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Opinioni

Di Maio e Salvini: nemici ora, nemici sempre

Esiste la possibilità di un accordo politico tra Salvini e Di Maio? No, con ogni probabilità. Soprattutto perché i due si contendono lo stesso elettorato, avendo capito prima degli altri come parlare alla gente, ai tempi dello spontaneismo e del cinismo. E perché nessuno dei due può legittimare l’altro: Salvini è come gli altri, per i grillini; Di Maio è uno che vuole diventare come gli altri, per i leghisti.
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Nell’epoca del post ideologismo, dell’assenza dell’Idea e del trionfo del senso pratico, a imporsi sembra dover essere necessariamente la politica che può fare a meno dei grandi riferimenti ideologici e delle visioni di insieme, quella che si nasconde dietro i leader carismatici catalizzatori di consenso elettorale. È la politica deresponsabilizzante che genera il mostro del "consenso per il consenso", delle "candidature per vincere", che poi finisce irrimediabilmente per riproporre il fantasma dell'uomo forte.

Il voto popolare, in questo contesto e nella lettura dei nuovi leader, disinnesca ogni manovra tesa a preservare il sistema, lo scardina nei suoi presupposti ideali, ne mette in dubbio perfino il fine ipotetico, ovvero il benessere collettivo. Il voto contro i propri interessi, il rifiuto della logica della conservazione dello status quo come pulsione decisiva, la fine della cieca obbedienza (di partito, gruppo, corpo sociale), la contestazione del concetto stesso di "esperto", l'esaltazione di spontaneità ed autenticità come valori in sé: sono questi gli aspetti più controversi di una situazione che spiazza la politica tradizionale, che non riesce a competere, a trovare gli anticorpi a una patologia che con semplicismo e approssimazione si racchiude nel concetto totalizzante di "populismo".

Si impone l'idea che più un politico sia sincero, schietto e diretto più sia meritevole di fiducia. Ma ancora: più un politico parla col nostro stesso linguaggio, coi nostri tempi e nel nostro orizzonte, tanto più lo sentiamo vicino, lo riconosciamo come "uno di noi", uno cui affidare non tanto le chiavi di casa, quanto la nostra rabbia, la nostra indignazione. Alcune categorie consolidate si capovolgono, la stessa "storia" viene messa in discussione grazie a un nuovo revisionismo, non basato su un potente lavoro storiografico, ma su spinte emozionali che generano messaggi virali.

È la sostituzione dei fatti con le emozioni, della verità con le opinioni virali, della realtà con la narrazione della realtà.

Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono i politici che meglio di altri incarnano il leader ai tempi dello spontaneismo e della viralità. Ed è interessante capire come abbiano modificato il loro linguaggio e le loro scelte nel corso degli anni, come abbiano adattato la comunicazione e le scelte politiche, leggendo forse prima, ma sicuramente meglio di altri il cambiamento che stava avvenendo. Salvini e Di Maio rappresentano due facce della galassia populista, o meglio, due sottogruppi che difficilmente si incontreranno. Ed è (anche) per questo che ogni ipotesi di alleanza fra Lega e M5s non ha fondamento.

I due hanno una diversità essenziale: Salvini è un populista a capo di un partito tradizionale, Di Maio è un politico tradizionale (in formazione) a capo di un movimento populista, (il M5s lo è, in parte nel senso di cui parlavamo , in parte nel significato che dà Laclau al termine, ovvero come l'agire politico per eccellenza). O, per dirla in altro modo, Salvini sta riportando la Lega a essere un partito populista (come lo era alle origini, pur con obiettivi e nemici diversi), Di Maio ha il compito di istituzionalizzare il MoVimento 5 Stelle, il partito fieramente populista.

Liquidare in poche parole la complessità dei processi in atto e bollare come “populisti” Di Maio e Salvini non solo è un errore strategico, ma anche una evidente forzatura. In entrambi è possibile rintracciare la caratteristica “base” del populismo, ovvero la continua creazione della dicotomia fra una classe politica corrotta e incapace e il popolo onesto e puro, in un sistema nel quale il populista si sente investito del dovere di riportare al centro del dibattito la presunta “volontà popolare”.

È populista il continuo richiamo alla casta, ai tecnoburocrati, ai poteri forti; è populista l'atteggiarsi a interpreti privilegiati della volontà popolare; è populista il continuo asservimento della proposta politica all'umoralità di follower e cittadini indignati. Non lo è la semplificazione del linguaggio, non lo è l'attenzione alle conseguenze concrete delle scelte politiche, non lo è l'asservimento dell'ideologia al senso pratico, alla mera e semplice "gestione", non lo è la ricerca del consenso a tutti i costi.

Se Berlusconi, come imprenditore e politico, ha contribuito in maniera determinante alla destrutturazione culturale degli italiani, Di Maio e Salvini ne stanno raccogliendo i frutti, portandone alcuni aspetti alle estreme conseguenze: l'individualismo, la superficialità nei giudizi, l'idea della "vita in stato d'assedio", l'egoismo e la logica del tutto e subito. La crisi della democrazia liberale, dell’intero sistema per la verità, ha fatto il resto, amplificando quei fenomeni “gentisti” e dando loro rilevanza e centralità.

Quella populista è però una galassia composita, ricca di sfumature e contrasti, tanto da non essere inquadrabile in un unico soggetto con piena coscienza di se. Questo comporta anche l'impossibilità di determinare un piano su cui Salvini e Di Maio possano trovare un terreno comune. Entrambi raccolgono consensi che nascono da pulsioni confuse e indeterminate (come un generico istinto punitivo nei confronti del "potere"), ma solo a patto di non portare fino in fondo le conseguenze della propria proposta politica. È un gioco di inganni che rende impossibile una eventuale alleanza Lega – M5s: nel momento in cui strutturi la tua proposta o alleanza, entri nel campo nemico, ti esponi alla stessa contestazione di metodo. Ma soprattutto, nel momento in cui incroci programmi e proposte, in qualche modo sei costretto a definire più chiaramente la platea cui ti rivolgi, ridimensionando la portata delle tue ambizioni e costringendo il tuo stesso bacino elettorale a prendere coscienza di se. Una opzione non percorribile per il MoVimento 5 Stelle, che è testimoniata anche dall'indeterminatezza di alcune scelte di programma e linea politica (che in questa chiave non sono da intendersi come un limite, ma un modo per essere inclusivi e non divisivi).

E, infine, c'è la considerazione più immediata: Salvini e Di Maio sono rivali sullo stesso campo, e nessuno dei due può correre il rischio di legittimare il proprio avversario agli occhi dello stesso bacino elettorale. Salvini è come gli altri, per i grillini. Di Maio è uno che vuole diventare come gli altri, per i leghisti. E così resterà.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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