di lottizzazione non "garantisce" e "assicura" che l'eventuale richiesta del privato di costruire sarà, poi, accolta.
Può anche accadere che ad un suolo venga concessa l'edificabilità, che il privato decida di costruire e stipuli con il comune una convenzione di lottizzazione e che nelle more della presentazione della specifica richiesta di costruzione, stipuli contratti di appalto, nomini tecnici per gli studi, acquisti materiali per la costruzione ecc., ma, per un cambio di decisioni "politiche", il comune decida di revocare l'edificabilità del suolo, in questa situazione il privato che ha fatto affidamento sulla situazione (anche se non c'è certezza e garanzia che sarebbe stata concesso il permesso di costruire) può chiedere il risarcimento dei danni al comune ? e in caso di risposta affermativa che tipo di danni sono risarcibili ?
Cassazione civ. sez. I del 18 ottobre 2012 n. 17922
Come ha esattamente rilevato dalla Corte di Appello, il thema decidendum della controversia sarebbe stato identificabile nell' " accertamento della sussistenza o non del diritto al risarcimento dei danni conseguenti ad una pronuncia di risoluzione della originaria convenzione di lottizzazione per inadempimento del Comune " ( p. 14 ); dalla sentenza impugnata si evince che con il primo motivo dell'appello incidentale il Comune aveva lamentato " che l'attrice non avesse mai dato la prova dei fatti rilevanti ai fini della determinazione del danno ( p. 9 ).
Al riguardo va preliminarmente considerato che al di là della insufficiente puntualità sotto il profilo formale delle doglianze in questione, le stesse non sono condivisibili. Il giudice di legittimità ha infatti precisato, nella decisione in esame, che le convenzioni urbanistiche lasciano integra la potestà pubblicistica del Comune in materia di assetto del territorio; che le successive delibere con le quali era stata negata la possibilità edificatoria erano state ritenute illegittime in sede giurisdizionale per vizio di motivazione; che l'inadempimento del Comune risultava attinente alle modalità di esplicazione del potere di pianificazione territoriale in modo non conforme soltanto all'onere di compiuta ed idonea motivazione " ( p. 31 sent. 2669/93 ), così incidendo negativamente sull'aspettativa del privato ad una corretta azione amministrativa ( p. 34 stessa sentenza ); che il danno subito non poteva dunque consistere " nel tantundem rispetto all'edificabilità prevista " ( p. 46 ); che conseguentemente dell'inesistenza del diritto all'edificazione si sarebbe dovuto tenere conto in sede di concreta liquidazione del danno ( p. 48 ). Sulla base dunque dei rilievi formulati da questa Corte con la sopra richiamata sentenza n. 2669, il Comune sarebbe stato inadempiente rispetto agli obblighi assunti con la convenzione oggetto di giudizio, la ricorrente sarebbe stata pregiudicata da tale inadempimento e quindi avrebbe avuto diritto al risarcimento del danno, questo non avrebbe potuto essere individuato in una lesione del diritto all'edificazione che la Corte di legittimità aveva espressamente dichiarato inesistente -, principi ai quali il giudice del merito risulta essersi attenuto. Il punto in contestazione, infatti, riguarda non già una divergenza nella configurazione del diritto risarcitorio fra la sentenza del giudice di legittimità e quella successiva del giudice del merito ma, piuttosto, il parametro adottato ai fini della relativa quantificazione, parametro censurato con il settimo motivo di ricorso.
Per quanto la statuizione sul punto della Corte di Appello sia errata, anche la censura va disattesa. Ed invero il giudice del merito, dopo aver correttamente premesso ( sulla scorta dei condivisi principi evidenziati dal giudice di legittimità ) che il danno risarcibile per la violazione da parte del Comune del buon esercizio dei poteri discrezionali di revoca " non potrà, neppure per approssimazione, essere ricondotto alle utilità derivanti dal diritto di edificazione " ( p. 24 ) – e ciò in quanto la convenzione non avrebbe assicurato la soddisfazione del detto diritto, la cui eventuale mancata realizzazione non avrebbe quindi potuto dar luogo ad alcun risarcimento -, ha poi affermato che il danno risarcibile sarebbe stato ravvisabile " nell'attività sostenuta dalla Vctr … per reagire alla scorretta modalità di esplicazione del potere amministrativo . " ( p. 25 ). Quest'ultima affermazione è incontestabilmente errata, polche l'attribuzione ad un terreno del connotato della edificabilità ( come verificatosi nella specie ) conferisce al suolo una qualità economica autonoma ed indipendente dal rilascio delle concessioni edilizie, qualità economica che, se successivamente negata nell'attuazione di uno " ius variandi nella pianificazione urbanistica esercitato senza adeguata ponderazione dei contrapposti interessi, può dar luogo a profili risarcitori ( e ciò sempre che un danno vi sia ) per lesione dello ius aedificandi come interesse al bene della vita ( C. 11/20640, C. 08/28980, C. 07/26275, C. 06/25536, C. 05/2705, C. 03/157, C. 98/5821 ).
Tuttavia, pur se alla luce dei principi sopra richiamati deve ritenersi non condivisibile l'identificazione del pregiudizio subito dalla Vctr, a causa del non corretto esercizio del potere amministrativo da parte del Comune, nelle spese sostenute dalla società per reagire alle iniziative adottate dall'ente territoriale con atti illegittimi, il motivo di doglianza in esame non risulta meritevole di accoglimento. In proposito occorre invero rilevare che la ricorrente, dopo aver correttamente denunciato l'errore individuabile nella sentenza impugnata, consistente nell'omesso riconoscimento di una posizione di vantaggio alla proprietaria dei terreni collegata alla loro edificabilità, derivante dalla convenzione del 1966, ha poi sollecitato la correlazione del danno alla edificabilità dei terreni oggetto della convenzione medesima secondo gli indici di volumetria, i parametri e le caratteristiche costruttive stabilite nel relativo piano di lottizzazione " ( quesito del settimo motivo ), sollecitazione poi ribadita con la memoria illustrativa depositata ex art. 378 c.p.c., nella quale il preteso danno da risoluzione è stato espressamente correlato al bene della vita dell'edificabilità. Anche tale ultima affermazione, però, risulta errata, circostanza da cui discende l'infondatezza del motivo di doglianza. Contrariamente a quanto sostenuto, infatti, il bene della vita leso non è identificabile nel diritto all'edificazione, che la convenzione certamente non assicurava, come ampiamente precisato nella ricordata sentenza n. 2669, poi ribadito nella decisione impugnata e quindi costantemente affermato da questa Corte nelle diverse sentenza emesse al riguardo, fra le quali anche quelle sopra citate. Viceversa il bene della vita leso è nella specie identificabile nell'aspettativa di una realizzazione concreta dello " jus aedificandi ", in quanto tale potenzialmente idonea a determinare pregiudizi patrimoniali, ove esistenti dedotti e dimostrati. Ciò premesso occorre rilevare che, per quanto con la precedente decisioni di questa Corte fosse stato espressamente puntualizzato che la convenzione non assicurava il diritto ad edificare e che pertanto anche un eventuale adempimento non avrebbe garantito l'edificabilità ( rilievi poi del tutto condivisi dalla Corte di Appello, che segnatamente individuava l'inadeguatezza della consulenza tecnica proprio nell'avvenuto computo del pregiudizio subito dall'odierna ricorrente in termini di riduzione quantitativa rispetto alla potenziale edificabilità dei terreni ), la Vctr, cui pure in un giudizio di quantificazione del danno incombeva di dare prova della relativa consistenza, non ha neppure indicato alcun elemento potenzialmente sintomatico di effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento del Comune, quali, a titolo esemplificativo, maggiori esborsi sostenuti, perdita di possibilità di conseguire profitti, eventuali negoziazioni sospese o interrotte.
Il solo riferimento utile in relazione alla domanda di liquidazione del danno formulata risulta infatti identificabile nell'individuato collegamento del danno con l'edificabilità dei terreni oggetto di controversia, riferimento che per tutte le ragioni sopra esposte, risulta non pertinente ed inadeguato. E' infine infondato anche l'ultimo motivo del ricorso principale, atteso che non è configurabile alcun contrasto della sentenza impugnata con il principio affermato da questa Corte con la decisione n. 2669. L'avvenuta individuazione da parte di quest'ultima, della situazione giuridica soggettiva astrattamente lesa in un giudizio avente ad oggetto l'accertamento di un inadempimento e la conseguente condanna generica al risarcimento del danno non comporta, come effetto automatico ed ineludibile della statuizione, la necessità di una successiva liquidazione del danno, essendo la stessa subordinata all'accertamento che nel concreto quella situazione soggettiva ritenuta meritevole di tutela sia stata lesa.