La responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo in caso di fallimento
In caso di fallimento di una società gli amministratori e i sindaci sono responsabili del danno cagionato ai creditori e ai soci (se, ovviamente, il fallimento è a loro imputabile).
In particolare l'art. 146 della legge fallimentare prevede che sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori.
La legittimazione del curatore ad esercitare le azioni processuali contro gli amministratori
Il potere (dovere) del curatore ad esercitare l'azione di responsabilità a carico degli amministratori è subordinato all'autorizzazione del giudice delegato.
Ci si chiede se tale autorizzazione è unica e omini comprensiva ricomprendendo qualsiasi ogni azione da esercitare oppure se deve essere concessa un'autorizzazione singola e specifica per ogni singolo giudizio da intraprendere o singola domanda processuale da proporre.
Le conseguenze concrete derivanti dall'applicazione di una o dell'altra delle due ricostruzioni sono evidenti, infatti, nel primo caso il curatore ottenuta l'autorizzazione non ha problemi relativamente a nessun tipo di legittimazione, mentre nella seconda ipotesi, occorre sempre valutare se la domanda processuale o il giudizio intrapreso è ricompreso nell'autorizzazione ottenuta e richiesta e, in caso di discarasia tra autorizzazione e azione giudiziaria, la domanda è improcedibile.
L'autorizzazione ex art. 146 legge fallimentare la posizione della giurisprudenza
L'autorizzazione del giudice tutelare è rilasciata affinché il curatore possa esercitare tutte le azioni previste dall'articolo 146 I.f. nei confronti degli amministratori e dei sindaci. Il problema, semmai, si porebbe solo se l'autorizzazione presenta limitazioni espresse.
Infatti, in relazione agli articoli 25, 31 e 146 della legge fallimentare la giurisprudenza ritiene che l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziaria conferita ex artt. 25, comma 1, n. 6 e 31, legge fall., al curatore del fallimento dal giudice delegato copre, senza bisogno di una specifica menzione, tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell'obiettivo del giudizio cui si riferisce l'autorizzazione, e l'eventuale limitazione di quest'ultima, in rapporto alla maggiore latitudine dell'azione effettivamente esercitata, costituisce una questione interpretativa di un atto di natura processuale, deducibile in sede di legittimità soltanto qualora sia stata proposta nel giudizio di merito.
Fallimento e prescrizione del risarcimento del danno prodotto dagli amministratori e sindaci
Anche il risarcimento del danno prodotto dagli amministratori e sindaci in caso di fallimento della società ha una termine di prescrizione. In questo contesto si pone il problema di stabilire se la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal giorno della dichiarazione di fallimento oppure dal giorno dell'approvazione del bilancio da cui risultava già il dissesto.
L'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell'art. 146 I.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 della I.fall., derivante, "in primis", dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito.
In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione "iuris tantum" di coincidenza tra il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa».
Ci si chiede se l'approvazione di un bilancio (da cui risulta il dissesto della società) è un elemento idoneo a far iniziare il decorso del termine della prescrizione rispetto la successiva data della dichiarazione di fallimento.
Il dies a quo della prescrizione decorre dal momento della dichiarazione del fallimento piuttosto che dal momento dell'approvazione del bilancio soprattutto quando manca la prova che il bilancio fosse stato pubblicato e conseguentemente reso noto ai terzi.
Cass., civ. sez. III, del 7 novembre 2019, n. 28617