Zanobini, manager di Corsi e Brunori: “Eurovision occasione per suonare all’estero. Sanremo? Non volevamo vincere”
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Matteo Zanobini è presissimo, impegnato, stanco e felice, perché non si aspettava che i suoi due artisti a Sanremo potessero finire sul podio: Lucio Corsi, infatti, ha chiuso al secondo posto con Volevo essere un duro e Brunori Sas, terzo, con L'albero delle noci. L'idea era quella di tornare a casa con due buoni piazzamenti e un ottimo ritorno d'immagine, ma soprattutto permettere a tanta gente che non li conosceva di scoprire la musica di due dei migliori cantautori italiani. Invece il pubblico ha risposto più di quanto si aspettassero tutti, portando Corsi addirittura a perdere Sanremo per pochi centesimi percentuali, ma regalandogli, oltre che il Premio Mia Martini della sala stampa, anche l'etichetta di fenomeno di questo Sanremo e a Brunori la consacrazione popolare che meritava.
Partiamo dalla fine, ovvero da questo Eurovision inaspettato: come vi preparerete? Come si può sfruttare al meglio questa opportunità?
C'è tanto da imparare anche nel fare l'Eurovision. Colleghi che lo hanno fatto mi dicono sia una grande macchina produttiva, quindi sono curioso, ci prepareremo come sempre al meglio. È una bella opportunità di visibilità che si può vivere con meno pressione rispetto a Sanremo (o almeno così spero).
Lucio come sta vivendo questa possibilità europea? Anche a livello di promo, gli potrebbe permettere anche di suonare fuori dai confini nazionali?
Per Lucio è sicuramente una opportunità per portare la sua musica e i suoi live fuori dai confini nazionali. Magari in Francia, come il suo idolo Paolo Conte.
Torniamo un attimo a Sanremo, non vi aspettavate questi risultati, giusto?
Io sono contento e anche Dario e Lucio, anche perché nessuno dei due voleva vincere.
Come mai?
Primo perché vincere ti fa infilare in un tunnel di attività che per noi non sono al momento primarie e non sono il motivo per cui siamo andati a Sanremo: quindi TV, appuntamenti annessi eccetera. E poi comunque il marchio del vincitore ti si imprime addosso, vincere Sanremo è una grande cosa, ma porta con sé anche un certo bollino, specialmente se sei un esordiente. Cioè, un conto è se sei Marco Mengoni o Giorgia, che godi di una fama nazionalpopolare importante, ma se non hai quella riconoscibilità e vinci ti resta il tatuaggio Sanremo in fronte. La mia speranza era vincere qualche premio e avere un buon piazzamento, ma relativamente, ciò che mi interessava era soprattutto che uscissero bene entrambi con le loro canzoni, i loro progetti, che questo Festival ci desse un bel boost su tutte le attività che stiamo facendo. Poi se c'era un premio, tanto di guadagnato. E poi, in fondo, è quello che hanno sempre detto nelle interviste anche Dario e Lucio, che sono qua perché vogliono fare i tour più lunghi possibili.
Sì, l'obiettivo per Lucio – lo ha detto in continuazione – era avere più visibilità per poter suonare di più.
Suonare, certo, perché è la cosa che gli piace di più fare, proprio in assoluto nella vita, oltre alla moto GP, quindi lui andava lì per quello.
E per Dario?
Nel caso di Dario per una consacrazione popolare che non può avvenire in nessun altro modo che andando a Sanremo, perché non esiste nessun'altra attività, anche massiva, che tu possa fare che ti dà la risposta che ti dà il Festival.
E alla fine direi che entrambi hanno raggiunto l'obiettivo.
Certo, anche più di quello che mi aspettavo, siamo oltre le più rosee aspettative indubbiamente. Nel caso di Dario, direi che è stato un Sanremo perfetto, perché aveva un brano che era molto bello, avevamo un disco in uscita e avevamo un tour fuori, quindi ha dato sicuramente un bel boost a tutte queste cose, con in più anche un allargamento nazional-popolare di pubblico, che penso possa dargli la consacrazione definitiva come cantautore della sua generazione.
Erano tanti anni che si parlava di Brunori al Festival, immagino che non ci sia andato prima perché non aveva un progetto.
Esatto, non c'è andato prima perché non aveva un progetto, invece quest'anno, come ti dicevo, c'erano un disco e un tour molto elaborato, era l'anno giusto perché per una proposta come la sua; andare lì per fare una canzone e basta, non essendo un hit maker che basa la sua carriera sul fare una hit ogni tre mesi, non aveva molto senso. Non lo aveva andare a fare il pezzo che poi cade nel vuoto, quindi abbiamo dovuto aspettare di avere per le mani un progetto convincente.
L'impressione, poi, è che siano canzoni loro, sono andati con brani che potremmo trovare in un qualsiasi loro album.
Assolutamente, in tutti e due i casi non sono canzoni scritte per Sanremo, sono due canzoni che stavano all'interno dei loro album e che sono state scelte per essere rappresentate lì. Entrambi non hanno cambiato una virgola della loro proposta artistica, della loro comunicazione e della loro immagine. Questa vittoria ha certamente premiato l'autenticità.
Se Dario, come dicevamo ce l'aspettavamo, prima o poi, che salisse su quel palco, forse Lucio meno. Come mai avete fatto questa scelta?
Io e Filippo Sugar abbiamo sempre pensato che mettendo Lucio sotto i riflettori e dandogli un palco largo avrebbe guadagnato un sacco di pubblico. Perché è una proposta obiettivamente, artisticamente, molto bella e non difficile, ha dei riferimenti, certo, però è una proposta… di canzone. Per questo ho sempre pensato che nel momento in cui fossimo riusciti a portare la sua proposta su un palcoscenico così nazionalpopolare Lucio potesse arrivare a tanti.
Come mai oggi?
Non si erano mai create le condizioni prima perché questo avvenisse, un po' per sua predisposizione, un po' perché ci voleva un lavoro lungo, intorno a lui; c'è voluta un po' di consapevolezza sua e un po' anche di preparazione del terreno. Devo dire anche che il fatto che sia arrivato adesso, ha permesso a Lucio e Dario di affrontare questa esperienza con le spalle larghe, hanno gestito questa partecipazione con naturalezza, perché erano sicuri di quello che andavano a fare, erano sicuri delle loro possibilità e della proposta che portavano e secondo me questa cosa si è vista, si è percepita, sono andati lì portando se stessi, ed è stata anche la chiave del successo.
Hanno vinto delle proposte diverse dalle canzoni spesso simili tra loro.
Esatto, alla fine è un podio che ti dice questo, ovvero che forse è arrivato anche al pubblico la noia delle canzoni fatte in batteria. Già all'interno del nostro ambiente la noia esisteva ed era percepita tra gli addetti ai lavori, però adesso, secondo me, il messaggio è arrivato anche al grande pubblico. Spero che questo dia un po' di coraggio alle case discografiche, ai media, e a tutta l'industria musicale, che tutto questo possa aver dato una possibilità nuova, una nuova via. Come dice Caterina Caselli, se al pubblico dai una cosa buona la preferisce a una cosa cattiva.
Questa, comunque, non era la tua prima esperienza, ne hai fatte varie, le ultime sono state con Di Martino. Forse non con questo impatto, però comunque un impatto forte l'avevi avuto anche con lui (e Colapesce), no?
Sì, anche con loro avevo avuto un impatto, ma qua l'impatto è più forte perché Lucio e Dario sono andati sul podio e il pubblico da casa, oltre che le giurie, ha deciso all'unanimità di premiare quelle proposte.
Tranne nella fase finale a cinque, Dario è sempre stato primo nel televoto, mentre nella cinquina invece poi è stato primo Lucio.
Al di là dei calcoli che determinano le classifiche la restituzione vera di questo Sanremo è stata questa, cioè un messaggio chiaro: basta canzoni che non dicono niente, basta canzoni preconfezionate, basta prodotti di plastica. Cioè, io voglio sperare che sia stato così, il feedback che mi arriva è questo, poi, ovviamente, il tempo ci dirà quanto questo ha impattato. Chiaramente, c'è spazio per tutti nel mercato, eh!, non è che adesso devono diventare tutti cantautori, è giusto che ci sia la musica di intrattenimento, è giusto che ci sia musica più leggera, è giusto che ci sia anche il prodotto usa e getta, insomma, è giusto che ci sia nel mercato, però che si prenda spazio anche questa proposta qua, che cominci ad avere uno spazio più rilevante.
Chi è Matteo Zanobini, come nasce il tuo ruolo da manager?
Nasco facendo gavetta, quindi come semplice appassionato di musica, musicista, organizzatore di concerti di provincia e poi facendo tanti lavori – sempre nell'ambito musicale preso un po' a 360° – che mi hanno formato: ho lavorato in studio di registrazione – tra l'altro gli ultimi anni di vita di Bigazzi a a Firenze -, ho lavorato in un negozio di dischi, ho avuto una piccola etichetta, negli anni ho fatto esperienza su tanti elementi diversi che mi permettono di dire, adesso, di avere una conoscenza ampia di questo mondo, posto che ovviamente c'è sempre tanto da imparare, è chiaro che si impara giorno dopo giorno. Il mercato cambia sempre, quindi bisogna sempre stare aggiornati su tutto.
Vale anche per Sanremo, immagino.
Certo, anche per questo Sanremo ho dovuto imparare cose nuove: penso alla comunicazione digital su alcuni aspetti che non conoscevo, insomma, si impara anche facendo, però sempre con grande umiltà e understatement.
Oltre al risultato di Brunori e Corsi cosa ti ha fatto piacere, in questi giorni?
Guarda, mi ha fatto piacere che mi abbiano scritto tanti colleghi dicendomi che questa cosa gli dava coraggio, anche perché la discografia è fatta anche da gente che produce musica che non gli piace, non è ovviamente il 100% dei casi, ma capita che i discografici producano musica che non gli piace. Quindi mi chiedo: perché non provare a dare al pubblico un prodotto migliore? Se il pubblico adesso magari ti ha detto "per favore datemi cose più vere, basta prodotto confezionato".