A Deutsche Bank rischia di costare davvero caro aver collocato sul mercato statunitense titoli con sottostante legato a mutui residenziali “subprime”, poi saltati per aria durante la crisi del 2007 che portò al fallimento delle banche d’affari Bear Stearns e Lehman Brothers e da qui alla crisi mondiale del 2008-2009. Il Dipartimento di Giustizia, come ha confermato oggi la maggiore banca tedesca, ha infatti proposto di chiudere l’inchiesta pagando una maxi multa da 14 miliardi di dollari, somma, si è premurata di far sapere Deutsche Bank, che l’istituto non ha alcuna intenzione di pagare.
I negoziati sono nelle prime fasi e occorreranno ancora settimane per arrivare alla cifra definitiva che quasi certamente sarà sensibilmente inferiore. Tuttavia il Dipartimento di Giustizia Usa non ha mai avuto la mano tenera in questi casi, neppure quando si trattava di banche americane: in questi anni Bank of America ha dovuto pagare 16,7 miliardi di dollari di multa (più altri 5,8 miliardi alla Federal Housing Finance Agency), Jp Morgan 9 miliardi (più altri 4 alla Fhfa), Citigroup 7 miliardi di dollari, Goldman Sachs 5,1 miliardi (più altri 1,2 alla Fhfa), Morgan Stanley 3,2 (e 1,3 alla Fhfa), mentre oltre a quella contro la banca tedesca (che ha già pagato 1,9 miliardi di multa alla Fhfa) sono ancora pendenti cause contro Rbs, Ubs, Credit Suisse, Hsbc e Barclays.
Per la banca guidata da John Cryan, che aveva già preferito azzerare o quasi gli utili del secondo trimestre per continuare ad accumulare fondi per rischi su credito e rischi legali (ormai pari a più di 6 miliardi), la vicenda non si chiuderà dunque in modo indolore. Se come prevedono gli analisti di ING la multa definitiva dovesse essere pari a 7 miliardi di dollari, l’indice Core equity tier 1 (Cet1) dell’istituto tedesco, che indica il capitale di migliore qualità, calerebbe al 10,6% dal 12,2% di fine giugno e se anche la multa scendesse a 5 miliardi, come scommettono gli analisti di Fairesearch, resterebbe difficile capire quali oneri finiranno col pesare sui conti dell’istituto dato che ad oggi Deutsche Bank ha ancora circa 7.800 cause aperte negli Usa.
A questo punto la banca tedesca, che dal 2008 a oggi ha già pagato in tutto oltre 9 miliardi di dollari di multe ed effettuato aumenti di capitale per quasi 22 miliardi di euro, potrebbe dover chiedere nuovamente mezzi freschi al mercato o cedere asset, mentre qualche commentatore paventa l’ipotesi, in verità improbabile stante le norme europee sul “bail in”, che Berlino sia pronta a ricorrere a una nazionalizzazione che suonerebbe come un “liberi tutti” in ambito creditizio in Europa. Sarà che a pensar male si fa peccato, ma quest’ultima ipotesi ci sembra formulata più pensando alle banche italiane che non al numero uno tedesco.
Oggi mentre il titolo Deutsche Bank cadeva aveva buona compagnia in Europa ed in Italia in particolare, con Mps che ha perso il 6,78% segnando l’ennesimo minimo storico a 20 centesimi per azione, mentre Unicredit ha chiuso a -5,4% e persino la “robusta” Intesa Sanpaolo ha accusato un calo del 3,17%, per non dire di istituti come Banco Popolare (-4,8%), Bpm (-4,5%), Ubi Banca (-4,5%) e Bper (-3,4%). Se a prima vista potrebbe sembrare che i titoli italiani siano stati in grado di difendersi in qualche modo una giornata difficile, guardando le variazioni subite a 12 mesi ci accorgiamo che non è così.
Deutsche Bank perde infatti il 54% a un anno e fa meglio non solo, facilmente, di Mps (-88,4%) ma anche di Bper (-57,5%), di Bpm (-59,5%), di Unicredit (-64,9%), di Ubi Banca (-67,4%) e di Banco Popolare (-79,6%). Solo Intesa Sanpaolo (-32,4%) riesce a vincere il confronto e non è un caso, visto che per l’istituto guidato da Carlo Messina non si paventa il rischio di nuovi aumenti, che invece o sono stati già lanciati o lo saranno presto nel caso della gran parte degli altri gruppi bancari italiani. Si dice che Deutsche Bank faccia paura a causa dei suoi derivati ed è vero, ma dalle ultime trimestrali l’esposizione netta è sempre risultata attorno ai 30 miliardi di euro.
Una cifra elevata, ma non così distante dai 27,7 miliardi di sofferenze di cui Mps deve cercare di disfarsi secondo il piano elaborato a luglio, ed inferiore ai crediti deteriorati netti riportati a fine giugno da Unicredit, in calo a 36,7 miliardi, a fronte di un Cet1 del 10,51% che risulterebbe dunque inferiore a quello che registrerebbe Deutsche Bank se dovesse alla fine pagare una multa da 7 miliardi di dollari. Se Deutsche Bank piange, le banche italiane non hanno dunque alcun motivo di ridere, nè possono illudersi che per questo Berlino chiuderà un occhio sulla ormai annosa vicenda della creazione di una “bad bank sistemica” che non è e non sembra essere all'ordine del giorno. Neppure nel caso di nuove difficoltà per Deutsche Bank.