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Computer crimes e sistema penale

Il legislatore dovrebbe mostrare chiarezza d’intenti, che di certo non possono intravedersi nell’introduzione di singole fattispecie – anche se meritevoli, di tanto in tanto – o, peggio, nel rinvio a fattispecie tradizionali riadattate ad ipotesi innovative.
A cura di Redazione Diritto
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Questo articolo è a cura del Dott. Francesco Marangolo, laureato in giurisprudenza Federico II, con tesi in procedura penale "la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello". In Italia, l'interesse prevalente è diretto all'ambito penalistico, a Londra collabora con studi anglo italiani e si occupa dei rapporti dei clienti Italiani con la pubblica amministrazione Inglese

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Perché nuovi reati (reati informatici), quindi?

Perché li si definisce, spesso, nuovi reati? Da cosa deriva, o deriverebbe, questa autoreferenziale novità? Dalla data di promulgazione? Seguendo questa opzione allora il reato di “omicidio stradale” sarebbe da qualificare come più nuovo della c.d. “frode informatica”, pur rientrando in un genus tra i più risalenti nel tempo. E del resto, le prime manifestazioni di politica criminale nazionale – ed atti non vincolanti a livello europeo, quando la materia penale veniva ancora integralmente ricondotta nel c.d. “terzo pilastro” – le dobbiamo far risalire ai primi anni novanta; ben prima, quindi, di alcune fattispecie che in quell’epoca non erano minimamente oggetto di previsione – si pensi al c.d. reato di “stalking”. Quindi, si direbbe, la novità discende dalla natura “giovane” dei beni giuridici oggetto di tutela? E che dire, allora, dei reati che ledano beni giuridici “tradizionali” ma perpetrati mediante il sistema informatico – o telematico – e mediante internet? In questo caso il bene giuridico è sempre lo stesso, è la condotta del soggetto che muta o il mezzo utilizzato (e non sempre in modo così radicale come spesso evidenziato).

Superare “vecchi” concetti

È bene quindi, prim’ancora di circoscrivere l’oggetto  d’analisi – che resterà, comunque, confinato in modo non rigido – abbandonare una serie di concetti ed etichette di cui si è fatto uso arbitrario. La prima definizione eccessivamente utilizzata è proprio quella di “nuovi reati”, ed il concetto di novità in generale. Non si tratta solo di una considerazione pro forma, poiché sino a quando tale materia verrà definita come “nuova” permarrà una sensazione di estraneità, e qualsiasi fattispecie o innovazione introdotte nei codici resteranno avulse dal contesto. Naturale conseguenza, ovviamente, sarà quella di accettare in modo pedissequo qualsiasi ingerenza – perché purtroppo di ciò si tratta – della politica criminale di matrice europea – che, oltre ad essere caratterizzata ancora da un invalidante deficit democratico, tradisce ancora quella distanza da standard garantistici adeguati, se si esclude qualche richiamo, spesso pavloviano, alla Carta dei diritti fondamentali. Inoltre, il richiamo alla novità non è assolutamente giustificato, stante la presenza di fattispecie ed istituti già da diversi anni.

Cosa dovrebbe fare il legislatore

Il legislatore dovrebbe mostrare chiarezza d’intenti, che di certo non possono intravedersi nell’introduzione di singole fattispecie – anche se meritevoli, di tanto in tanto – o, peggio, nel rinvio a fattispecie tradizionali riadattate ad ipotesi innovative, con evidenti rischi in tema di tassatività e determinatezza (e di legalità in genere). Ugualmente, in tema di procedimento, è paradossale che una materia di importanza così preminente sia ricondotta a semplici modifiche di norme processuali – per fare un esempio semplice: ricomprendere nel concetto di documento anche quello di documento informatico; si tenga presente, che per lungo tempo il nostro sistema processuale è stato privo di una normativa e di una procedura per la perquisizione predisposta ad  evitare modifiche all’eventuale elemento probatorio o, peggio, la distruzione; e lo stesso vale per il sequestro consequenziale. Semplicemente si è scelto di dare per scontato che il nostro sistema fosse adatto a gestire nuove tipologie di prove e nuove manifestazioni del fenomeno criminale. Cosi, ovviamente, non era.

È necessario un sistema di norme, sostanziali e processuali, adeguate; è necessario predisporre mezzi idonei per le forze dell’ordine e per la procura della repubblica, oltre che per tutti gli altri soggetti. È necessario accettare che non siamo dinanzi ad un fenomeno “nuovo” ed ancora indefinito che vada a giustificare l’esitazione in punto di politica criminale (sempre da scongiurare). Si sta, probabilmente, confondendo l’estrema dinamicità dei nuovi mezzi e delle manifestazioni sociali che gli stessi presentano, con una sorta di inconciliabilità tra questi fenomeni ed i principi di diritto penale; niente di più sbagliato. È proprio avendo ben saldi quei principi che si andranno a creare fattispecie ed istituti “nuovi” aventi carattere realmente generale e garantista. E partendo da questa base sarà, se non semplice, quantomeno più agevole confrontarsi in modo pronto e garantista con i nuovi fenomeni criminali.

La progressiva scomparsa del concetto di immaterialità

Un secondo concetto che sarebbe bene abbandonare è quello di “immaterialità”. Anche in questa ipotesi, del resto, la scelta di evidenziare la differenza con le concezioni definite – con estrema semplificazione – “tradizionali” esporrebbe qualsiasi trattazione al rischio – su esposto – di creare un vincolo eccessivo; cosa distingue la truffa materiale da quella immateriale? La presenza fisica dell’autore? Lo scambio di denaro in modo tangibile? Ugualmente, una volta accolta in modo incondizionato – ed inevitabile – la nascita (da tempo, oramai) delle identità personali informatiche, perché il furto di tali identità dovrebbe essere differente rispetto a quelle definite “tradizionali”? Da cosa facciamo derivare questa differenza? Dalla presenza di un documento cartaceo o dall’azione corporea svolta dall’agente? Se è per questo, anche nell’utilizzare l’immagine che ritragga un soggetto per creare un profilo falso su una piattaforma social, il soggetto che commette il reato, pone in essere azioni materiali; e come si stabilisce il confine, allora? È indiscutibile che in queste manifestazioni criminali vi sia un margine di c.d. immaterialità maggiore, ma solcando ulteriormente un confine che viene via via a dissiparsi, si finisce per escludere una serie di ipotesi che, oltre ad aumentare quotidianamente, necessiterebbero di un sistema penale che le accolga come parte fondamentale. O, peggio, si va ad includere – e identificare come rilevanti penalmente – ipotesi prive di offensività e di rilievo sociale.

Da dove cominciare l’analisi

Il passo successivo sarà quello di ripercorrere i passaggi fondamentali che hanno portato all’attuale sistema, pur essendo quest’ultimo  rappresentativo di uno stato poco più che embrionale. Una volta acquisita una padronanza su gli eventi fondamentali, del luogo e del tempo in cui abbia avuto inizio la prima legislazione – e le prime manifestazione a livello di politica europea e nazionale –in questa materia, sarà anche più semplice analizzare le singole fattispecie, i singoli istituti ed i nuovi (questi si) orientamenti della giurisprudenza in materia. Sarà più agevole comprendere se una criticità sia conseguenza di una erronea e pedissequa traduzione (spesso intesa nel verso senso linguistico ) nel nostro ordinamento  di qualche istituto europeo o, al contrario, di incapacità del legislatore nazionale; come sarà altrettanto semplice capire se le oscillazioni giurisprudenziali siano giustificate da una normativa lacunosa o da conoscenza approssimativa in relazione ai mezzi e ai fenomeni che si vanno a prendere in considerazione.

Dott. Francesco Marangolo

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