Patrick George Zaky indossa grossi occhiali e sorride sotto baffi e pizzetto. Ha le braccia conserte di chi si mette in posa per la foto ma non ne è abituato. Certo non avrebbe avuto quel sorriso se avesse saputo che da un anno nel suo Paese, l'Egitto, pende un mandato di cattura nei suoi confronti. Zaky studia a Bologna, è un giovane e brillante ricercatore che frequenta un master internazionale in Studi di genere e aveva deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza tornando dalla sua famiglia. Karoline Kamer, una sua amica, racconta che era venuto in Italia "con l'idea di perfezionare la sua formazione e poi ritornare qui, per lavorare e migliorare l'Egitto": cercare cultura in giro per il mondo per migliorare il proprio Paese è un ideale alto, altissimo, e sta scritto anche nell'articolo 4 della nostra Costituzione (Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la proprio scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società).
Patrick George Zaky è stato arrestato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. È stato torturato, porta addosso tutti i segni delle violenze subite, raccontano i suoi legali. Non ha potuto contattare nessuno, nemmeno la famiglia, in quelle ore in cui è stato in mano ai suoi carcerieri e seviziatori. Un buco nero che riapre un altro buco che qui da noi sanguina ancora: l'omicidio di Stato (egiziano) che ha ucciso Giulio Regeni. Ti aspetteresti che l'Egitto almeno se non ci rispettasse ci temesse, almeno un po', e invece il governo di Al Sisi continua con le sue pratiche illegali, fuori da qualsiasi diritto umano, a fare ciò che vuole contro chi viene considerato nemico della nazione. Al Sisi e il suo clan di Stato ormai considerano il proprio territorio una terra franca dove decidere della vita e della morte delle persone: non c'è uno straccio di giustizia nei processi, non c'è uno straccio di chiarezza nelle accuse. Niente di niente.
Dice giustamente Amnesty International che il rischio che con Zaky avvenga ciò che è accaduto con Regeni sia altissimo, che conviene parlarne e farne parlare per difenderlo. Dovere fare rumore per salvare la vita a qualcuno fotografa perfettamente la brutta aria che si respira in Egitto. E noi continuiamo ad essergli amici. Anche su questo, converrebbe alzare la voce. Perché i diritti costano, sempre, e prima a poi toccano anche a noi.