“Zazie nel metró”: 60 anni fa Raymond Queneau pubblicava uno dei suoi libri più famosi
![La piccola Catherine Demongeot nei panni di Zazie, nell'omonimo film di Luis Malle (1960).](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2019/05/portagobusta-1200x675.jpg)
Sessant'anni fa Raymond Queneau pubblicava uno dei suoi romanzi più famosi, “il sogno di un sogno, l'ombra di un'ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota”: lui stesso descrisse così “Zazie nel metró” quando uscì, nel 1959, per Gallimard. In Italia arriverà l’anno seguente con una bellissima traduzione curata da Franco Fortini. Da allora, questo surreale e giocoso racconto è divenuto uno dei più rappresentativi della poetica del gioco linguistico di Queneau: un gioco che, sotto sotto, nasconde la vera faccia della realtà.
Zazie nel metró e la Parigi di Queneau
![Sul set del film "Zazie nel metrò", diretto da Luis Malle nel 1960.](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2019/05/film-zazie-den-le-metro.jpg)
Siamo a Parigi, negli anni Cinquanta. Zazie è una ragazzina ribelle e testarda, a tratti fastidiosa, che da grande vuole fare la maestra o l’astronauta, giusto “per rompere le balle” alle bambine, o ai marziani: la conosciamo alla stazione dove ad attenderla c’è suo zio Gabriel, che per tre giorni dovrà tenerla con sé, e magari farle conoscere un po’ quella città così grande e chiassosa. Ma l’irrequietezza di Zazie non ha limiti, e il giorno dopo la ragazzina scappa di casa, stufa di restare chiusa nell’appartamento dello zio e impaziente di realizzare il suo unico grande desiderio: vedere la metropolitana parigina.
Ma Zazie non la vedrà mai. In compenso la sua fuga si trasformerà in un susseguirsi di avventure e personaggi surreali, così come surreale è l’atmosfera urbana in cui il circo umano immaginato da Queneau si muove. Il metrò resta chiuso a causa di uno sciopero, ma girovagando per la città sia Zazie che suo zio, che nel frattempo è riuscito a riacciuffarla, faranno ugualmente un viaggio con tante fermate: quello attraverso la bizzarria del genere umano.
“Allora, ti sei divertita?”
“Così.”
“L'hai visto, il metrò?”
“No.”
“E allora, che cosa hai fatto?”
“Sono invecchiata.”
“Doukipudonktan”: il francese di Queneau
![Lo scrittore francese Raymond Queneau.](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2019/05/quenaru-copertinaj.jpg)
Roland Barthes, nel commentare il libro, spiegò che “per Queneau la Letteratura è una categoria di parola, ossia di esistenza, che concerne tutta l’umanità”: e se le parole sono un gioco, l’esistenza non può essere da meno. Il linguaggio, che in questo libro più che in altri si fa sfuggente, aperto, mai oggettivo, è il corrispettivo di una Parigi inafferrabile, quasi irriconoscibile al punto di poter essere confusa con altre città. A Queneau non importava collocare i suoi personaggi nello spazio e nel tempo: la cosa importante era il linguaggio.
Leggendo le prime parole del romanzo con questa lente, il senso di marcia di tutto il racconto non può che essere più chiaro: lo zio Gabriel è in attesa del treno che porterà sua nipote da lui, e ad un tratto esclama “Doukipudonktan”. Nella versione francese si tratta di una contrazione dell’espressione “D'où qu'ils puent donc tant?” ("Da dove viene così tanta puzza?"), che Franco Fortini riuscì a rendere in italiano con “macchiffastapuzza”.
I giochi di parole, e il gioco serio della realtà
!["Zazie dans le metro" di Luis Malle (1960).](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2019/05/film-zazie-nel-metro.jpg)
“Siete buffi, voialtri. Non sapete mai bene quel che pensate. Dev'essere faticoso. È per questo che tanto spesso avete quell'aria seria?”: a parlare e Zazie, ma come spesso accade nei libri di Queneau a parlare è forse proprio l’autore, giocando con i piani narrativi, i dialoghi e le parole, per raccontare la sua personale visione del mondo. Prendendo forse anche un po’ in giro i lettori, soprattutto quelli “seri” che all'epoca dell’uscita del libro vi lessero qualcosa di incomprensibile.
Eppure, la storia raccontata da Queneau non potrebbe essere più semplice, in un modo molto complesso: in questa favola che, non a caso, non ha proprio nulla di fiabesco, l’autore racconta la parte più infantile, ribelle e a tratti scomoda del nostro essere. Scomoda, perché è proprio quella parte l’unica a saper riconoscere le cose per quelle che sono: un gioco, divenuto troppo serio.