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Dieci anni dopo, cosa resta di Genova?

Dieci anni fa il G8 di Genova, dieci anni fa la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda: cosa resta di quei giorni e come è cambiato il nostro Paese da allora?
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Genova2001

Dieci anni fa Genova, con il vertice degli otto grandi della terra che per tanti aspetti rappresenta un avvenimento epocale, un vero e proprio spartiacque nella storia recente del nostro paese. Sono passati dieci anni, ma tanti di noi hanno ancora negli occhi le immagini degli scontri e delle violenze che si perpetrarono all’ombra della lanterna, il tutto avvolto dall’insopportabile calura di quel torrido luglio. Le immagini che però, più di ogni altre, resteranno impresse in maniera indelebile negli occhi e nelle coscienze di tutti, sono quelle di un ragazzo come tanti, un ragazzo del movimento, Carlo Giuliani: quella del suo folle assalto con un estintore ad una camionetta dei carabinieri e le sequenze della sua tragica morte, causata da un colpo di proiettile esploso dalla pistola di ordinanza di un carabiniere giovane ed inesperto (che con ogni probabilità non avrebbe dovuto essere impiegato in un momento così delicato). Insomma, forse di Genova alla fine non resterà che l'immagine di quel corpo coperto da un lenzuolo bianco e  circondato da decine di ragazzi e ragazze dal volto terrorizzato.

Eppure, rispetto a quei giorni i punti oscuri da chiarire restano ancora tanti. Dai fatti della scuola Diaz alle angherie della caserma di Bolzaneto, dalla sistematica sospensione dell’ordine democratico fino ai rapporti “poco chiari” tra i cosiddetti Black Block ed alcuni settori delle forze dell’ordine, dalla presenza di frange violente all'interno del movimento al tentativo di delegittimare il senso stesso della protesta: ed è compito di un paese civile fornire tutte le risposte del caso senza alcun tipo di riserva. In ogni caso, su questi temi si è già detto molto e parte della verità, pur tra mille distinguo e rimpalli di responsabilità, sembra stia iniziando a venire a galla.

IL G8: APOGEO E FINE DEL MOVIMENTO? – E non di poco conto restano le considerazioni sulle conseguenze sul piano politico, ideale, sociale e finanche economico che quei giorni hanno determinato. Volendo schematizzare potremmo dire che i due grandi protagonisti del G8 di Genova furono da un lato il cosiddetto “Movimento altermondialista” e, dall’altro, quel generale processo economico di riassetto del mondo meglio noto come “globalizzazione”, incarnato dai governanti asserragliati nella “zona rossa”. Ecco, a distanza di dieci anni, entrambi i “protagonisti” di quei giorni escono irrimediabilmente sconfitti. E non è superfluo ragionare sul perchè, anzi. Nel corso degli ultimi dieci anni la globalizzazione ha mostrato in tutta la sua ferocia il suo vero volto. I teorici “neo-con” avevano previsto uno sviluppo tumultuoso dell’economia che sarebbe durato per un tempo pressochè indefinito e, del quale, avrebbe goduto l’intera umanità. Va osservato che l’ideologia “neo-con” non ha mancato di affascinare anche tanta parte del modo della sinistra che, ad un certo punto della propria storia, immaginò di percorrere un’ipotetica “terza via” che l’avrebbe decisamente proiettata nella modernità, scrollandole di dosso troppi fantasmi novecenteschi. Purtroppo la storia ha smentito punto per punto tutti gli assiomi dei sostenitori della globalizzazione e della “deregulation”. La forbice della sperequazione si è andata via via allargando, determinando profitti sempre più consistenti per un numero sempre più esiguo di persone e un peggioramento delle condizioni di vita per una parte sempre maggiore della popolazione mondiale.

A rendere il tutto ancora più complicato, l’importanza attribuita al capitalismo finanziario rispetto all’economia reale ha determinato bolle speculative come non se ne erano mai viste prima, con il conseguente susseguirsi di crisi economiche di portata mondiale, dietro le quali si nasconde lo spettro sempre più vicino di un vero e proprio "tramonto dell'Occidente". Per non parlare della precarizzazione del mondo del lavoro e della mancanza di futuro per le nuove generazioni che rappresentano pesanti fardelli che il liberismo sfrenato ha lasciato in dote a società dominate da apprendisti stregoni della politica, convinti che sacrificare "esistenze, ideali e tempi" fosse la strada giusta da seguire in nome di un non meglio precisato progresso. Per quanto riguardo il “movimento no-global” le giornate di Genova rappresentarono il punto più alto di forza e di visibilità ma, allo stesso tempo, come in un implacabile gioco dialettico, l’inizio di un lento ed inesorabile declino. Le previsioni avanzate da tanta parte del movimeto sull’impossibilità strutturale di andare avanti sul terreno dell’ iper-liberismo si sono rivelate esatte, la denuncia delle devastazioni ambientali che questo sistema economico avrebbe prodotto sono ormai patrimonio comune (si tratta di un punto troppo spesso trascurato, ci limitiamo a dire che la sensibilità per i temi ambientali che oggi tocca larga parte della coscienza dell’Occidente, dieci anni fa era praticamente impensabile), l’aver individuato nella spirale guerra – terrorismo il fondamento economico – ideologico del nuovo ordine mondiale ha avuto il merito di strappare il velo di perbenismo costruitosi dai novelli esportatori di democrazia (che vi sia un nesso tra questo punto e la clamorosa elezione di Obama a Presidente degli .S.A. non è affatto da escludere).

RIPENSARE L'ALTERNATIVA – Eppure, a fronte della giustezza di tutte queste analisi il vero limite del movimento è stato quello di non essere stato in grado di elaborare una proposta politica complessiva alternativa. A nostro avviso ciò si spiega, in ultima analisi, con la conclamata impossibilità di porsi fuori dal sistema di produzione capitalistico. Per questa ragione una fetta importante di quel movimento si è andata assestando, nel corso degli anni, su posizioni schiettamente social – democratiche abbandonando, in linea di principio, la pratica dell’alternativa di sistema. E per la stessa ragione, altri gruppi hanno continuato una battaglia sempre più ostinata e tuttosommato sterile, finendo con l'essere (a volte strumentalmente, non c'è dubbio) confinati nel campo dell'estremismo antidemocratico, senza costituire nè una reale alternativa al sistema, nè un polo permeabile al confronto ed alla dialettica. Eppure le grandi questioni sono ancora sul tavolo, oggi più che mai, così come non è rimandabile un ripensamento critico anche dei modi, tempi e luoghi della conmtestazione, della proposta alternativa, del rifiuto e della contrapposizione. Anche perchè la diffusione dei mezzi di informazione "radicalmente alternativi", dei social network, la presenza costante e difficilmente censurabile della Rete, la possibilità di testimoniare, smascherare, mettere in luce in maniera diretta e incontrovertibile la "realtà delle cose in tutta la sua evidenza e dirimenza rivoluzionaria" (tanto per citare uno dei "poeti del movimento"), rappresentano delle risorse imprenscindibili per tornare ad "imporre" alla società (e perchè no al potere) un'idea diversa di futuro, il sogno di un mondo "a misura d'uomo" lontano dalle logiche del profitto e della sopraffazione e bensì "guidato dalle stelle polari dell'uguaglianza, della solidarietà, della sensibilità e della tolleranza".

Eppure, malgrado tutto, Genova resterà sempre legata a quelle immagini, al ricordo di un'altra giovane vita spezzata, alla sensazione che tragedie del genere riducano tutto il resto ad una stanca recita, per giunta dal finale scontato. A dieci anni dalla morte di Carlo Giuliani, a dieci anni da quel vertice, Genova ci parla ancora della necessità di costruire un mondo migliore, un mondo con più possibilità, un mondo più equo, più giusto, una società in cui sia possibile manifestare il proprio pensiero in maniera libera e senza alcun timore, una società in cui anche la contestazione possa avere i caratteri del confronto e non dello scontro…e la strada è ancora lunga.

A cura di Rocco Corvaglia – Adriano Biondi

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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