L'art. 1 della legge fallimentare
Stabilisce l'art. 1 della legge fallimentare che sono soggetti al fallimento gli imprenditori che esercitano una attività commerciale. Quindi, la legge fallimentare distingue due categorie di soggetti: a) gli imprenditori che esercitano attività commerciale b) gli altri soggetti (eventualemtne anche imprenditori) che non esercitano attività commerciale. Solo gli imprenditori che esercitano l'attività commerciale
Sempre l'art. 1 della legge fallimentare all'interno della categoria dell'imprenditre che esercita attività commericale individua ulteriori elementi che devono sussistere per poter accedere al fallimento (ad esempio a) aver avuto un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila).
L'attività commerciale
Risulta evidente che la prima scriminate per l'assoggettabilità al fallimento dell'imprenditore è l'esercizio dell'attività commerciale. Come è evidente che occorre individuare gli elementi concreti che distinguono una mera attività dalla vera e propria attività economica o commerciale.
Ad esempio ci si dovrebbe chiedere se indicare la mera costituzione di una società è già indice dell'esercizio dell'attività economica oppure ci si dovrebbe chiedere se l'esercizio di attività commerciale da parte di una società può derivare solo dalla mera indicazione nell'oggetto sociale di una attività commerciale.
L'attività commerciale intesa come perseguimento del lucro oggettivo e lucro soggettivo
In generale si ritiene che l'esercizio di una attività commerciale presuppone l'esistenza del cd scopo di lucro (o guadagno).
Lo scopo di lucro si distingue in due elementi, lo scopo di lucro oggettivo che consiste nel perseguimento del criterio di economicità della gestione, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata ricollegabile all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi e lo scopo di lucro soggettivo, che consiste nella attribuzione all'imprenditore singolo e/o all'imprenditore collettivo degli utili ottenuti.
L'attività commerciale in presenza del solo lucro oggettivo in assenza del lucro soggettivo
Resta da chiedersi se può essere definito imprenditore (soggetto al fallimento) quel soggetto che esercita un'attività commerciale in cui è presente solo il lucro oggettivo, ma non il lucro soggettivo.
Il lucro soggettivo non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l'attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo).
Di conseguenza la nozione di imprenditore ai sensi dell'art. 2082 cod. civ. va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata che sia ricollegabile a un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro (soggettivo), il quale riguarda il movente personale e soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività.
Il fallimento e la società cooperativa
La puntualizzazione tra lucro oggettivo e lucro soggettivo diventa rilevante nel momento in cui si discute al fallimento delle cooperative, infatti, da un lato, l'art. 2545 terdecies cc dispone che le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento, dall'altro alto, le società cooperative perseguono lo scopo mutualistico (caratterizzato dall'assenza totale di scopo di lucro).
Il fine mutualistico non esclude in sè la natura di imprenditore commerciale di una cooperativa, dato che l'art. 2545 terdecies, come già prima l'art. 2540 cod. civ., ne prevede espressamente la dichiarazione di fallimento, così riconoscendo che queste possono svolgere anche un'attività commerciale.
Occorre chiedersi quale lucro è escluso in presenza di uno scopo mutualistico, oppure, come è possibile combinale uno scopo mutualistico, con l'esercizio dell'attività economica e, quindi, del fallimento.
Ora, è vero che le società cooperative sono caratterizzate dal c.d detto scopo mutualistico (assenza di qualsiasi scopo di lucro), ma è anche vero che nell'ambito delle cooperative lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria che, con l'attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando cosi il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro.
Ecco, quindi, che il lucro oggettivo non è inconciliabile con il fine mutualistico e può essere presente anche in una società cooperativa.
Ne consegue che anche tale società ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell'art. 2545 terdecies cod. civ se sussiste il lucro oggettivo.
Per cui è l'indagine sull'esistenza dello scopo di lucro oggettivo deve essere effettuata anche in presenza di uno scopo mutualistico e l'esistenza di uno scopo di lucro oggettivo non può essere escluso solo dal fine mutualistico della cooperativa, posto che l'attività commerciale non è incompatibile con la finalità mutualistica.
Cass., civ. sez. I, del 10 ottobre 2019, n. 25478