Il procedimento di formazione degli atti legislativi comunitari
Questo articolo è a cura dell’Avvocato Giuseppe Palma del Foro di Brindisi. Appassionato di storia e di diritto, ha sinora pubblicato numerose opere di saggistica a carattere storico – giuridico.
L’Unione Europea quale simbolo di una modernità "restauratrice". Brevi osservazioni giuridiche e costituzionali sulla mancanza di democraticità nel processo di formazione degli atti legislativi comunitari. Comparazioni con le Costituzioni nazionali.
In merito alla situazione europea di cui mi sono occupato quest’anno con la pubblicazione di diversi articoli e di una breve monografia, non posso non evidenziare alcuni aspetti critici concernenti gli atti legislativi dell’Unione Europea. Prendiamo ad esempio i Regolamenti: questi hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi, quindi direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (obbligatorietà integrale, vale a dire senza deroghe o modifiche da parte dei Parlamenti nazionali). In pratica, per dirla con parole povere, sono vere e proprie “leggi europee” adottate dagli organismi comunitari e giuridicamente vincolanti in ciascuno degli Stati membri dell’U.E., senza che ciò avvenga attraverso una procedura di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali come invece avviene per i Trattati.
I Regolamenti comunitari sono pertanto detti “self-executing” in quanto, a differenza delle Direttive, non necessitano di alcun atto di recepimento o di attuazione.
Ciò detto, i cittadini italiani, spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi, portoghesi, greci etc sono tenuti ad osservare – come se si trattasse di una vera e propria legge nazionale di rango ordinario – il contenuto dei Regolamenti, i quali, ovviamente, producono effetti giuridici nella sfera pubblica o privata di ciascun cittadino, impresa, associazione, attività professionale e quant’altro.
Fin qui nulla di male, almeno in linea teorica. Se però si svolgono alcune considerazioni di carattere giuridico- costituzionale che andrò subito ad argomentare, si resta senza parole.
La nostra Costituzione repubblicana, nata dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale e dopo quasi ventuno anni di dittatura fascista, prevede che per la formazione delle leggi ordinarie siano osservate specifiche procedure democratiche appositamente sancite nella Carta medesima, procedure che garantiscono sia il più ampio coinvolgimento delle forze politiche presenti in Parlamento, sia i diritti delle minoranze (vedesi gli articoli 72, 73 e 74 della Costituzione).
In breve e molto semplicemente (quindi senza precisare tutti gli aspetti tecnici), un progetto di legge inizia il suo iter di formazione nella commissione competente per materia (ciascun ramo del Parlamento italiano ha proprie commissioni), la quale – composta in misura proporzionale da tutte le forze politiche presenti in Parlamento – elabora e licenzia collegialmente un testo che approda in uno dei due rami del Parlamento medesimo. A questo punto la Camera dei deputati o il Senato della repubblica (a seconda di dove il testo è partito) discute, presenta e vota emendamenti ed infine licenzia il testo finale che passa all’altro ramo del Parlamento che può a sua volta discuterlo ed emendarlo sino all’approvazione di un nuovo testo che ritorna alla camera di provenienza per l’approvazione definitiva nel medesimo contenuto, e questa “staffetta” dura fino a quando il testo di legge non viene approvato nel medesimo contenuto da entrambe le camere.
Una volta esauritosi l’iter di formazione legislativa, il testo è sottoposto entro un mese dalla sua approvazione definitiva alla promulgazione da parte del Presidente della repubblica, il quale può rifiutarsi di promulgarlo e quindi rimandarlo alle Camere per una nuova deliberazione (art. 74 Cost.). Se invece il Capo dello Stato promulga la legge, questa viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione medesima.
Questo iter, benché descritto in maniera fin troppo semplice e sintetica, è sicuramente molto lungo e farraginoso, quindi merita senz’altro di essere riformato; tuttavia, da un punto di vista giuridico-costituzionale, garantisce ampiamente le esigenze di democrazia e di rappresentanza popolare, tutelando soprattutto le minoranze e le diverse esigenze manifestate dai partiti, i quali, al di là di tutte le considerazioni critiche, sono i principali portatori dei molteplici interessi dei cittadini.
A questo punto è opportuno sottolineare che coloro i quali si lavano la bocca con parole come Costituzione, Giustizia, Europa ed Integrazione, se non ammettono che i cittadini italiani (ma più in generale tutti i cittadini europei) sono destinatari – oltre che delle leggi ordinarie approvate dal Parlamento nazionale – anche di atti legislativi provenienti da organismi comunitari non eletti e che non rispettano alcuna procedura democratica nell’adozione degli atti medesimi, commettono una mancanza non giustificabile.
Se per scrivere gli articoli 72, 73 e 74 della nostra Costituzione sono morti milioni di giovani e meno giovani, è altresì opportuno precisare che negli ultimi decenni è stato concepito e realizzato un sistema comunitario – sia istituzionale che di produzione giuridica – tendenzialmente dittatoriale che sottomette tutti i cittadini europei a norme giuridiche adottate senza alcun rispetto di procedure democratiche e di garanzia, le quali, anche per motivi di carattere storico, sono presenti in tutte le Costituzioni nazionali dei Paesi membri dell’Unione.
Ciò detto, per quel che concerne il processo di formazione dei Regolamenti dell’Unione Europea [1], questi vengono adottati sostanzialmente dal Consiglio europeo, un organismo comunitario non appositamente eletto e composto dai soli capi di Stato o di Governo di ciascuna Nazione facente parte dell’Unione, escludendo di fatto il Parlamento europeo (l’unica Istituzione comunitaria eletta dai cittadini a suffragio universale e diretto) dal processo decisionale in merito alla formazione dell’atto legislativo medesimo.
Ma v’è di più: dal punto di vista del rapporto gerarchico tra le Fonti del Diritto, il Regolamento comunitario è posto su un livello superiore rispetto alla legge ordinaria di ciascuno Stato membro, con la conseguenza che se una norma dello Stato non è conforme alla norma comunitaria, il giudice nazionale deve disapplicare la norma nazionale!
Alla faccia della democrazia!
Ciò premesso, appare quindi evidente come – attraverso un meccanismo del tutto anti-democratico e “truffaldino” – le forme dittatoriali del passato trovano nuovamente spazio anche nei giorni nostri, benché vestite con un abito blu contornato di stelle e – permettetemi di dirlo – di ipocrisia.
Le dittature del Secolo scorso erano facilmente individuabili in quanto avevano tutte le caratteristiche – formali e sostanziali – della tirannide; la nuova dittatura, invece, è rappresentata da un’Unione Europea presentataci come occasione di maggiore libertà, sviluppo, pace e democrazia, ma che invece nella sostanza – e sotto alcuni aspetti anche nella forma – esercita il potere attraverso strumentazioni che non differiscono di molto da quelle utilizzate dalle tirannie del passato.
Alla luce di quanto premesso, a cosa servono ormai le sacrosante garanzie procedurali previste dalle Costituzioni nazionali per la formazione degli atti legislativi, se altri atti dotati di medesima forza ed efficacia vengono ugualmente adottati da organismi comunitari non eletti e senza il rispetto di procedure democratiche nell’adozione degli stessi? A cosa sono serviti i milioni di morti del passato? A cosa è servito il sangue versato durante il Risorgimento, oppure durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale? A cosa è servita la lotta partigiana contro il nazi-fascismo? A cosa è servita la lotta fratricida tra fascisti e partigiani durante la guerra civile? A cosa sono servite le lotte sociali?
La cosa che più mi lascia sconvolto è quella che, proprio quegli stessi personaggi che in televisione si lavano la bocca con la parola Costituzione, sono gli stessi che hanno consentito – e continuano a permettere – irragionevoli e sproporzionate cessioni di sovranità nazionale in favore di organismi comunitari non eletti che, nell’esercizio dei loro poteri e facoltà, non sono tenuti ad osservare alcun criterio che possa definirsi democratico.
E’ quindi evidente che, con la scusa dell’integrazione europea e con una giusta dose di “miele avvelenato” rappresentato da concetti astratti come Europa e Popoli, è stato costruito un meccanismo sovranazionale di produzione legislativa che non solo non ha nulla da invidiare – da un punto di vista giuridico e democratico – alle dittature del Secolo scorso, ma che arriva addirittura a sottomette ben quattrocento milioni di cittadini senza che questi siano stati dotati di efficaci strumenti di controllo nei confronti di quelle stesse Istituzioni europee che esercitano – nella sostanza – il vero potere decisionale nell’adozione degli atti legislativi comunitari.
L’unico organismo europeo eletto direttamente dai cittadini è, come ho già evidenziato, il Parlamento, il quale – tuttavia – è stato appositamente esautorato, sin dalla sua istituzione, delle facoltà, dei poteri e delle prerogative che sono tipici dei Parlamenti nazionali, assemblee nate dalle lotte e dalle Rivoluzioni che hanno infiammato l’Europa dal 1789 in poi… Ben due Secoli di Storia sono stati appositamente sacrificati sull’altare di una modernità europea Restauratrice!
Non ai posteri, ma a noi, l’ardua Sentenza!
Avv. Giuseppe Palma del foro di Brindisi
[1] Ricordo nuovamente al lettore che i Regolamenti comunitari producono effetti giuridici in ciascuno degli Stati membri senza che questi possano esercitare neppure un controllo postumo come avviene, ad esempio, per i Trattati.