Zombitudine di Frosini/Timpano al Piccolo Bellini (VIDEO)
Dopo il debutto la scorsa estate al festival B.motion di Bassano Del Grappa è finalmente arrivato a Napoli, al Piccolo Bellini, dopo una lunga tournée italiana, il nuovo progetto della compagnia Frosini/Timpano dal titolo: Zombitudine. Noi siamo andati a vederlo e a intervistare Daniele ed Elvira.
La compagnia Frosini/Timpano
Daniele Timpano ed Elvira Frosini sono due autori, registi e attori già molto conosciuti negli ambienti del teatro cosiddetto di ricerca (definizione-recinto in cui certamente non si riconoscono), in particolare del circuito romano dove sono molto attivi, ma non solo. Daniele Timpano, soprattutto, con la sua affilata dialettica, spesso volutamente polemica, ha più volte ingaggiato, via social network, diversi battibecchi con critici e addetti ai lavori. Celeberrima, e recente, è la goffa tirata d’orecchie che il critico Franco Cordelli ha pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera, trasformato nella circostanza in “l’angolo dei fatti miei”, in cui lo definisce “un giovane movimentista” (il nostro ha 41 anni!) “con tutte le sue smorfie finto-scanzonate”. Ciò detto, certamente la provocazione è uno degli aspetti chiave che contraddistingue il duo romano ma essa non è però disgiunta da un’idea complessiva, da un progetto che riguarda il teatro, il modo in cui viene recepito nella nostra società e il ruolo culturale che presume di avere. Molto chiare e nette, nonché decisamente condivisibili, almeno dal nostro punto di vista, sono alcune dichiarazioni-manifesto che abbiamo raccolto anche nella nostra video intervista, come ad esempio: “Il teatro viene spesso interpretato come un luogo di resistenza culturale, mentre è in molti casi un luogo di marginalità e disperazione”, oppure, “l’ultima idea di teatro presente nell’immaginario collettivo è quella legata ai drammi di Eduardo o di Pirandello, con buona pace di quasi cinquant’anni di avanguardia che non ha inciso come forse avrebbero voluto”. Questo tanto per farsi un’idea.
Zombitudine: il progetto
Zombitudine non nasce solo come uno spettacolo ma come un progetto più ampio che coinvolge gruppi di non attori, reclutati e addestrati città per città, in diverse tipologie di performance urbane: si va dalla “semplice” manifestazione zombie, in cui i partecipanti armati di cartelli e megafono inscenano una vera e propria protesta al grido di “El Zombie unido jamas serà vencido!”. Una di queste manifestazioni ha avuto luogo anche a Montecitorio, proprio davanti al parlamento, finendo per coinvolgere, come ci ha raccontato Elvira Frosini, anche i lavoratori dell’Ilva che lì erano accampati in segno di protesta. Ma c’è anche la partita di calcio zombie, il presepe zombie (il cosiddetto “Presepe morente”), le apparizioni notturne, silenziose e fantasmatiche. Questo tipo di performance poi confluiscono nello spettacolo vero e proprio dando così la possibilità ai partecipanti di prendere parte attivamente alla messinscena. Un interessante tentativo di engaging teatrale.
Zombitudine: lo spettacolo
Lo spettacolo vero e proprio, e cioè quello che avviene in teatro, è in sostanza un “en attendant Zombie”, uno stratagemma ironico con cui i due protagonisti, fermi in proscenio a sipario chiuso, fingono una imminente invasione Zombie che poi non arriverà. “Le attese beckettiane dei tardi anni ’40, inizio ‘50 – come ci ha raccontato Daniele Timpano – sono forse l’ultima idea di teatro d’avanguardia che gli spettatori ricordino, e noi su questo giochiamo molto”. In sostanza, Frosini/Timpano si rivolgono al pubblico in sala come a una massa di rifugiati che cerano riparo nel teatro, “l’ultimo luogo in cui si suppone di trovare gente” e che rappresenta nell’idea degli autori attori il presunto “luogo sicuro”, come le cantine e i sotterranei nei film. Naturalmente il tutto si rivelerà poi una trappola e i due finiscono per tramutarsi in zombie e decomporsi in scena. Ma chi sono gli Zombie di oggi? A questa domanda potremmo facilmente rispondere che gli Zombie siano noi, ma non soltanto perché viviamo in una società e in un tempo, quello della rivoluzione digitale e della diffusione di massa dei device e dei social network, ma anche perché, in quanto generazione, siamo inchiodati ad una competizione cannibalica e ad una esistenza forse più che da “non-morti” come sono appunto gli zombie “classici”, da “non-vivi”. L’invasione zombie però è, a nostro modesto parere, non tanto e non solo da intendere come un monito apocalittico, il che farebbe scivolare l’intera operazione in un pantano vetero contenutista, quanto una parodia certamente amara di una società in cui l’antropomorfizzazione dell’angoscia metropolitana (lo zombie degli anni ’50) ritorna prepotentemente d’attualità però rovesciata di segno. Questo per ribadire, stavolta senza nessuna autocondanna, che in fin dei conti gli zombie… siamo noi!