Conciliazione giudiziale
La fine della lite può avvenire quando la sentenza (che conclude il processo) passa in giudicato, oppure, quando le parti raggiungono un accordo sulla controversia. Questo accordo può essere raggiunto fuori dalla sede giudiziaria con un racchiuso in un contratto denominato transazione, oppure, l'accordo sulla controversia può essere raggiunto alla presenza del giudice istruttore (e addirittura dal medesimo giudice agevolato). L'istituto che regola l'accordo sulla lite alla presenza del giudice è denominato conciliazione giudiziaria.
Nell'ottica deflattiva del carico processuale, il legislatore ha notevolmente potenziato l'istituto della conciliazione giudiziaria (cioè avvenuta alla presenza del Giudice Istruttore), basta, a tal fine ricordare l'art. 185 cpc e l'art. 88 disp att cc (che regola espressamente il contenuto del verbale di conciliazione giudiziario) .
Natura della conciliazione giudiziaria
La conciliazione giudiziaria è definita dal legislatore come una "convenzione" (art. 88 disp att cc). Si tratta di un negozio giuridico che, presuppone la volontà delle parti di chiudere la lite, molto spesso può anche contenere delle reciproche concessioni, ecco, quindi, che la conciliazione non è altro che una transazione raggiunta in sede giudiziale.
La conciliazione, anche se mette fine alla lite, chiudendo il procedimento, (cessata materia del contendere), non è equiparabile ad una sentenza passata in giudicato, ma ha solo l'effetto di attribuire al contratto (atto negoziale) di conciliazione l'esecutività propria dei contratti ex art. 474 cpc.
Oggetto della conciliazione giudiziaria
Il verbale di conciliazione può avere ad oggetto dei diritti reali immobiliari ed è idoneo a trasferire il diritto dominicale e perciò costituisce titolo valido per la trascrizione.
Opponibilità ai terzi e trascrizione del verbale di conciliazione giudiziaria
Quando la conciliazione giudiziaria ha ad oggetto diritti reali immobiliari richiede, per l'opponibilità, l'ulteriore formalità della trascrizione.
La trascrizione ha lo scopo di attuare una forma di pubblicità posta a tutela della circolazione dei beni immobili e finalizzata alla soluzione del conflitti fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa. Infatti, nulla esclude che il medesimo soggetto venda lo stesso bene a due persone differenti.
Quando si verificano questi conflitti il legislatore ha ritenuto di dare prevalenza al secondo acquirente se ha trascritto per primo il suo atto (anche se il secondo contratto è stato redatto per secondo), in altri termini, non viene data tutela in base alla data della redazione del contratto, ma alla prima trascrizione.
Eseguita la trascrizione del secondo contratto, il primo contratto (trascritto per secondo) diventa irrilevante. Questa vicenda viene definita come un "effetto risolutivo del primo acquisto" prodotto dal perfezionarsi di una fattispecie complessa, costituita dal titolo e dalla trascrizione.
L'efficacia della trascrizione, di converso, non può operare quando colui che ha venduto non è mai stato proprietario del bene (basta pensare al famoso film in cui Totò vende la fontana di trevi) oppure quando una vendita è già stata trascritta. Infatti, in quest'ultima ipotesi, colui che acquisisce un bene quando la trascrizione di un altro trasferimento è già stata effettuata deve essere equiparato all'acquirente a non domino, per essere l'atto in questione intervenuto in un momento in cui il venditore non disponeva più del bene.
In altri termini, l'avvenuta trascrizione di un atto non è idonea ad attribuire la validità di cui esso sia naturalmente privo.
Questo perché la trascrizione non essendo un elemento della fattispecie negoziale non spiega alcuna influenza sulla validità (ed efficacia) del negozio "inter partes", la quale rimane legata alla legittimazione del disponente ed ai poteri che questi aveva in virtù del proprio titolo di acquisto.
Conseguentemente, l'avvenuta trascrizione di un atto è inidonea ad attribuire ad esso la validità di cui, come titolo di acquisto, sia naturalmente privo: un acquisto "a non domino" resta tale anche se tempestivamente e regolarmente trascritto.
In definitiva nell'ipotesi di conflitto tra un acquisto "a domino" ed un acquisto "a non domino" dello stesso bene, non opera l'istituto della trascrizione, la cui funzione legale – esclusa ogni efficacia sanante i vizi da cui fosse eventualmente affetto l'atto negoziale trascritto – è solo e semplicemente quella di risolvere il conflitto tra soggetti che abbiano acquistato lo stesso diritto, con distinti atti, dal medesimo titolare.
Prova dell'acquisto del diritto mediante verbale di conciliazione
Anche se la trascrizione è finalizzata a risolvere il conflitto tra soggetti che hanno acquistato lo stesso diritto dal medesimo titolare, rimane un istituto estraneo alla prova del diritto di proprietà.
La prova della titolarità del diritto deriva dal contratto di acquisto (dal contenuto del contratto di acquisto) e dal fatto che si è acquistato da un soggetto che è proprietario del bene (c.d. acquisto a domino)
In altri termini, l'avvenuta trascrizione di un atto non è idonea ad attribuire la validità all'atto di cui l'atto medesimo è naturalmente privo, perché, ad esempio colui che ha trasferito il bene non è mai stato proprietario dello stesso bene.
In tema di prova dei diritti reali la nota di trascrizione, quale documentazione amministrativa, non costituisce né atto di parte, né valida fonte di prova in ordine al contenuto del titolo cui si riferisce, ma uno degli elementi sui quali il giudice può fondare il proprio convincimento.
La nota di trascrizione non costituisce di per sè valida fonte di prova in ordine al contenuto del titolo cui si riferisce, ma solo uno degli elementi sui quali il giudice può fondare il proprio convincimento.
Cass., civ. sez. II, del 14 novembre 2016, n. 23127 in pdf