È di queste ore la polemica, decisamente interessante, sugli incentivi alle imprese che decidono di assumere giovani con contratto a tempo indeterminato: misura contenuta nel decreto legge sul lavoro, discusso in mattinata dal Consiglio dei ministri. Si tratta di un massimo di 650 euro mensili per lavoratore, nel caso in cui l'azienda decida di trasformare a tempo indeterminato un contratto per quei giovani, dai 18 ai 29 anni, che non hanno un lavoro da almeno 6 mesi, o che sono privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, o che vivono soli con una o più persone a carico. Sono i cosiddetti Neet (Not in employment, education or training).
Condizioni che hanno dato vita a riflessioni di senso sul "valore" concettuale di un simile provvedimento che, come sostiene Ciro Pellegrino in questo pezzo, autorizza a pensare che "in Italia studiare non conti un cazzo".
Eppure si tratta di una lettura che non ci convince. Perché un provvedimento del genere è diretto ai più deboli, a coloro che stanno vivendo la crisi con la maggiore esposizione. A quelli che sembrano già fuori dal sistema – lavoro prima ancora di esserci entrati. A chi per scelta, necessità o anche colpa non ha alle spalle un ciclo scolastico "sufficiente" né è riuscito ad ottenere un'occupazione stabile. Ai tanti che magari hanno perso il lavoro e si sono ritrovati in un limbo paradossale, senza competenze né opportunità. I più deboli, le prime vittime della macelleria sociale.
Hanno diritto ad una corsia preferenziale rispetto ai tanti che invece hanno sgobbato duramente sui libri per costruirsi un futuro migliore? Sinceramente non lo so. Quello che so è che un Paese civile non li lascia indietro. E che di fronte alla realtà di tanti giovani, non ha poi molto senso chiudere gli occhi e sperare che si arrangino da soli.