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Il pignoramento e il diritto di abitazione della casa coniugale attribuito in sede di separazione e divorzio: Cassazione 19.07.2012 n.12466

L’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli in caso di separazione e divorzio non ferma il pignoramento o l’esecuzione forzata sul bene, il creditore, potrà, quindi, recuperare i propri crediti, ma, anche in tal caso, il diritto di abitazione resta opponibile al terzo acquirente.
A cura di Paolo Giuliano
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RENIS TONY

Questa sentenza della Cassazione del luglio 2012 si occupa del diritto di  abitazione (e/o dell'assegnazione) della casa familiare (in caso di separazione e divorzio) al coniuge affidatario dei figli o presso il quale sono "collocati" i figli (dopo la riforma dell'affido condiviso si tende ad usare la locuzione "collocazione" in luogo di affidamento, questo al fine di sottolineare che il mero collocamento dei figli presso uno dei genitori non incide sull'affidamento congiunto degli stessi).

Giusto al fine di descrivere brevemente l'istituto è possibile affermare che il legislatore riconosce al coniuge affidatario dei figli il diritto di continuare ad abitare la casa familiare. In un precedente articolo, (che può essere letto qui ), in modo più ampio ed approfondito avevano già descritto l'istituto e le principali problematiche dell'assegnazione della casa familiare e del diritto di abitazione in caso di separazione e divorzio.

La precisazione del tipo di diritto di abitazione (c.d. assegnazione dell'abitazione al coniuge affidatario dei figli in caso di separazione e divorzio) è opportuna perchè permette di distinguere il diritto di abitazione della casa familiare riconosciuto al coniuge superstite tipico del diritto successorio (un articolo su questo aspetto può essere letto qui), dal diritto di abitazione riconosciuto al coniuge affidatario dei figli (in caso di seprazione e divorzio) e, infine, dal diritto di abitazione (tipico) regolato dal codice civile negli art. 1022 c.c. ss.

La peculiarità della sentenza della Cassazione non è tanto il fatto che riconferma l'interpretazione (poi codificata nell'art. 155 quater c.c.) secondo cui il provvedimento di assegnazione della casa familiare è opponibile ai terzi se trascritto, ma se non trascritto conserva una limitata opponibilità ai terzi per un periodo di 9 anni dalla data certa del provvedimento, (è evidente che si tratta di una controversia sorta prima dell'introduzione del nuovo art. 155 quater c.c. e conclusa dopo tale innovazione legislativa). In realtà, l'elemento più interessante contentuto in questa sentenza  è l'affermazione secondo cui l'assegnazione della casa familiare (nel caso specifico con provvedimento trascritto) non ferma il pignoramento dell'immobile e, quindi, la procedura esecutiva, ma la mancata efficacia "paralizzante" della procedura esecutiva non esclude l'opponibilità ai terzi (e, quindi, al terzo acquirente del bene pignorato e venduto all'asta) del diritto di abitazione, cioè non elimina l'opponibilità ai terzi del diritto di abitazione.

Si tratta di un principio "forte", che potrebbe anche lasciare perplessi. Perplessità che non sono fugate neppure dalla vicenda concreta alla base della sentenza (in sintesi la storia è questa: bene pignorato, sembra da creditore ipotecario, la moglie titolare del diritto di abitazione si oppone all'esecuzione per tutelare il proprio diritto di abitare)

Infatti, se si segue la ricostruzione secondo la quale il diritto di abitazione è un diritto reale è evidente che il pignoramento della piena proprietà e la successiva vendita all'asta della piena proprietà (e non della nuda proprietà) determinerebbe la compressione (se non l'eliminazione del diritto di abitazione), senza considerare che il nuovo acquirente pagherebbe un corrispettivo per la piena proprietà del bene, mentre potrebbe avere a sua disposizione solo la nuda proprietà dello stesso bene, con la conseguenza, che nuda proprietà avrebbe anche un valore inferiore rispetto il valore della piena proprietà, cioè, di fatto, il terzo acquirente pagherebbe una somma maggiore rispetto al valore del diritto che ha effettivamente acquistato.

Se, invece, si segue la diversa ricostruzione secondo cui il diritto di abitazione è una forma di diritto personale di godimento (opponibile ai terzi, in modo, più ampio rispetto la stessa locazione) l'affermazione della Cassazione sarebbe di più facile inquadramento sistematico.

Probabilmente solo una attenta lettura delle "domande" reali contentute negli atti processuali potrebbero chiarire meglio la situazione (infatti, anche seguendo la ricotruzione del diritto di abitazione come diritto reale, un'opposizione diretta alla mera inefficacia dell'esecuzione, in presenza di una esecuzione limitata alla  "nuda proprietà" del bene non poteva comportare l'inefficacia o la sospensione dell'esecuzione).

Cassazione civ. sez. III, del 19 luglio 2012 n. 12466

Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica, con effetto ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 cpc autorizzativo dell'interruzione della convivenza tra i coniugi, stante il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria dello stesso.

Invece, la sentenza di esecuzione in forma coattiva dell'obbligo di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto definitivo, che è destinata a surrogare, solo con il passaggio in giudicato.

Ne deriva che, secondo la stessa prospettazione dell'impugnante, l'effetto acquisitivo del diritto di proprietà sull'immobile staggito si è verificato in un momento in cui la comunione legale era già sciolta, di talchè di quel diritto è titolare, in via esclusiva, il debitore esecutato.

Infine, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione non è elemento che possa incidere sulla pignorabilità del bene.

È invero giurisprudenza consolidata di questa Corte, dalla quale non vì è ragione di discostarsi, che, ai sensi dell'art. 6, comma 5, della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (nel testo sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987 n. 74) applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in  data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni.

Merita di essere evidenziato, per quanto qui interessa, che a siffatte conclusioni il Supremo Collegio è pervenuto all'esisto di una completa ricostruzione dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, valorizzando la ratio della norma in discorso e le esigenze di ordine sistematico, in base alle quali, diventa agevole, superando le ambiguità del tenore letterale dell'art. 6 comma 6 della legge sul divorzio, ravvisare nel richiamo all'art. 1599 c.c. in esso contenuto, la  precisa volontà del legislatore di assimilare ai meri fini della trascrizione, il diritto dell'assegnatario a quello del conduttore, così attribuendo all'istituto un quoziente di opponibilità ai terzi anche a prescindere dalla trascrizione.

In tale contesto va affermato che il diritto vantato dall'assegnataria, opponibile al terzo acquirente, non paralizza tuttavia quello del creditore di procedere in execitivis sul bene oggetto dell'assegnazione, pignorandolo e facendolo vendere coattivamente, di talchè la scelta adottata nella sentenza impugnata va confermata sia pure per ragioni diverse da quelle addotte dal giudice di merito.

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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