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Opinioni

I principi generali della lite temeraria ex art. 96 cpc

La Cassazione del 20.1.2015 n. 817 ha confermato che agire o resistere in giudizio con colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione.
A cura di Paolo Giuliano
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Sono state molte le strade percorse per eliminare il numero dei contenziosi e, quindi, per abbreviare i tempi della giustizia civile (applicando il principio secondo il quale meno procedimenti intasano i tribunali, più rapida dovrebbe essere la chiusura di ogni procedimento).

Una strada è sempre stata quella della riforma del codice di procedura civile con risultati molto scarsi, (infatti, dal 1990 ad oggi si è perso il conto del numero delle modifiche apportate al codice di procedura). Altra strada (più recente) è stata di introdurre un sistema di risoluzione della lite alternative al processo (mediazione obbligatoria e negoziazione assistita), che sulla carta hanno prodotto scarsi risultati, in quanto basate su un errore di fondo, secondo il quale è sempre possibile trovare un accordo tra le parti in lite (indipendentemente dal torto o dalla ragione), quando, in realtà, esistono numerosi contenzioni che richiedono l'individuazione e l'applicazione della norma del diritto, basta pensare ad una richiesta di risarcimento del danno (che essenzialmente è legata al quantum del risarcimento) e ad una richiesta di valutazione del corretto comportamento dell'assemblea di condominio. L'inefficienza di questo tipo di soluzione è dovuta anche al fato che non è stata prevista un sistema di arbitrale di facile ed economico accesso (in altri termini, fornendo alle parti la possibilità di ottenere l'applicazione della norma di diritto senza ricorrere al tribunale).

Altra strada è stata quella di rendere più costoso l'accesso alla giustizia  (al fine di eliminare una parte di procedimenti "bagattellari", cioè di scarso o inutile valore), in questo modo, però, si è raggiunto, il non facile risultato, di rendere difficile (se non escludere)  dall'accesso alla giustizia un buon numero di problematiche, che non possono avere come unico metro di valutazione il valore economico, ma che restano comunque "rilevanti" per altri aspetti.

Ultima strada per ridurre il numero dei contenzioni è quello di sanzionare la parte (e, quindi, il professionista che segue la parte) nell'ipotesi in cui avalli domande o  richieste pacificamente infondate. In altri termini, si impone  alla parte e al professionista che segue la questione (prima dell'inizio della lite) di non far giungere in giudizio richieste pacificamente non realizzabili pena il  risarcimento del danno all'altra parte.

Questa strada viene perseguita in due modi: aumentando l'onorario del professionista che già con il primo atto in giudizio riesce ad evidenziare la fondatezza della propria domanda (in altri termini si chiede al professionista di articolare immediatamente tutte le proprie difese ed eccezioni, senza beneficiare delle scadenze processuali), l'altra è quella di risarcire il danno alla parte che partecipato o ha dato vita ad un giudizio con la consapevolezza dell'infondatezza della propria pretesa.

L'art. 96 cpc prevede proprio queste due ultime ipotesi quando stabilisce che "Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave,  il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata".

Differenza tra il I e II comma dell'art. 96 cpc e il III comma dell'art. 96 cpc. Il primo problema che si pone è quello relativo alla soluzione del quesito se il 3 comma dell'art. 96 cpc è una specificazione dei primi due commi del medesimo articolo, oppure, si tratta di due situazioni completamente diverse. La stessa domanda può essere posta in modo diverso chiedendosi se l'intero articolo regola solo il risarcimento del danno per lite temeraria oppure se l'ultimo  comma introduce una responsabilità diversa una fattispecie (una vera e propria sanzione) per danni punitivi o una sanzione (economica) punitiva o una condanna (economica) punitiva per il comportamento tenuto. R

isulta evidente che se si segue la prima soluzione le differenze tra i primi due commi dell'art. 96 cpc e il terzo sarebbero viste come semplice ampliamento delle ipotesi già regolate dalla medesima fattispecie (il terzo comma amplia le ipotesi previste dai primi due commi) , mentre se si segue l'altra ricostruzione, le differenze tra i diversi commi dell'art. 96 cpc si spiegherebbero in quanto regolerebbero ipotesi diverse la prima un risarcimento del danno vero e proprio (comma  I e II), la seconda una sanzione punitiva (comma III).

Attore e convenuto. L'intero art. 96 cpc (I, II, e III comma)  sanziona tanto il comportamento dell'atto quanto quello del convenuto (quindi, non è possibile circoscrivere o limitare la responsabilità ex articolo 96 cpc solo a colui che inizia il processo o a colui che si difende nel processo).

Procedimento. L'intero art. 96 cpc (I, II, e III comma) sanziona tutti i procedimenti giurisdizionali a cognizione piena o cautelari, (contenziosi o di volontaria giurisdizione), i procedimenti esecutivi e anche alcune attività extra processuali, ma correlate all'attiivtà processuale come la trascrizione di domande giudiziali infondate.

Elemento caratterizzante. Le differenze tra i diversi commi si cominciano a notare nel momento in cui si valuta e si cerca di individuare gli elementi caratterizzanti i diversi commi, infatti, mentre il I e il II comma dell'art. 96 cpc richiedono il dolo o la colpa grave (il II comma parla di "mancata prudenza", ma questa locuzione viene interpretata sempre come presenza di dolo o di colpa grave, di fatto, equiparando I e II comma). Il III comma dell'art. 96 cpc svincola il giudice dal dolo e dalla colpa grave (non richiama, infatti, il dolo, la colpa grave o la mancanza di prudenza), anzi usando la locuzione "in ogni caso" sembra che possa fare riferimento a tutte le altre ipotesi non previste dagli precedenti commi dell'art. 96 cpc.

E' opportuno sottolineare che agire o resistere in giudizio con dolo o colpa grave significa azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell'infondatezza della domanda o dell'eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell'infondatezza della propria posizione.

Il presupposto attivante. Le differenze tra i diversi commi si cominciano a notare nel momento in cui si valuta e si cerca di individuare l'elemento che attiva l'art. 96 cpc, infatti,  mentre il I e il II comma sono attivabili solo su istanza di parte (da proporsi compatibilmente con le preclusioni processuali, quindi, non oltre la terza memoria del 183 cpc), al contrario, per l'ipotesi prevista dall'art. 96 cpc comma III non è necessaria nessuna istanza di parte, ma è applicabile d'ufficio. Questo comporta che la legittimazione a chiedere l'applicazione dell'art. 96 cpc spetta solo alla parte danneggiata (nell'ipotesi del 96 comma I e II cpc, mentre nell'ipotesi del III comma dell'art. 96 cpc chiunque è legittimato a far rilevare l'applicazione dell'art. 96 cpc).

Quantificazione e liquidazione dei danni.  Mentre per i primi due commi dell'art. 96 cpc si è sempre sostenuta la ricostruzione per la quale i danni dovessero essere provati dalla parte che chiedeva l'applicazione dell'art. 96 cpc (in mancanza di prova ci sarebbe stata solo la valutazione della astratta configurabilità dell'applicazione dell'art. 96 cpc, ma non la liquidazione del danno), il terzo comma dell'art. 96 cpc prevede espressamente che la quantificazione del danno possa essere fatta con equità dal giudice. Trattandosi di una valutazione equitativa, la prova del danno dovrebbe essere anche più ampia e effettuata per presunzioni (es. tempo perso per seguire il processo) questo per scoraggiare comportamenti processuali tesi solo a perdere tempo o manifestamente infondati ed inutili).

Responsabilità professionale. Naturalmente anche se è la parte sostanziale ad essere condannata al pagamento ex art. 96 cpc, questo non esclude che la medesima parte processuale possa rivalersi (per negligenza professionale) sul proprio avvocato che non ha rifiutato il patrocinio di una pretesa infondata. La differenza consisterebbe nella diversa responsabilità l'art. 96 cpc sarebbe una responsabilità extra contrattuale, mentre la responsabilità dell'avvocato verso il proprio cliente condannato ex art. 96 cpc sarebbe una responsabilità contrattuale.

Cass., civ. sez. III, del 20 gennaio 2015, n. 817 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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