Il concetto di donazione indiretta è uno dei più complicati presenti nel campo del diritto.
In sintesi si può affermare che la donazione indiretta è una donazione che viene realizzata usando lo schema di un diverso contratto o negozio (per questo viene usata la locazione "indiretta"). E' opportuno specificare che il contratto che permette di raggiungere la finalità della donazione (indiretta), paradossalmente, può anche essere oneroso, come, del resto nella vicenda oggetto della Cassazione civ. sez. II, del 29 febbraio 2012 n. 3134 che ha ad oggetto l'acquisto (quindi contratto oneroso) di una azienda con clausola di riserva della proprietà (ex art. 1523 c.c. secondo il quale "Nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna") e clausola per se o per persona da nominare (ex art. 1401 c.c. secondo il quale "Nel momento della conclusione del contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso").
La stessa Cassazione del 29 febbraio 2012 n. 3134 fornisce una definizione di donazione indiretta quando afferma che la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito, che è quello di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, (contratto di vendita di azienda) che può essere il più vario nei limiti consentiti dall’ordinamento e può essere costituito anche da più negozi tra loro collegati, cone nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si impegni a pagare il relativo prezzo ed, essendosene riservata la facoltà nel momento della conclusione dei contratto, provveda ad effettuare la di chiarazione di nomina, sostituendo a sé, come destinatario degli effetti negoziali, il beneficiano della liberalità, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente dei bene (azienda) ed intestatario dello stesso.
Molti altri sono gli schemi contrattuali che possono essre usati per raggiungere il risultato di una donazione (anche se indiretta) basta pensare all'adempimento del terzo (il padre che paga il prezzo di acquisto di un immobile intestato al figlio), il contratto a favore del terzo, la remissione, l'accollo di debito ecc.
L'importanza pratica di queste vicende, non è tanto l'indagine sulla compatibilità dello schema contrattuale usato con lo schema della donazione, ma le ricadute concrete di queste vicende e, di conseguenza, le applicazioni concrete dell'istituto della donazione indiretta riguardano sempre questioni di carattere ereditario, infatti, scoprire l'esistenza di una donazione indiretta (che in apparenza non è tale) comporta che l'erede per valutare se ha avuto in più del dovuto o in meno di quanto dovuto dovrà imputare alla propria quota la donazione indiretta, prima di poter agire per avere la quota che gli spetta o potrà vedersi ridurre la propria quota se, calcolando anche la donazione indiretta, ha ricevuto più del dovuto.
Il problema non riguarda solo il dare/avere tra eredi in caso di apertura della successione ereditaria o la quantificazione della quota ereditaria, ma incide anche sull'identificazione del bene concreto oggetto della donazione indiretta, per semplificare, usando l'esempio sopra fatto del padre che paga il prezzo della casa intestata al figlio, è oggetto della donazione indiretta (o in modo più chiaro il bene di cui il figlio riceve come donazione e di cui è beneficiario) è la somma (prezzo) pagata dal padre come corrispettivo o l'immobile (azienda) intestato al figlio ?
E' inutile nascondere che sul punto si sono scritti fiumi di inchiostro e, per quanto in questa sede può interessare la questione, nel caso oggetto della decisione della Cassazione civ. sez. II del 29 febbraio 2012 n. 3134, quest'ultima ha stabilito che, dopo aver effettuato la nomina ex art. 1401 c.c., oggetto della donazione indiretta è l'universalità, cioè l'azienda acquistata con il contratto, anche se pagata dal nominato (quindi, oggetto della donazione indiretta non è il prezzo pagato per l'acquisto del bene).
Fatta questa breve introduzione sui principi generali della materia, è opportuno notare che la sentenza della Cass. civ. sez. II del 29 febbraio 2012 n. 3134 è interessante perchè identifica un ulteriore tipo di contratto (nel caso specifico il contratto per persona da nominare ex art. 1401 c.c.) che può essere usato per raggiungere il fine di una donazione indiretta. Inoltre, altro elemento importante presente in detta sentenza può essere individuato nell'affermazione secondo cui la vendita di un bene con riserva di proprietà non è incompatibile con la donazione indiretta.
La vicenda giunta all'esame della Cassazione può essere così descritta: un padre acquista con una scrittura privata un'azienda (con riserva di proprietà in capo al venditore) e inserisce nel contratto la clausola per persona da nominare. Successivamente viene effettuata la nomina (il soggetto nominato è la figlia) e la nomina viene anche accettata dalla stessa, però il padre continua a pagare il corrispettivo pattuito per la cessione dell'azienda. Successivamente il padre viene interdetto e il tutore legale inzia una causa contro la figlia sostenendo che in tale contratto sussisteva un patto fiduciario con cui la figlia si era impegnata a ritrasferire l'azienda acquistata al padre oppure che tale contratto simulasse una donazione, per cui era nullo per mancanza di forma o perchè aveva ad ogetto un bene altrui (data la presenza di una clausola di riserva della proprietà).
La Cassazione esclude l'esistenza di un contratto fiduciario, (questa è una delle contestazioni poste dal tutore del padre per eliminare l'effetto a favore della figlia) questo perchè ricorre l’intestazione fiduciaria di un bene — frutto della combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti obbligatori a vantaggio del fiduciante – occorre che il trasferimento vero e proprio in favore del fiduciario sia limitato dall’obbligo, inter partes, del ritrasferimento al fiduciante o al beneficiano da lui indicato, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae. In detta figura manca qualsiasi intento liberale dei fiduciante verso il fiduciario e la posizione di titolarità creata in capo a quest’ultimo è soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante e nel caso specifico mancava (o non era stata frnita) la prova dell'esistenza di qualsiasi patto di ritrasferimento del bene.
La Cassazone esclude anche che il contratto di cessione di azienda simuli una donazione diretta, in quanto manca l'oggettivo impoverimento del donante e l'oggettivo arricchimento del donatario, ma, soprattutto, nel contratto stipulato per l'acquisto dell'azienda non è presente l'intento liberale (la volontà di donare) propria delle donazioni. Al massimo (come già anticipato) si è in presenza di una donazione indiretta dell'azienda. Identificabile nell’acquisto del complesso aziendale con denaro proprio del disponente e nell’intestazione della relativa titolarità in favore della persona designata e così beneficiata – la quale, con l’accettazione della dichiarazione di nomina, è di venuta parte in senso sostanziale dei negozio stesso, cancellando ogni situazione giuridica riconducibile al soggetto che aveva svolto per lei l’attività materiale di autore dei contratto.
Agiunge la Cassazione che la donazione indiretta non è esclusa dalla presenza di un contratto stipulato con la clausola con riserva di prprietà poichè la configurabilità della donazione indiretta e la validità della stessa non sono impedite dalla circostanza che la compravendita del complesso aziendale sia stata stipulata, nella specie, con riserva della proprietà in favore del venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo, giacché quel che rileva è che lo stipulante abbia pagato il corrispettivo (non importa se in unica soluzione o a rate) o messo a disposizione del beneficiario i mezzi per il relativo pagamento.
Se si accoglie la teoria secondo cui il contratto per persona da nominare è un'ipotesi di rappresentanza (anche se eventuale ed ad incertam persona) ne deve discendere che tra nominato e stipulans vige un rapporto di rappresentanza e mandato con la conseguenza che se lo stipulans (il rappresentante) effettua la nomina (esercitando i poteri previsti dalla procura) e anticipi il prezzo del bene, la successiva decisione del rappresentante (stipulans) di non richiedere al nominato (rappresentanto) il pagamento di quanto anticipato (principio proprio del mandato secondo cui il mandante deve fornire al rappresentante i mezzi per esercitare adempiere al suo incarico o deve tenerlo indenne delle spese subite) rappresenta solo una remissione di un debito o la rinuncia allo stesso, ma in quanto tale ci deve essere una espressa volontà sul punto e, naturalmente, ci deve essere la prova di questa rinuncia o remissione.
Se quanto detto è vero, il donante (divenuto nel frattempo incapace) poteva essere tutelato chiedendo la restituzione delle somme di denaro usate per acquistare l'azienza, azione tipica per ogni mandatario – rappresentante. Usando le norme previste nell'ambito del mandato come l'art- 1719 c.c. il quale precede che "il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome" e come l'art. 1720 c.c. il quale stabilisce che "Il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta".
In realtà, nel caso concreto, questa strada non poteva essere seguita sia perchè sembra che sia stata raggiunta la prova di questa rinuncia al recupero del credito da parte del padre rappresentante – mandatario, ma anche perchè (almeno per quanto risulta dalla sentenza della Cassazione) l'attore aveva limitato la propria azione solo alla domanda di simulazione o alla domanda di accertamento dell'esistenza di un contratto fiduciario, ma non aveva usato anche l'azione tipica prevista a favore del rappresentante (ex art- 1719 c.c. e 1720 c.c.), dunque la Cassazione, (ma anche le sentenze dei precedenti gradi di giudizio), dovendo rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non potevano (non vendolo fatto l'attore) condannare alla restituzione, quanto meno, del prezzo pagato per l'azienda.