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Decreto assenteisti: non cambia nulla (ma si apre la strada ai licenziamenti pubblici)

Licenziare in 48 ore i dipendenti pubblici assenteisti. Ma i dati mancano. E a cambiare sono le tutele.
A cura di Michele Azzu
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“Siamo per il pugno di ferro contro quelli che definirei non dei fannulloni ma dei truffatori”, con queste parole Matteo Renzi ha annunciato il nuovo decreto del governo, presentato in serata al consiglio dei ministri, che permetterà di licenziare in 48 ore i dipendenti pubblici assenteisti. Coloro che timbrano il cartellino, non si presentano al lavoro, e in certi casi hanno perfino una seconda occupazione.

Come dimenticare, infatti, il vigile di Sanremo che timbra il cartellino in mutande? O i dipendenti del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, che passano le giornate di lavoro alle scommesse o a lavorare al frutta & verdura del marito? I casi sono tanti. E proprio in queste ore sono stati avviati quattro arresti per i vigili sanremesi: sembra quindi il momento migliore per questo decreto.

Eppure, anche se ogni italiano sa che queste realtà esistono da sempre nella pubblica amministrazione… in realtà non ci sono dati che attestano in maniera ufficiale una crescita dell’assenteismo nei dipendenti pubblici. I dati forniti dall’Inps – che monitora le ore di assenza per malattia dei dipendenti pubblici – sono fermi a un anno fa (e su numeri del 2014). E in quei dati, poi, si parlava di un calo dell’assenteismo, non di crescita.

I dati sono vecchi, pochi ed incompleti. Lo stesso ministro Madia affermava un anno fa: “È stato un 2014 di cali per le assenze nella pubblica amministrazione (…) In tutti i mesi compare il segno meno”. Ma Madia ora ha decisamente cambiato opinione: “Brunetta e i sindacati dicono sempre che le norme già ci sono. Ma le leggi devono incidere sulla realtà”. Insomma, il ministro ha cambiato idea rispetto a un anno fa, e lo ha fatto senza basarsi su nuovi dati perché non ci sono.

Perché il governo ha deciso, allora, di voler intervenire sui “fannulloni” pubblici? Forse hanno pesato gli scandali recenti, da Sanremo a Roma. Ma da quando un governo vara un decreto legge per via di uno scandalo, in Italia? Forse l’intenzione è un altra: intervenire sui licenziamenti nella pubblica amministrazione. A cambiare, in effetti, non sono solo le tempistiche sul licenziamento degli assenteisti, ma la responsabilità del dirigente, e i rapporti di forza fra capo e dipendente.

È, dopotutto, un decreto in perfetta linea con quanto fatto da Renzi sul lavoro. Si ribalta il rapporto fra capi e sottoposti, si facilitano i licenziamenti, e si fa passare il messaggio di un “bene superiore”, che in questo caso diventa eliminare la piaga dei dipendenti pubblici “fannulloni”. Ma la questione è più ampia. Vediamo come ha funzionato la Legge Brunetta sull’assenteismo del settore pubblico e cosa cambia adesso, vediamo i dati e i perché di questo decreto.

LA LEGGE BRUNETTA. Il tema dell’assenteismo nei dipendenti pubblici è stato riformato solo sei anni fa, dall’allora ministro Renato Brunetta. La legge 133/2008 introduceva disincentivi economici per gli assenteisti e inaspriva i controlli medici (il vecchio medico che passa da casa a controllare se si è davvero in malattia). In particolare, aumentarono le fasce orarie dei controlli: dalle 8.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 20.00. Nei mesi successivi alla riforma il Dipartimento della Funzione Pubblica e l’Istat condussero un monitoraggio – da cui però erano esenti scuola e forze dell’ordine – secondo cui le assenze per malattia si ridussero del 38%. Con la legge 102/2009, e successivamente col DM 206/2009, gli orari di controllo sono stati nuovamente ridotti e l’effetto della riforma è stato riassorbito.

I DATI NON BASTANO. Si diceva, i dati a disposizione sull’assenteismo nella PA sono pochi, vecchi di anni ed incompleti. L’ultimo monitoraggio risale a un anno fa: in quel rapporto si parlava di una riduzione del fenomeno assenteista. “Il 2014 si chiude con un ribasso del 5 per cento dei giorni persi per motivi di salute, a cui si aggiunge una flessione del 2,9 per tutti gli altri tipi di assenza, dai permessi per congedo ai corsi di aggiornamento”. Tuttavia i dati erano stati comunicati solo da 4.434 uffici su un totale dei circa 21mila che compongono la pubblica amministrazione italiana. E il sistema scolastico rimane fuori dal monitoraggio.

Secondo un calcolo di Stefano Livadiotti su L’Espresso l’assenteismo è costato alle casse dello Stato 11 miliardi e 189 milioni di euro (nel 2014). Il calcolo moltiplica il costo di medio di una giornata di lavoro del dipendente pubblico, per il totale di giornate di lavoro perse fra malattie, permessi, aspettative e congedi. Infine, ci sono i dati sui provvedimenti disciplinari dei dipendenti pubblici: nel 2013 su 3 milioni di lavoratori ci sono stati circa 7.000 provvedimenti disciplinari, e di questi 220 sono finiti con un licenziamento, 3.000 con una sanzione e 1.700 sono stati prosciolti.

COSA VOGLIONO CAMBIARE ORA? Per il governo Renzi la legge Brunetta non basta più. Nel decreto presentato ora sono tre le sostanziali novità: 1) le tempistiche del licenziamento del “fannullone”, che dovrebbe venire sospeso da incarico e stipendio in 48 ore, 2) la responsabilità del dirigente che dovrebbe licenziare, che diventa ora reato penale per omissione, e quindi a sua volta punibile col carcere, 3) si inserisce il reato d'immagine per quegli scandali che ledono la pubblica amministrazione finendo sui titoli di giornale e nei Tg. Chiaramente il “licenziamento in 48 ore” è uno slogan, in realtà si porta a 30 giorni il limite dalla sospensione al licenziamento (la media attuale è di 102 giorni).

Ma il cambiamento vero sta nei mutati rapporti di forza fra capo e sottoposto. Con questo decreto il dirigente che licenzia un dipendente pubblico “assenteista” non sarà più perseguibile per “danno erariale” in caso che il licenziamento venga in seguito trovato illegittimo. Ma questo serviva a difendere il dipendente contro gli abusi di potere del dirigente, che spesso avvengono nel nostro paese. In questo senso, il “decreto assenteisti” segna un primo passo verso l’annunciata intenzione del governo Renzi di riformare la pubblica amministrazione dando più poteri ai dirigenti (è già avvenuto nella riforma della scuola).

PERCHÉ TUTTO QUESTO? Viene da chiedersi il perché di questo decreto. Se non esistono dati aggiornati, se perfino i dati di un anno fa erano del tutto incompleti – e parlavano di un calo dell’assenteismo – da dove viene la spinta a varare un decreto che permette di licenziare in 48 ore, o meglio, in 30 giorni? Possiamo avanzare qualche ipotesi. Anzitutto, le considerazioni di comunicazione a cui il nostro governo presta attenzione. Dire “licenziamenti in 48 ore” per gli assenteisti, fa presa sugli elettori e bella figura sui giornali. C’è poi un bello schiaffo ai sindacati, e anche questo non dispiace all’attuale governo.

C’è la logica renziana del dirigente con più poteri, e del dipendente con meno tutele. C’è infine un importantissimo primo passo – un piccolo passo per il dipendente, ma un bel balzo politico per Matteo Renzi – verso una riforma dei licenziamenti nella pubblica amministrazione. Togliendo la responsabilità del dirigente per i licenziamenti disciplinari ingiusti, infatti, si apre la strada a una nuova fase.

Sono diversi, quindi, i motivi che portano a questo decreto, e non riguardano solo l’assenteismo. E diverse sono anche le domande. Ad esempio, se questo decreto è scaturito dai casi eclatanti dei vigili di Sanremo e del Museo di Roma, stiamo parlando di reati penali, sono in corso delle indagini e sono scattati i primi arresti. Cosa cambiano le 48 ore che non sono effettive e che aprono la strada a chissà quali rischi? E poi, davvero un dirigente potrà andare in galera per non avere licenziato un fannullone? Resta difficile crederlo.

Perché il vero problema nella pubblica amministrazione è il clientelismo, è la corruzione, sono le infiltrazioni mafiose, le interruzioni di servizi essenziali dai trasporti all’acqua corrente nel sud del paese. Ad esempio, all’Atac di Roma, dove sono in corso circa 2.500 provvedimenti disciplinari, il problema è l’assenteismo o il fatto che l’azienda del trasporto pubblico romano sia stata gestita in maniera para-mafiosa per tutti quegli anni?

Insomma, cosa potrà risolvere questo decreto? Poco e nulla. Però fa bella figura. E apre un primo spiraglio sulla strada dei licenziamenti nella pubblica amministrazione.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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