Ogni volta che si apre una successione sorgono sempre e comunque questioni tra gli eredi. I motivi di contestazione sia in caso di successione senza testamento (e quindi regolata integralmente dalle legge, sia in caso di successione regolata da un testamento) riguardano la formazione delle quote dei singoli eredi.
Queste problematiche non riguardano solo la mera divisione dei beni ereditati (e quindi in comunione ereditaria) e la conseguente formazione delle quote, ma riguardano anche l'individuazione dei beni ereditari e poi la quantificazione della quota di ogni erede, in quest'ultima questione è compreso il problema se nella quota di tale erede sono comprese o meno eventuali donazioni ricevute in vita dal de cuius.
Il codice civile prevede che ad alcuni soggetti (figli, marito o moglie) del de cuius spetti una data parte di eredità, questi soggetti sono detti legittimari. Se a tali soggetti non è lasciata una parte di eredità corrispondente alla quota indicata dal codice civile, il legittimario leso può agire per integrare la sua quota riducendo le quote degli altri eredi o dei legatari o riducendo le donazioni fatte in vita dal de cuius.
In teoria la situazione è relativamente semplice, ma quando si passa dalla teoria alla pratica, la situazione cambia radicalmente, infatti, supponiamo che il de cuius abbia fatto in vita delle donazioni di denaro e di immobili, occorre determinare il valore di questi beni da prendere in considerazione (considerando che l'inflazione incide molto di più sul denaro che sugli immobili) e occorre determinare se il valore da prendere in considerazione deve essere quello che questi beni hanno al momento dell'apertura della successione o al momento in cui sono stati donati.
Per rendere ancora più complessa un'operazione che in apparenza potrebbe sembrare semplice, si potrebbe anche ipotizzare che il de cuius oltre a beni attivi abbia anche lasciato dei debiti e che uno dei legittimari abbia ricevuto dal de cuius mentre era in vita una donazione, ecco, dunque, che si comprende che prima di procedere alla materiale divisione dei beni ereditari, occorre identificare, ma soprattutto quantificare il valore dell'eredità al fine di valutare se i legittimari hanno (o meno) ricevuto quanto gli spetta ex lege.
Quindi occorre identificare i beni lasciati dal de cuius al momento della morte (c.d. beni relitti o relictum), attribuire a questi beni il valore che avevano al momento dell'apertura della successione, poi occorre sottrarre dal valore dei beni lasciati dal defunto i debiti del defunto da valutare sempre alla data dell'apertura della successione e, infine, sommare il valore delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, se si tratta di denaro le donazioni vanno indicate in base al valore nominale, se, invece, si tratta di beni immobili o mobili le donazioni vanno sommate in base al loro valore al momento dell'apertura della successione (si tratta di una evidente sperequazione, tra valore nomiane e valore reale, ma questo prevede il legislatore). Sul valore così ottenuto è calcolata la quota di ogni legittimario. Può capitare che qualche legittimario abbia già ricevuto in vita alcune donazioni, in tal caso, la donazione va considerata come una acconto sulla quota di eredità. Ovviamente si tratta di una descrizione semplificata, che può diventare molto più complessa in base alla presenza di coniugi separati o di figli unilaterali o di beni difficilmente valutabili come le quote o azioni di società.
Chiusa questa fase di "quantificazione" dell'eredità e della singola quota si apre la fase della materiale divisione dei beni che non è scevra da inconvenienti qui si possono leggere una serie di questioni che possono sorgere al momento della divisione e che vanno dalla dalla divisione mediante frazionamento alla partecipazione dei creditori ipotecari alla divisione.
Cassazione civ. sez. II, del 24 luglio 2012 n. 12919
Fondata è la sesta censura, attinente a violazione degli artt. 553, 554, 724 e 737 c.c. – Omessa motivazione in ordine ai beni relitti dal defunto. Il quesito posto è il seguente: "se il giudice di appello possa decidere su una lesione di legittima denunciata da un erede soltanto sulla base della valutazione di un bene e senza valutare tutto il patrimonio relitto e compiere le operazioni di cui all'art. 553 c.c., e segg".
La censura coglie un punto gravemente carente della sentenza impugnata, che ha statuito in ordine alla lesione di legittima, senza aver prima censito il patrimonio ereditario.
Va invece applicato l'insegnamento di questa Corte secondo cui: "Per accertare la lesione di legittima è necessario determinare il valore della massa ereditaria e, quello, quindi, della quota disponibile e della quota di legittima, che della massa ereditaria costituiscono una frazione, procedendo, anzitutto, alla formazione della massa dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione, alla detrazione dal "relictum" dei debiti da valutare con riferimento alla stessa data, alla riunione fittizia (cioè, con operazione meramente contabile) tra attivo netto e "donatum", costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 cod. civ., rispettivamente relativi ai beni immobili ed ai beni mobili) e con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 cod. civ.), calcolando, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma del valore del "relictum" al netto e del valore del "donatum" ed imputando, infine, le liberalità fatte al legittimario con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 cod. civ.)." (Cass. 11873/93).
Di queste operazioni la Corte di appello non si è fatta carico, sicché dovrà provvedervi il giudice di rinvio.