Zerocalcare: “I modelli di paternità sono allo sfascio, temo di diventare un genitore vecchio”
Per la prima volta Zerocalcare, il fumettista italiano più venduto e amato di questi ultimi anni, ha dedicato un'intera storia al padre. Si chiama "Quando muori resta a me" (Bao Publishing) questo nuovo capitolo della saga che si sofferma sul padre, certo, ma anche su una storia familiare: il silenzio tra genitori e figli, una distanza generazionale, i segreti che si celano nelle vite dei propri genitori, il trema della paternità, sia quella vissuta da figlio che quella in potenza, il passare del tempo, insomma, tutti temi che il fumettista tratta a modo suo, con ironia, ma anche enorme capacità di far empatizzare con le emozioni dei suoi personaggi, alcuni dei quali tornano anche questa volta.
Questo è un libro sui legami, non il primo e non l’ultimo, ma per la prima volta ha tuo padre come figura centrale: come mai era il momento giusto per questo argomento?
Sono andato a vedere al cinema Aftersun, un film che racconta dell'ultima estate di una ragazzina con suo padre, e mi sono accorto che mi ha smosso un sacco di cose su cui non solo non avevo mai riflettuto, ma non le avevo neanche mai elaborate emotivamente, parlava proprio di alcune mie esperienze. Sono uscito dalla sala pensando proprio che quelle cose non le avevo mai esplorate e mi andava di farlo, usando il flusso di coscienza, poi è diventato qualcosa di più complesso e al di là del rapporto con mio padre c'è anche qualcosa del mio rapporto col passare del tempo.
A un certo punto il protagonista dice di sentire più forte l’orologio biologico del padre di diventare nonno che il suo di diventare padre. Si parla spesso dell’orologio biologico delle donne, mi parli del tuo rapporto con un'ipotetica paternità?
Diciamo che quando arrivi a 40 anni e pensi a come ti percepivi da ragazzino, un quarantenne era uno adulto che i figli già li aveva e io ho lavorato così tanto, in questi ultimi anni, e sono stato così tanto concentrato sul lavoro che è come se mi fossi perso il passaggio in cui uno si deve porre il dubbio tra quando è troppo giovane per fare i figli e quando comincia a essere grande per farli. Poi è ovvio che noi maschi non abbiamo l'orologio biologico, però uno si pone il problema di essere un genitore vecchio e io un po' questa cosa la sento.
A un certo punto sempre il protagonista dice: "Come te giri te giri ci stanno solo paternità difettose"…
Sì, i modelli paterni proposti anche nei media non sono dei modelli virtuosi, o sono retrivi e bacchettoni oppure allo sfascio completo. Insomma dei modelli di paternità che ti fanno dire: "Io vorrei proprio essere un padre in quel modo" non ce ne sono tanti intorno a me, neanche tra gli amici miei.
Il trauma è qualcosa da cui partono i tuoi libri, sono importanti nella tua scrittura. Qual è il trauma primario che ti ha portato a scrivere?
La morte! Nel senso che per me quasi tutte le cose che vale la pena scrivere ruotano attorno alla morte. Il primo libro che ho fatto, La profezia dell'armadillo, nasceva proprio dalla scomparsa di una mia amica e tutti quelli che sono un po' più riusciti hanno sempre avuto la morte di mezzo. In questo libro non muore nessuno, però la morte sia dei miei che la mia è una cosa che alleggia abbastanza.
A un certo punto Armadillo ti accusa di voler continuare a fare il pischello. Alcune delle tavole più belle sono quelle in cui Zero viene accusato di non voler crescere, come nei fumetti. Come lo vivi questo passare del tempo?
Lo vivo molto male, tra l'altro il fatto di confrontarmi continuamente con un avatar di me stesso che disegno 100 volte al giorno, e che per forza di cose rimane molto simile a se stesso a differenza mia, è praticamente Il ritratto di Dorian Gray al contrario: io perdo i capelli, mi imbolsisco, mi vengono le rughe, mentre invece il dipinto rimane più o meno sempre uguale, quindi è come se avessi continuamente questo confronto.
Quand'è che hai capito di essere diventato adulto?
E no, che cazzo ne so! Io non l'ho capito manco adesso, diciamo che ho deciso arbitrariamente di trarre la linea dell'"adultità" quando ho avuto l'indipendenza economica. Però emotivamente non mi sento risolto per niente.
Questa cosa è interessante perché, a un certo punto, capovolgi i piani: è il padre a chiedere al figlio delle cose a livello economico. Quanto questa cosa è un problema nell’ambito familiare?
In ambito familiare non è stato un problema, anzi, ha sgravato sia le preoccupazioni sul mio futuro da parte dei miei genitori – che fino a 28 anni si chiedevano "Che andrà a fare questo, mo torna a vivere a casa nostra" – sia alcune preoccupazioni per loro, dei momenti complicati.
E in ambito amicale?
Lì non è che c'è stato un problema, però chiaramente quando hai intorno tutte persone che faticano, arrancano, per tanti motivi, ti chiedi sempre come fai ad aiutarle senza che il rapporto di amicizia si distorca. I soldi mettono sempre un elemento zozzo all'interno dei rapporti, però devo dire che sono riuscito a mantenere tutto abbastanza pulito.
Hai raggiunto la notorietà, la fama e anche un certo tipo di potere: è nato un contrasto in te rispetto a questa cosa?
Io non lo so, onestamente, che tipo di potere ho raggiunto. Se l'ho raggiunto, però, devo dire che non l'esercito tanto, nel senso che anche le situazioni in cui forse lo dovrei fare mi fregano sempre tutti, quindi evidentemente non ho una grande capacità di fare pesare la posizione che mi sono conquistato in questo tempo. Però è una cosa su cui mi interrogo, nel senso che mi rendo conto che in situazioni in cui una mia parola può pesare, credo di dover prendere delle posizioni anche perché ci sono persone che quelle posizioni non le possono prendere perché stanno sotto ricatto e comunque delle cose le devono ingoiare. Io invece posso dirle, perché a me è più difficile che qualcuno mi faccia storie e quindi mi interrogo nei termini non tanto di potere quanto di responsabilità che mi toccano, insomma è sempre un equilibrio complicato.
Il fatto di esporti ti ha creato problemi?
Sì, diciamo che per lungo tempo ho pensato che non era vero che esporsi era un problema, nel senso che ho avuto sempre l'impressione che quando le cose funzionano, che vendi, in realtà tutta l'esposizione viene tollerata, è difficile che qualcuno ti venga a chiedere conto delle cose che hai detto o fatto. Oggi non lo penso più, nel senso che dopo la vicenda della diserzione di Lucca Comics, mi sono reso conto che effettivamente si è mosso qualcosa che andava oltre. Anche le persone che prima ti coccolavano, su quella roba si sono mossi in maniera molto compatta e violenta, però insomma, penso che tenere una linea e la schiena dritta è qualcosa che quando tiri le somme paga sempre.
Qualche giorno fa è uscita la notizia che la delegazione italiana a Francoforte non ha voluto Roberto Saviano nella lista. Cosa ne pensi di questa cosa?
Penso che questa cosa di Francoforte obbliga tutti a farsi delle domande, al di là del Roberto Saviano e della sua esclusione personale però. In generale, infatti, succede che per un breve periodo tutti strillano alla censura e successivamente tutti fanno finta di niente, come se niente fosse. Penso che a un certo punto uno debba cominciare a ragionare su questo fenomeno in maniera un po' più complessiva e collettiva.
Hai avuto altre rotture di scatole dopo Lucca Comics?
Sì, ma sono abbastanza abituato alle rotture di scatole, dal Salone del libro di Torino nel 2019, quando c'era la presenza di CasaPound a Lucca Comics, alle manifestazioni fuori dal Salone di Torino di quest'anno con le persone che manifestavano contro il massacro di Gaza, e che sono state manganellate. Se uno prova a stare in ascolto di quello che c'è intorno, fuori dalla piccola bolla, trova per forza delle contraddizioni e si trova delle rotture di scatole, ma penso che questo è quello che dovrebbero fare le persone che lavorano in questo settore. Non dico che debbano reagire tutti allo stesso modo, ma tutti dovrebbero avere quella curiosità di domandarsi come relazionarsi col mondo esterno.
Faccio un passo indietro, torniamo invece a questioni di creatività e di libro. Carrère ha detto che su noi stessi possiamo raccontare qualsiasi cosa, ma dobbiamo fare attenzione perché parlare di noi è parlare anche degli altri. Qual è, dunque, il limite invalicabile della verità in Letteratura?
Vorrei sapere la risposta di Carrère, che ha la moglie che l'ammazzerebbe per ogni intervista che fa (ride, ndr). Io ho un sacco di limiti, tantissimi paletti, alcuni dipendono dalla privacy delle altre persone, per esempio non devo mettere in bocca agli altri qualcosa che non hanno detto, oppure se ci sono delle cose che sono vere ma che raccontandole potrebbero produrre un effetto negativo – non in termini di immagine ma di contributo all'immaginario di qualcosa che può essere strumentalizzabile – o le contestualizzo molto bene, oppure me le tengo anche se funzionerebbero dal punto di vista letterario.
Quando muori resta a me: cosa rimarrà, invece, di tuo padre a te?
Un sacco di roba, nel senso che poi al di là della gag, che è verissima perché lui colleziona ciarpame, rimarrà un sacco di affetto e anche un sacco di gentilezza nello stare al mondo.
Esiste un problema di linguaggio e di capacità di relazionarsi con i più giovani?
Io non sono capace a parlarci coi ragazzini, questa cosa ce l'ho molto chiara. Poi ci stanno alcuni ragazzini che hanno talmente tanti impicci dentro di sé che riescono comunque a connettersi con le mie tematiche e col mio racconto. Questo, però, penso che dipende da loro, da quel senso di inadeguatezza che uno ha dentro e che gli permette di trovare nelle cose mie qualcosa che gli parla. Altrimenti io coi ragazzini di oggi, dal punto di vista proprio dei consumi, del modo di usare i social, della musica, eccetera, c'ho veramente poco in comune.
Qual è un disagio per te, oggi e qual è quello più importante che sei riuscito a superare?
Io ti direi che non ne ho superato nessuno, nel senso che anche per quanto riguarda gli incontri pubblici, io ormai ne faccio un miliardo ma se c'è una grossa platea davanti guardo un punto fisso per terra, perché se alzo lo sguardo mi prende il panico. Quindi no, non sento di aver risolto nulla, però ho pensato: "Se lo faccio tante volte diventerà naturale" e invece no, non diventa mai naturale.
Tunnel carpale e disegnetti: quanto è indispensabile questa interazione con chi acquista i tuoi libri? E poi ti chiedo: quanto questa cosa che è nata in maniera anche bella poi è diventata qualcosa che a volte sembra enorme, anche fisicamente.
Questa cose dei disegnetti è un moloch che non si riesce a capire come rendere compatibile con una vita umana, nel senso che effettivamente uno non può dire: "Smetto di farli", anche perché è un modo anche fico di instaurare un rapporto col pubblico. Dopo di che capire quanti farne è complicato perché quando hai tanta gente in fila ad aspettare, non è che puoi iniziare e poi dirgli "No, sai che c'è? Adesso basta, tu ti sei fatto quattro di fila ma io sono stanco, me ne vado via", però se lo fai a prenotazioni ormai in 5 secondi finiscono e fai danno a quelli che lavorano tutto il giorno e non possono stare ad aspettare le prenotazioni, quindi chi lavora rimani tagliato fuori, e così pure chi sta a scuola se lo fai di mattina. Insomma, è una cosa per cui non è possibile mettere d'accordo tutti, quindi l'unica cosa che faccio è farlo per così tante ore che a qualcuno comunque gli farò pena e non verrà a chiedermene ancora.
L'unica soluzione possibile, insomma…
È l'unica che ho trovato al momento, però non è evidentemente compatibile. Io sto a fare disegni tutti i giorni dalle tre del pomeriggio a mezzanotte, ormai c'ho il mal di schiena, c'ho male dappertutto. Però il fumettista è un mestiere che uno fa da solo, in casa propria, confezionando un prodotto che verrà letto da un'altra persona in casa propria, ovvero è la cosa alienante per eccellenza, quindi il fatto di avere un momento in cui incontri le persone che leggono, vedi che faccia hanno, che lavoro fanno, è una cosa che ti dà una dimensione umana.
Cosa è successo, invece, quando l'hobby è diventato lavoro?
Trovati un lavoro che ti piace fare e odierai quello che ti piace fare, questo è abbastanza vero, ma lo è per i ritmi con cui lo faccio, ma la verità è che se io avessi una settimana senza consegna, senza lavoro, comunque mi ritroverei a disegnare per me stesso.
Questo fumetto, o parte di esso, può diventare una serie?
Il fumetto in sé non diventa una serie perché in generale non mi piace declinare la stessa storia su media diversi, però che alcune di quelle tematiche possano entrare in una serie – semmai ci sarà una prossima serie – penso che sia possibile, nel senso che alla fine sono storie autobiografiche, quindi alcuni miei tormenti che stanno in questo fumetto se mi metto a lavorare su qualcos'altro, non è che spariranno.
A p.80 disegni cassette di Bad Religion, Metallica e Offspring, mentre a p. 92 ascoltavi gli 883. Parliamo del passaggio musicale.
Gli 883 sono la costante della mia vita, sono iniziati prima degli Offspring e sono continuati dopo gli Offspring, mentre la parte Offspring, Green Day etc sono il primo impatto con cui ho conosciuto il punk.