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Opinioni

Decreto Irpef: cosa cambia per le nostre tasche

Approvato anche dalla Camera (domani il voto finale), il decreto Irpef oltre al bonus da 80 euro ai lavoratori dipendenti sancisce una serie di misure che colpiranno gli italiani nelle tasche, anzi nei conti correnti e nei passaporti…
A cura di Luca Spoldi
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Fino almeno a dicembre il bonus di 80 euro lordi in busta paga ai lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 24mila euro (con un bonus a calare per i redditi tra i 24 e i 26 mila euro annui, sempre lordi) all’anno è assicurato. La Camera ha oggi approvato (342 voti favorevoli, 201 quelli contrari) la fiducia chiesta dal governo sul testo del cosiddetto “decreto Irpef”, in scadenza il 23 giugno (domani è atteso il conclusivo voto sul provvedimento) e che contiene appunto il provvedimento relativo a quella che in molti avevano considerato una “mancia elettorale” ma che il governo indica da sempre come il primo segnale di una rimodulazione del prelievo fiscale ed in particolare come un primo importante passo per arrivare a ridurre, finalmente il “cuneo fiscale” che finisce col far costare di più un lavoratore italiano rispetto a un suo omologo tedesco, pur arrivando in tasca al medesimo molto meno.

Una riduzione che si vuol rendere strutturale, ossia permanente, a partire dalla prossima Legge di Stabilità, e che si cercherà di estendere ulteriormente, a partire dal 2015, a colf e badanti che guadagnano meno di 8.000 euro l’anno, nonché, se si troveranno le coperture e i meccanismi idonei, alle famiglie numerose e monoreddito, agli incapienti e ai titolari di partita Iva. Sempre nel testo varato oggi trovano spazio un taglio strutturale del 10% dell’Irap pagata dalle imprese (l’aliquota passa dal 3,9% al 3,75% quest’anno, per poi calare al 3,5% dall’anno prossimo), del valore stimato in 1,2 miliardi, soldi che si aggiungono ai 6,7 miliardi di mancati introiti (quest’anno, perché l’anno prossimo ne occorreranno circa 10) legati al “bonus” di cui sopra e che dovranno essere in qualche modo recuperati con l’aumento del prelievo sulle rendite finanziarie, con l’esclusione dei titoli di stato, dal 20% al 26% (si noti tuttavia, come più volte alcuni esperti come Mario Seminerio hanno fatto notare, che il peso reale della tassazione complessiva a causa di altre voci come l’imposta di bollo e di un calo dei rendimenti, rischi di essere più vicino al 40% che non al 26%).

Un aumento di tassazione che, se saranno confermate le previsioni, dovrebbe generare quest’anno circa 720 milioni di maggiori entrate fiscali, destinate a salire a 2,3 miliardi l’anno prossimo, e a stabilizzarsi attorno ai 2,9 miliardi (di maggiori imposte) a partire dal 2016. I conti non sembrano dunque quadrare, anche al di là dei rilievi espressi dai tecnici di Camera e Senato sulle tabelle di accompagnamento presentate dal Governo col decreto: se si rinuncia a 8 miliardi (quest’anno, perché dall’anno prossimo salirebbero ad oltre 11 miliardi) di entrate e si aumentano le tasse di 700 milioni (fino a 3 miliardi a regime), in assenza di una decisa crescita economica, che al momento non si vede, c’è il rischio di un carenza di copertura a breve termine (tanto che già alcuni paventano il rischio di una manovra correttiva di fine anno con ulteriori rincari di accise, tabacchi, sigarette, benzina e chi più ne ha più ne metta).

Per colmare il gap nel decreto varato oggi si parla di un incremento della tassazione, dal 20% al 26%, calcolata sulle “plusvalenze” ottenute da banche e assicurazioni rivalutando a inizio anno le quote possedute nel capitale di Banca d’Italia (provvedimento che fece gridare alcuni ad un “regalo” alle banche stesse ma che pare un regalo sempre più avvelenato), da cui dovrebbero arrivare 1,8 miliardi di maggiore entrate. Poi si è introdotta una “stangata” sui passaporti (la vidimazione annuale passa da 40,29 a 73,50 euro, sommandosi ai 42,50 euro di costo per il rilascio del “libretto”), che però non si capisce bene quanti milioni di euro farà incassare di più in concreto, sempre che la richiesta di rinnovo di passaporti resti invariata e non diminuisca anche a causa dei maggiori oneri fiscali (e del minor reddito disponibile nelle tasche di molti italiani a causa del persistere della crisi e del proseguo della stretta del credito da parte delle banche).

Sempre sul versante delle “maggiori imposte che coprono tagli ad altre imposte viene alzato dall’11% all’11,5% il prelievo sui fondi pensione anche al fine di concedere un credito di imposta alle casse previdenziali. In pratica per dare un beneficio alla previdenza pubblica e contribuire allo sgravio Irpef, da cui secondo Confersercenti potrebbero generarsi maggiori consumi per 3,1 miliardi quest’anno e 5,1 miliardi a regime, si penalizza la previdenza integrativa ossia si consuma il futuro per cercare di garantirsi un presente e questo, più che grave, dà l’impressione che ci si voglia alzare in volo tirandosi per le stringhe delle scarpe. Certo, ci sono anche i tagli alla spesa che potrebbero aiutare se attuati con criterio (anche se nel breve l’effetto negativo sulla crescita economica non è sostansialmente diverso da un maggior prelievo fiscale), ma quali sono?

Alla Rai il decreto impone di tagliare spese per 150 milioni di euro: non si toccheranno le sedi regionali per la levata di scudo dei sindacati di categoria, ma si venderà Rai Way. In compenso Rai (e Consip) sono esentati dai tagli alle spese che il decreto prevede per tutte le altre partecipate dello Stato, che dovranno ottenere risparmi di almeno il 2,5% nel 2014 e del 4% nel 2015.  Ma di nuovo sorge la domanda: quanto varranno questi tagli? Secondo una indagine della Camera dei Deputati le partecipazioni statali in Italia pochi anni or sono risultavano non meno di 5 mila, “delle quali circa 400 a partecipazione diretta o indiretta dello Stato”, rispetto alle circa 100 esistenti a fine anni Ottanta. Il valore della produzione di tali società sarebbe stato attorno all’11% del Pil. Una buona parte di questa (568 almeno per il triennio 2005-2007) risultava però “sempre in perdita” e qui forse si tratterebbe di capire se, trattandosi nel 63% dei casi di imprese di servizi pubblici locali, sia possibile privatizzare i servizi prima e più che provare a tagliare le spese, ma andiamo avanti.

Il ministero della Difesa deve tagliare la spesa di 400 milioni, di cui 150 riferibili allo “spostamento” del programma F35 (che però non significa la sua riduzione né tanto meno cancellazione, ma solo un differimento delle uscite per cassa). olto “pop” ma dall’esito concreto quanto meno dubbio anche il taglio delle auto blu, il cui limite viene fissato a 5 per ministero. Non piangete per i sottosegretari che “dovranno andare a piedi”: in Italia si calcola ci siano qualcosa come 59 mila auto blu, del costo complessivo (tra uomini, carburante, riparazioni e varie) di 18 mila euro annui l’una per oltre un miliardo di euro complessivi all’anno. Numeri già in calo rispetto al 2010 (quando si parlava di 72 mila auto blu e circa 1,2 miliardi annui di spesa), ma dato che il governo è composto di 16 ministeri, non sarà limitare a 80 unità le auto blu di Renzi e ministri, anzichè a 160 o 240, a fare la differenza a fine anno.

C’è poi una misura molto “tecnica”, quella che taglia lo spazio per dipendente pubblico da 44 a 24 metri quadrati, al fine di ridurre il numero di immobili in affitto. Se avrà successo e ridurrà in proporzione il costo degli affitti per le casse pubbliche potrebbe essere una voce importante, ma è tutto da vedere come verrà attuata in pratica (e quali impatti, presumibilmente negativi, potrà avere sul mercato immobiliare). Importante, anche se (volutamente) il governo ha deciso di mantenere al riguardo il più basso profilo possibile, anche la misura che introduce un tetto di 240.000 euro per gli stipendi del settore pubblico, magistrati compresi. Limite che tuttavia per evitare rilievi di incostituzionalità non sarà retroattivo e non riguarderà le pensioni, dunque produrrà pochi effetti immediati, tanto più che in non pochi casi negli ultimi anni più che gli stipendi a destare scalpore sono state alcune “liquidazioni d’oro” erogate con grande generosità a manager pubblici il cui valore è quanto meno dubbio, visto le condizioni in cui hanno lasciato le loro aziende (o visto che operavano ai vertici di monopolisti di settore).

Ultime ma non meno importanti novità approvate oggi, arriva il previsto rinvio del pagamento della Tasi al 16 ottobre per tutti quei Comuni che non hanno deliberato l’aliquota in tempo per il pagamento del 16 giugno e via libera anche al pagamento di altri 8 miliardi di debiti pregressi della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Miliardi che, insieme agli altri già sbloccati, dovrebbero generare nel biennio 2014-2015 1,6 miliardi di maggiori incassi Iva: c’è da sperare in questo caso che i conti siano sbagliati per difetto perché sarebbe la conferma che finalmente qualcosa si muove in termini di ripresa economica. Diversamente si sarà solo sollevato un gran polverone senza alcun risultato concreto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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