Nel diritto civile un aspetto sempre molto controverso riguarda la questione relativa alla distanze tra costruzioni. La questione potrebbe sembrare banale, in realtà nasconde molti problemi dovuti sia alle diverse fonti che regolano la questione (es. codice civile, regolamenti comunali, leggi speciali) sia al metodo di calcolo delle distanze (tra costruzioni o dal confine tra le proprietà) ed, infine, all'evoluzione tecnica e normativa (che considerando anche problemi sismici) impone distanze non quantificate ab origine, (come ad esempio m. 8 dalla costruzione) ma da quantificarsi in base a fattori diversi verificabili solo ex post (come, ad esempio, una distanza pari alla metà dell'altezza dell'edificio).
La ratio delle norme che impongono le distanze può essere facilmente compresa se si considera che imporre delle distanze tra edifici o tra costruzioni ha la funzione di prevenire la creazione di anguste intercapedini insalubri (che non permettono il passaggio di luce ed aria) e pericolose per l'ordine pubblico (in quanto non permettono il passaggio di cose o persone in caso di necessità).
Altro problema che si pone è quello di individuare una definizione giuridica di costruzione (alle quali si applicano le norme sulle distanze). Può rientrare nella definizione di (nuova) costruzione tutto quello che trasforma il suolo incolto o inedificato. Non è necessario che la costruzione sia ultimata e completa, per essere sottoposta alle norme sulle distanze, ma possono applicarsi le norme sulle distanze anche solo alle parti realizzare del futuro edificio; inoltre non è necessario che sia costruita la parte principale della costruzione, basta anche solo la realizzazione di parti secondarie (come le pertinenze: parcheggi, le norem sulle distanze si applicano anche ai balconi e alle vedute o finestre, questione controversa è quella relativa all'applicabilità delle norme sulle distanze alle mere luci). Risulta, inoltre, irrilevante se la costruzione si trova interamente sopra il suolo o sotto il suolo oppure se la costruzione fuoriesce solo in parte dal suolo.
La normativa sulle distanze è variegata e stratificata nel tempo, il problema è dato dal coordinamento delle diverse norme. La norma cardine è l'art. 873 c.c. rubricata con il titolo di "Distanze nelle costruzioni" il quale dispone che "Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore".
Dall'art. 873 c.c. si deducono alcuni principi 1) quando le costruzioni non sono unite o aderenti devono avere una distanza non minore di tre metri 2) i regolamenti locali possono stabilire una distanza maggiore (non minore). Per regolamenti locali ci si riferisce ai piani regolatori generali e/o ai regolamenti edilizi comunali ecc., i quali – di solito – prevedono distanze tra le costruzioni (o tra la costruzione e il confine) maggiori di tre metri, in altri termini impongono spazi più ampi rispetto a quanto previsto dal codice civile (il quale, ricordiamoci, è stato redatto nel 1942); è opportuno subito cominciare a distinguere per quanto riguarda le distanze tra due elementi: a) distanze tra due costruzioni, b) distanze delle costruzioni dal confine (questo aspetto sarà importante per comprendere le modalità di calcolo delle distanze); 3) sempre dall'art. 873 c.c. si deduce che uno dei presupposti per l'applicazione delle distanze è dato dal fatto che i fondi devono essere "finitimi" nel senso che devono essere confinati o contigui, di conseguenza, se i due fondi sono separati da una strada pubblica l'art. 873 c.c. non è applicabile.
La seconda fonte normativa relativa alla distanze è quella dei regolamenti (comunali) richiamati dall'art. 873 c.c. I regolamenti comunali hanno la possibilità di aumentare le distanze previste dal codice civile e possono essere usati come fonte giuridica per quantificare le distanze proprio perché la legge (intesa come codice civile) richiama i regolamenti, permettendo che tali documenti assurgano al rango di norma integrativa (di pari grado) del codice. Quindi, questo comporta che quando il giudice che deve risolvere una questione sulle distanze deve verificare se sussistono regolamenti amministrativi integrativi del codice civile e deve "trovare" d'ufficio (cioè di sua iniziativa) i predetti regolamenti.
Terza fonte in materia di distanze è l'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (modificato nel 1967) che in materia di distanze richiama il Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 art. 9. Sostanzialmente con il decreto del 1968 n. 1444 è stato imposto ai comuni di adottare dei regolamenti conformi alle distanze previste nel medesimo decreto ministeriale; questo, ovviamente, non esclude che possono esserci delle discrasie o non conformità tra regolamenti comunali e decreto ministeriale (es. regolamento comunale non aggiornato) ecco, quindi, che sorge la questione se il decreto del 1968 n. 1444 prevale sul regolamento comunale, posto che in assenza di regolamento comunale è abbastanza pacifico che si applicano le misure sulle distanze previste nel decreto ministeriale del 1968 n. 1444.
Infatti, si sostiene che le limitazioni previste dall'art. 41 quinquies della legge n. 1150/42, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/67, riguardanti la distanza tra edifici vicini nei comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di fabbricazione, si estendono anche ai comuni dotati di regolamento edilizio, se esso è privo di norme disciplinanti i distacchi tra costruzioni, mentre prevalgono (i regolamenti) nel caso in cui il regolamento contenga tali disposizioni.
Il problema non è solo "giuridico" relativo all'individuazione della normativa applicabile, ma riguarda anche un aspetto concreto relativo alle modalità di misura delle distanze, in altri termini, le distanze tra costruzioni possono essere prese misurando l'edificio con l'edificio oppure considerando la distanza tra l'edificio e il confine della proprietà (ed è inutile dire che entrambe i metodi di misurazione sono previsti nelle varie fonti). La differenza tra le due modalità di misura delle distanze è notevole se si considera anche il principio della prevenzione.
Infatti, supponiamo di partire dal metodo più semplice di misura: la distanza tra costruzione e costruzione. In questa ipotesi, il punto di partenza e il punto di arrivo saranno i due edifici, ma alla domanda in caso di violazione delle distanze quale dei due edifici dovrà essere arretrato, si risponde che dovrà essere arretrato l'edificio costruito per secondo (o per ultimo), in altri termini, in caso di costruzioni eseguite senza il rispetto delle distanze, l'edificio costruito per primo rimane fermo e verrà arretrato l'edifico costruito per secondo (questo è il criterio della prevenzione o della costruzione preventiva). Risulta evidente che in questo modo il peso delle distanze verterà esclusivamente sulla costruzione edificata per ultima.
Il secondo metodo di calcolo delle distanze (costruzione – confine) prevede che se è prevista una distanza di m. 8 dal confine, occorre prendere come punto di partenza il confine tra le due proprietà, dividere per 2 la distanza prevista, (in questo caso 8 : 2 = 4 m.) e misurare 4 metri dal confine, se la costruzione (di tizio) è a distanza superiore di 4 m.è in regola, se, invece, la costruzione (di caio) è a 3 metri dovrà arretrare di 1 m. Risulta evidente che il calcolo delle distanze dal confine è un metodo di calcolo più mite del precedente e, di fatto, "spalma" il vincolo e il peso relativo alle distanze su entrambe le costruzioni. Infatti, arretrerà la costruzione che non rispetta le distanza dal confine, indipendentemente dal tempo della costruzione, in altri termini il principio della prevenzione non si applica e potrebbe arretrare la costruzione costruita per prima.
La necessità di temperare il metodo di calcolo basato sulla mera distanza tra costruzioni e sul principio assoluto della prevenzione, apre una serie infine di ricostruzioni, infatti,
– una tesi ritiene che il principio del metodo di calcolo basato sulla distanza del confine (indipendentemente dal principio della prevenzione) si applica solo quanto è espressamente previsto, nel caso in cui il regolamento edilizio determini solo la distanza fra le costruzioni, in assenza di qualunque indicazione circa il distacco delle stesse dal confine, il principio della prevenzione deve ritenersi operativo;
– altra ricostruzione ritiene che anche se non è espressamente previsto il criterio del calcolo delle distanze con il confine può essere applicato, in quanto il principio della prevenzione deve essere "attenuato" tramite una interpretazione restrittiva che comprenda il confine anche se non espressamente previsto come modalità di calcolo delle distanze ( prevedendo che quando i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, detta prescrizione deve intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, dell'operatività del criterio cosiddetto "della prevenzione" oppure prevedendo che anche se non opera la prevenzione ove i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, detta prescrizione dovendosi intendere comprensiva di un implicito riferimento al confine, precisa che il metodo di misurazione dei distacchi – metà della distanza dal confine per ciascun proprietario – non è incompatibile con la previsione della facoltà di edificare sul confine ove lo spazio antistante sia libero fino alla distanza prescritta, oppure in aderenza o in appoggio a costruzioni preesistenti, con conseguente applicabilità del criterio della prevenzione).
La questione è stata rimessa alle sezioni unite dalla cassazione.
Cass., civ. sez. II, del 12 marzo 2015, n. 4965 in pdf