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Dai corsi gratuiti al maiale “obbligatorio”: l’ipocrisia degli scandinavi con i migranti

Svezia, Danimarca e Norvegia sono stati per anni esempi per l’integrazione dei migranti. Negli ultimi tempi, però, hanno adottato dei provvedimenti che vanno in tutt’altra direzione: dalla confisca dei beni ai profughi, alle espulsioni o le campagne per scoraggiare gli arrivi. Sembra quasi che i paesi scandinavi stiano facendo a gara tra chi è più cattivo con i migranti, inanellando politiche una più restrittiva dell’altra.
A cura di Claudia Torrisi
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Profughi al valico turco di Akcakale in attesa di rientrare in Siria

Qualche giorno fa si è diffusa la notizia che il comune di Randers, una città danese, avrebbe imposto nelle scuole pubbliche e negli asili nido l'obbligo di servire carne di maiale, anche a chi non può mangiarla per motivi religiosi – come i migranti di fede musulmana. Il provvedimento – soprannominato dai media "la guerra delle polpette" – è stato giustificato dall'amministrazione con l'esigenza che le istituzioni pubbliche – e in particolare quelle che si occupano di bambini – forniscano "la cultura del cibo danese come parte centrale della loro offerta". Il che include "servire carne maiale, così come accade con gli altri alimenti". Insomma, un modo di preservare "l'identità nazionale". Nonostante l'obiettivo dichiarato non sia di forzare qualcuno a mangiare qualcosa che "va contro il suo credo o la sua religione", la mossa ha raccolto il favore del partito danese anti immigrazione Danish People's Party (DPP), che ha sostenuto di essere al lavoro "a livello nazionale e locale per la cultura danese, inclusa quella del cibo" e di combattere, conseguentemente, "le regole islamiche" che vorrebbero "dettare ciò che i bambini dovrebbero mangiare". La votazione in consiglio comunale di questo provvedimento, comunque, è solo l'ultimo atto della "guerra delle polpette", una diatriba sulla possibilità o meno di fermare negli istituti pubblici la distribuzione di prodotti a base di carne di maiale per rispetto verso alcune religioni – in particolare l'Islam.

La storia – che sembra presa dalle cronache locali di qualche sperduto comune a guida leghista del nostro paese – è accaduta in uno degli stati che nell'ultimo anno ha ospitato più rifugiati in Europa, assieme a Svezia e Norvegia.

Dati Eurostat, via @BusinessInsider
Dati Eurostat, via @BusinessInsider

I tre paesi sono stati per anni esempio di accoglienza e integrazione. Il rapporto "Making Integration Work: Refugees and others in need of protection", pubblicato dall'Ocse a fine gennaio 2016, cita più volte gli stati scandinavi tra quelli che hanno messo in pratica "good practices" per quanto riguarda l'integrazione dei migranti. In Europa, "i paesi scandinavi hanno gli strumenti per l'integrazione più avanzati per i migranti umanitari. Consistono per lo più in programmi strutturati su più anni, che combinano insieme lezioni di lingua, integrazione civica e formazione e sostegno sul mercato del lavoro", ha scritto l'Ocse. La Norvegia, ad esempio, "offre fino a 250 ore di lezioni di lingua ai richiedenti asilo residenti nei centri d'accoglienza", una possibilità accolta nel 2014 dal 40% degli ospiti; in Svezia, invece, sono stati elaborati pacchetti per velocizzare l'occupazione di migranti in posti di lavoro in cui c'è carenza di personale, con programmi che includono anche training per imparare la lingua; in Danimarca, "rifugiati analfabeti senza competenze possono ricevere lezioni extra di danese oltre a quelle previste dai programmi triennali fino a cinque anni", e previsioni simili esistono anche in Norvegia o Svezia.

Nonostante questo, negli ultimi tempi i paesi scandinavi hanno adottato dei provvedimenti che vanno in tutt'altra direzione. Basti pensare che nei primi giorni dell'anno Danimarca e Svezia hanno deciso il ripristino dei controlli alle loro frontiere. In Danimarca lo scorso gennaio il parlamento ha approvato una riforma della legge sul diritto d'asilo che è stata discussa parecchio a livello internazionale. Il provvedimento prevede la confisca di denaro e oggetti di valore superiore ai 1.300 euro ai migranti che fanno ingresso nel paese, per far fronte alle spese dell'accoglienza. La previsione è stata definita da molti crudele e paragonata a ciò che i nazisti facevano con gli ebrei. Nella legge, tra l'altro, si prevedeva anche un inasprimento delle politiche sui ricongiungimenti familiari, rendendoli sempre più difficili. Nonostante il primo ministro Lars Lokke Rasmussen abbia parlato della normativa come della "legge più incompresa della storia della Danimarca", l'obiettivo è semplice: scoraggiare i profughi a viaggiare verso il paese. Nella stessa direzione va l'annuncio della Svezia di espellere tra i 60mila e gli 80mila richiedenti asilo (in realtà meno drastico di quanto sembra, se si fa un confronto tra i numeri), se necessario con appositi voli charter, e la proposta di alcune misure restrittive. Tutto questo è arrivato sulla scia dell'omicidio di un'operatrice 22enne svedese in un centro d'accoglienza. In Norvegia, infine, sono state istituite delle squadre di vigilanza speciale per proteggere le scuole da possibili "assalti" di rifugiati, e già lo scorso novembre Oslo ha iniziato ad acquistare spazi pubblicitari sui giornali afghani per dire di non partire verso il paese nord europeo. Spinte anti profughi si sono registrate anche in Finlandia, dove le ronde dei soldati di Odino perlustrano le strade.

Sembra quasi che i paesi scandinavi stiano facendo a gara tra chi è più cattivo con i migranti, inanellando politiche una più restrittiva dell'altra. E la narrazione prevalente in tutta Europa è che il sistema è al collasso: chi accoglieva, adesso non ce la fa più. Una circostanza che ha provocato commenti tra le frange anti immigrati del nostro paese, che hanno mostrato di apprezzare le nuove politiche scandinave.

Secondo un'analisi di Reuters, la ragione del cambio di rotta al nord Europa starebbe non tanto nei numeri dei migranti, quanto nella reazione dei partiti e gruppi populisti agli arrivi dello scorso anno. Nel 2015 i paesi scandinavi hanno contato circa 250 mila rifugiati, di cui 160 mila in Svezia. A questa circostanza ha corrisposto un aumento dei consensi verso gruppi anti immigrati. In Danimarca, il paese della confisca ai migranti, il Danish people's Party è il secondo il parlamento. Da un sondaggio condotto a febbraio è emerso che l'immigrazione è la principlae preoccupazione del 40% degli svedesi, preoccupati di scuole, disoccupazione e welfare.

Quello che emerge dall'opionione comune è che molti abitanti scandinavi restano favorevoli all'accoglienza dei migranti. Semplicemente, "non nel loro giardino". Il cambio di atteggiamento del nord dell'Europa nei confronti dell'emergenza migranti si inserisce perfettamente nel quadro che nell'ultimo anno si delineato nel vecchio continente: muri, filo spinato e nazionalismo. Intervistato recentemente da Repubblica, lo scrittore svedese Bjorn Larsson ha detto che "dieci anni fa personalmente ero fiero del fatto che in Svezia non esistesse un partito xenofobo e razzista. Ora invece c'è, siamo diventati esattamente come gli altri". In un articolo pubblicato su Internazionale viene citata un'analisi della giornalista belga Béatrice Delvaux, secondo cui "la crisi dei rifugiati è un problema europeo, e tutti i paesi ne sono coscienti e non smettono di ripeterlo, pur rifiutando di dare all’Europa i mezzi per affrontarlo, con il pretesto che si tratta di materie legate alla sovranità nazionale e per il terrore dell’avanzata dei populisti, che avanzano comunque". Ma, "l'assenza di efficacia delle misure prese a livello europeo è crudele, perché ci priva dell’unica buona soluzione: una politica comune europea".

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