Diciotti, Tribunale dei ministri chiede di procedere contro Salvini per sequestro di persona
Il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il reato di sequestro di persona. Per i giudici esistono dunque le condizioni per procedere contro il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, accusato di aver trattenuto a bordo della nave della Guardia Costiera Diciotti 177 migranti salvati a 17 miglia da Lampedusa. La procura di Catania, invece, aveva chiesto di archiviare la posizione del ministro. Immediato il commento del diretto interessato, con una diretta Facebook pubblicata sui suoi canali social: “Ci riprovano. Rischio da 3 a 15 anni di carcere per aver bloccato gli sbarchi dei clandestini in Italia. Non ho parole. Paura? Zero. Continuo e continuerò a lavorare per difendere i confini del mio Paese e la sicurezza degli italiani. Io non mollo. Continuo e continuerò a lavorare per difendere i confini del mio Paese e la sicurezza degli Italiani!”.
Come ricorderete, il caso Diciotti occupò a lungo le prime pagine dei giornali nelle ultime settimane di agosto. Il 14 agosto un barcone con a bordo 190 persone era stato tratto in salvo da due motovedette della Guardia Costiera, che avevano poi trasbordato i migranti a bordo della U. Diciotti, una nave militare in forza alla Guardia Costiera Italiana. Dopo 13 evacuazioni mediche urgenti (con il trasferimento a Lampedusa), per i 177 migranti a bordo era cominciata una vera e propria odissea, con la Diciotti che si dirigeva a Catania, senza però ottenere dal ministero dell’Interno l’indicazione di un place of safety in cui sbarcare. La situazione si era poi risolta solo dopo un lungo braccio di ferro politico e la mobilitazione anche di decine di parlamentari dell’opposizione.
Poi l'intervento della magistratura, che aveva contestato al ministro dell'Interno la responsabilità di aver tenuto a bordo senza motivo i migranti salvati da una nave militare italiana. Il fascicolo, aperto dal procuratore di Agrigento, era passato da Catania a Palermo, poi ancora alla procura etnea, con il procuratore Zuccaro che aveva parlato di "scelta politica non sindacabile dal giudice penale", chiedendo l'archiviazione del procedimento.