Secondo l'art. 28 ed i successivi art.29 e 30 , della previgente Legge 13 giugno 1942 n. 794 l'avvocato che voleva recuperare un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade:
- il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942 (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili);
- il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo;
- il giudizio ordinario di cognizione.
L'art. 34 D.Lgs. n. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 Legge n. 794/1942 ed ha così modificato l'art. 28: "Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura se non intende seguire la procedura di cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150."
Quindi, l'avvocato che intende recuperare l'onorario ha due strade
- il decreto ingiuntivo
- il procedimento previsto dall'articolo 14 del D.Lgs. n. 150/2011 che disciplina dunque attualmente le "controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato", prevedendo testualmente quanto segue: "Le controversie previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l'opposizione proposta a norma dell'articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
Di conseguenza,
- se l'avvocato decide di usare il decreto ingiuntivo, l'opposizione al decreto ingiuntivo è regolata dal rito sommario di cognizione,
- se l'avvocato decide di non usare il decreto ingiuntivo, deve usare il procedimento del rito sommario di cognizione (ex art. 14 Dlgs 150/2011 che ha modificato l'art. 28 legge 13.6.1942 n.794).
Però, la normativa relativa al processo sommario di cognizione prevede che si può passare dal rito sommario al procedimento ordinario e viceversa ed occorre valutare se tale scelta è esercitabile anche per le controversie che hanno ad oggetto il recupero delle spese ed onorario dell'avvocato. La stessa domanda si potrebbe porre chiedendosi "se" il procedimento sommario di cognizione è applicabile ad ogni contestazione relativa all'onorario, (quantum, ma anche all'esistenza del rapporto), oppure se tale procedimento è applicabile solo quando è contestato il quantum e non quando si contesta l'esistenza del rapporto, oppure, in modo più generico, ci si potrebbe chiedere "se" è derogabile il procedimento delineato dal decreto legislativo n. 150/2011.
Le conseguenze derivanti dall'accoglimento di una delle diverse tesi sono notevoli, infatti,
- nel caso di contestazioni sull'an del rapporto professionale il giudice del procedimento speciale deve limitarsi ad una pronuncia di inammissibilità.
- al contrario, secondo una diversa ricostruzione il ricorso sommario proposto dall'avvocato sarebbe suscettibile di evolvere, previa conversione del rito ex art. 4 D.Lgs. n. 150/2011 in rito ordinario, allorché il convenuto contesti anche l'an o proponga domanda riconvenzionale.
- secondo una terza tesi, l'intero giudizio di liquidazione dei compensi, comprensivo di contestazione sull'an debeatur, dovrebbe essere trattato con il "nuovo" rito sommario, trattandosi di procedimento inderogabile, di conseguenza, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe: disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 150/2011; nominare il Giudice relatore; fissare l'udienza di comparizione partì avanti al Collegio per la trattazione.
Quest'ultima tesi è quella accolta dalla corte di Cassazione, in quanto la tipologia del rito è il frutto di una decisione legislativa senza possibilità di scelte discrezionali della parte o del giudice. Infatti in tal modo è rispettata la ratio che ha guidato il legislatore delegato secondo cui il controllo di concreta compatibilità della singola lite con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è sostituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dall'art. 3, D.Lgs. n. 150/2011, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie.
Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dall'art. 3, 1° comma, D. Lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude l'applicabilità dell'art. 702 ter, 2° comma, c.p.c.
Sarebbe rispettato l'art. 4 D.Lgs. n. 150/2011 che disciplina in via diretta soltanto l'ipotesi dell'instaurazione, mediante forme errate, di una controversia che dovrebbe essere trattata secondo uno dei riti semplificati dal D. Lgs. n. 150/2011; in altri termini, la disposizione non regola espressamente il caso in cui venga instaurata, mediante uno dei riti semplificati, una controversia che non rientra nell'ambito di applicazione dello stesso decreto.
Tale soluzione è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n 26-4-2014 n.65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge delega riferita all'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, ed in particolare all'esclusione della convertibilità del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del criterio direttivo di cui all'art. 54, comma 4, lettera b), numero 2), della legge n. 69 del 2009, il quale – nel ricondurre al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa – afferma che resta «esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario».
La non convertibilità del rito sommario discende quindi dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (art. 54, comma 4, lettera b, numero 2, della legge n. 69 del 2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla legge n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso.
Il divieto di conversione del rito è stabilito dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 per le controversie regolate dal rito sommario di cognizione, conseguentemente la richiesta caducazione di tale divieto, riferita ai soli procedimenti di liquidazione degli onorari forensi, costituirebbe un'eccezione rispetto al modello procedimentale prescelto dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2011.
Siffatta eccezione risulterebbe incompatibile con le finalità, perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e semplificazione dei riti civili, introducendo un'ulteriore particolarità ad un sistema processuale, che – pur essendo ispirato alla finalità di riportare una molteplicità di procedimenti speciali ad una (almeno tendenziale) uniformità – conserva tuttora elementi di innegabile eccentricità.
Le controversie previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, come modificato dall'art. 34 D.Lgs. n. 150/2011,ed a seguito dell'abrogazione degli artt. 29 e 30 Legge n. 794/1942, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell'avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dall'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 anche in ipotesi che la domanda riguardi l'an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l'inammissibilità della domanda.
Cass., civ. sez. VI, del 29 febbraio 2016, n. 4002 in pdf