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Assegnazione al creditore del bene mobile pignorato al debitore

Cassazione 11.6.2019 n 15596 Nell’espropriazione forzata di mobili è consentita l’assegnazione del bene pignorato al debitore ex art 505 cpc; è paradossale il principio secondo il quale deve essere chiusa la procedura esecutiva nel caso di vendita infruttuosa, perché se il debitore possiede dei beni e il creditore vuole accettarli a titolo di datio in solutum, né il primo potrebbe liberarsi del debito, né il secondo potrebbe ottenere soddisfazione del credito.
A cura di Paolo Giuliano
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L'esecuzione forzata con esito e senza esito 

Dopo aver ottenuto il titolo esecutivo, notificato il precetto, il creditore per recuperare quando dovuto deve iniziare l'esecuzione forzata e questa – di norma – consistere  nel pignoramento dei beni del debitore.

Dopo il pignoramento dei beni del debitore, il creditore deve chiedere al giudice la vendita all'asta dei beni onde poi soddisfarsi sul ricavato.

Se si trova un acquirente e il creditore riuscirà a recuperare il proprio credito, ma nulla esclude che non si trovi nessun acquirente e il bene pignorato resta invenduto.

L'esecuzione forzata chiusa con assegnazione al creditore del bene pignorato al debitore

Per evitare che l'esecuzione forzata resti senza esito (e per un principio di economicità processuale) il legislatore prevede con l'art. 505 cpc che il creditore pignorante può chiedere l'assegnazione dei beni pignorati, nei limiti e secondo le regole contenute nei capi seguenti. Se sono intervenuti altri creditori, l'assegnazione può essere chiesta a vantaggio di uno solo o più, d'accordo fra tutti.

In questa situazione il bene non viene venduto e poi il creditore si soddisfa sul denaro ottenuto dalla vendita, ma il bene viene assegnato al creditore ad estinzione del suo credito.

L'assegnazione del bene pignorato al creditore è un principio generale oppure si applica solo in ipotesi specifiche espressamente previste ?

E' opportuno osservare che l'art. 505 cpc prevede che si può procedere all'assegnazione nei limiti e secondo le regole contenute nei capi seguenti.

Secondo una ricostruzione l'assegnazione del bene pignorato non può essere sempre applicato (ma solo quanto il legislatore prevede espressamente l'assegnazione del bene pignorato) Infatti, si sostiene che

  • l'esecuzione forzata non ha necessariamente "lo scopo di soddisfare il creditore", né alcun principio dell'ordinamento stabilisce che l'esecuzione debba per forza essere fruttuosa; di conseguenza, se il bene pignorato non viene venduto per mancanza di compratori, il giudice dell'esecuzione deve disporre la chiusura della procedura esecutiva;
  • Giudice dell'esecuzione non potrebbe assegnare al creditore procedente il bene pignorato (ad esempio la quota di una srl) invenduta, in quanto il bene specifico pignorato (quota di società)  non può essere oggetto di assegnazione.
  • la conclusione appena esposta si desumerebbe dal combinato disposto degli artt. 532, 538 e 540 bis c.p.c.; l'art. 538 c.p.c., in particolare, ha un testo chiaro e che non consente interpretazioni "sistematiche", dall'art. 540 bis c.p.c. si ricava il principio che se l'esecuzione non è fruttuosa e non vi sono altri beni da pignorare, non va affatto disposta l'assegnazione al creditore, ma il procedimento esecutivo si estingue.

L'assegnazione del bene pignorato è norma generale salvo eccezioni

La previsione contenuta nell'art. 505 cpc costituisce un istituto generale, teoricamente suscettibile di applicazione in qualsiasi tipo di esecuzione, è conclusione desumibile da due considerazioni.

La prima è la collocazione sistematica della norma. Infatti, l'art. 505 cpc compare nel Capo I, Titolo II, Libro III, del codice di rito, dedicato per l'appunto alla "espropriazione forzata in generale". Una collocazione che non avrebbe avuto senso, se il legislatore avesse davvero voluto, nell'ambito dell'espropriazione mobiliare, perimetrare l'istituto alle sole ipotesi in cui ad essere espropriati siano titoli di credito, oro e gioielli.

La seconda considerazione è che un fitto reticolo di norme generali sull'espropriazione forzata richiama l'istituto dell'assegnazione, senza limiti di sorta.
In particolare:
(a) l'art. 492 c.p.c. ("forma del pignoramento")
(b) l'art. 495 c.p.c. ("Conversione del pignoramento")
(c) l'art. 497 c.p.c. ("cessazione dell'efficacia del pignoramento")
(d) l'art. 501 c.p.c. ("termine dilatorio del pignoramento")
(e) l'art. 502 c.p.c. ("termine per l'assegnazione o la vendita del pegno"),
Le cinque norme appena ricordate sono inserite nel Capo dedicato "all'espropriazione forzata in generale".

L'art.  505 c.p.c. non contiene alcun espresso divieto di assegnazione. Essa, nella parte in cui stabilisce che l'assegnazione può farsi "nei limiti" e "secondo le regole" poi meglio esplicitate nei successivi capi, non limita affatto l'assegnazione dei beni mobili alle sole ipotesi di cui agli artt. 529 (titoli di credito e merci quotate) e 539 (oro e argento) c.p.c., ma si limita a stabilire che se ci sono regole particolari per l'assegnazione, si applicheranno ovviamente queste ultime; altrimenti varranno i princìpi generali.

La modifica dell'art. 538 c.p.c., non ha soppresso l'istituto dell'assegnazione, ma ha solo reso il giudice libero di disporre un nuovo incanto anche in presenza di istanze di assegnazione, ovviamente motivando sul punto in ragione della maggiore o minore fruttuosità della scelta.

Non può essere accolta l'interpretazione secondo la quale l'intento del legislatore è quello di "chiudere" la procedura esecutiva nel caso di vendita infruttuosa, perché una tale interpretazione condurrebbe ad esiti paradossali: e cioè che nonostante il debitore possegga dei beni; e nonostante il creditore sia disposto ad accettarli a titolo di datio in solutum, né il primo potrebbe liberarsi del proprio debito, né il secondo potrebbe ottenere soddisfazione del proprio credito.

Esito, questo, incoerente col principio di ragionevole durata del processo, oltre che con quello più generale di efficienza ed effettività dell'ordinamento processuale.

Né può condividersi la tesi per la quale il processo esecutivo non avrebbe necessariamente "lo scopo di soddisfare il creditore" o che quello debba essere fruttuoso: a tale affermazione ostando i principi generali dell'ordinamento, che garantisce e tutela il soddisfacimento dei diritti ed a maggior ragione di quelli consacrati in un titolo esecutivo e neppure potrebbe concepirsi un processo esecutivo che non tenda a conseguire il suo risultato istituzionale, cioè la massima fruttuosità possibile in relazione alle circostanze, salvi beninteso i residui, ma limitati, diritti del debitore.

Per cui "nell'espropriazione forzata di cose mobili rimane consentita l'assegnazione del bene pignorato al debitore ai sensi dell'art. 505 c.p.c.".

Cass., civ. sez. III, del 11 giugno 2019, n. 15596

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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