Willie Peyote: “Grazie a Sanremo e TikTok ho raggiunto un pubblico giovane. Festival di destra? Non penso proprio”

Willie Peyote ha raccontato in un’intervista a Fanpage Sulla riva del fiume, l’album pubblicato dopo il successo a Sanremo con Grazie ma no grazie.
A cura di Francesco Raiola
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Willie Peyote a Fanpage (ph Peppe Pace)
Willie Peyote a Fanpage (ph Peppe Pace)

Fin da subito, dal primo ascolto, era evidente che la ripetizione di Grazie ma no grazie, titolo della canzone di Willie Peyote all'ultimo festival di Sanremo, sarebbe diventato un tormentone. Il rapper torinese, poi, ha aggiunto pure un gesto con la mano che è diventato virale su TikTok contribuendo a una diffusione ancora maggiore della canzone. ma l'arista aveva come scopo quello di salire sul palco dell'Ariston per farsi conoscere a un pubblico maggiore e pure più giovane, potendo anche godersi un Festival vero, non come quello contingentato a cui aveva partecipato nel 2021 con Mai dire mai (La locura). A Fanpage ha raccontato il nuovo album Sulla riva del fiume, il suo amore per il rap e la contaminazione e pure l'esperienza al Festival.

Quali sono le differenze tra i due Sanremo?

Quest'anno ho capito una cosa di cui non mi ero accorto la scorsa volta.

Ovvero?

Della portata dell'evento e di quanto fossi andato bene la scorsa volta, perché non potendoti confrontare con le persone, non sentendo il casino e il calore della gente fuori, mi ero perso proprio un pezzo importante di quanto è il trasporto di tutta la nazione per un evento come Sanremo, quindi ho imparato cos'è il Festival questa volta qui.

Io non so se anche a livello di numeri è stata la stessa cosa, nel senso che ho visto che adesso c'è stato un boost incredibile, penso agli ascolti su Spotify dove sei passato da 360.000 a quasi 3.000.000…

L'altra volta i numeri erano più bassi, devo dirti la verità, cioè la crescita era stata meno veloce e meno esplosiva. Ma mi sembra che il pezzo stia piacendo, piace di più anche a me, nel senso che mi piace di più farlo dal vivo, è più facile anche forse a livello vocale, c'è un bel movimento anche di cose di contorno, come il gesto con la mano che è diventato un piccolo caso su TikTok e su Twitter.

Citi TikTok, in questi 4 anni c'è stato un cambiamento enorme – ormai sono velocissimi -, al punto che un pezzo può esplodere improvvisamente anche semplicemente per un gesto.

Sai, è strano, io TikTok lo conosco relativamente poco per motivi anche anagrafici però sì, non mi aspettavo che potesse essere apprezzato su certi canali. Non nascondo che l'idea del titolo e della ripetizione di questa frase, Grazie ma no grazie, un po' immaginavo che potesse diventare un "meme", però non mi aspettavo che quel gesto della mano potesse essere così riconoscibile e così un caso. È divertente, alla fine ho imparato tante cose nuove.

Hai pubblicato per intero Sulla riva del fiume, che avevi già pubblicato in parte in un EP, che effetto ha la tua musica sulla gente nuova che è arrivata a conoscere Willie Peyote col Festival?

Mi sembra positivo, devo dirti anche il disco sta ricevendo dei buoni feedback, sono contento anche perché non nascondo che ho fatto Sanremo, quest'anno, perché volevo dare risonanza a questo disco, di cui sono molto orgoglioso. Sono contento, anche i pezzi vecchi vengono riscoperti e col Festival penso di aver raggiunto un pubblico più giovane dei miei soliti standard.

Non si può non far caso a un paio di frasi che cantavi in alcuni pezzi usciti prima di Sanremo, tipo: "Fanculo l'arte non è in gara" o quando rappi "Il playback in diretta da Zia Mara".

In quest'ultimo caso mi riferivo alla mia precedente esperienza. Quest'anno non ho potuto partecipare a Domenica In anche se ho visto che il discorso del playback è diventato un motivo di scherzo anche da parte degli altri cantanti. L'idea di cantare in playback è una cosa che mi mette sempre un po' in difficoltà. La prima frase, invece, fa ridere pensandola oggi, però mi riferivo a un discorso più generico, ovviamente. Poi sai, Sulla riva del fiume è un pezzo rap di un certo tipo, io in ogni disco che faccio inserisco almeno una canzone che ha una strofa, almeno, che racconta gli ultimi anni che mi hanno portato al disco e quindi, seppure in maniera non diretta, citavo quel tipo di situazione lì.

Tra l'altro nella canzone che dà il titolo all'album citi il tuo primo EP solista e in questo ti chiedo quanto c'è il bisogno di tornare alle radici.

Ma lì era una gag sull'idea del farsi l'autocover a Sanremo, quindi dico la cosa dell'autocover e poi la chiudo con un'autocover. In qualche modo, sai, questo disco per me è ritorno al passato, è chiudere un cerchio iniziato 10 anni fa con Educazione subauda e addirittura quello che cito è un pezzo che faceva 20 anni l'anno scorso e quindi era un doppio cerchio che si chiudeva, così ho voluto citarlo, perché per quanto sia passato tanto tempo, per quanto siano cambiate tante cose, io non mi sento così cambiato, tutto sommato.

Sanremo è una cosa talmente grande che spesso i giovani si sono costretti a essere etichettati. Tu sei rapper, però l'album è tanto altro.

A me stanno bene tutte le etichette che mi vengono affibbiate, non ho la pretesa di decidere io come venire percepito. A me piace tanto il cantautorato, mi piace che possa essere annoverato anche in quella categoria lì, lo prendo come un un complimento. Mi piace mischiare le cose che mi hanno formato, quindi c'è il rap, ovviamente, c'è la black music in ogni sua forma, c'è un po' di cantautorato, c'è anche la stand-up che è una forma d'arte che seguo molto e da cui imparo costantemente.

E invece quali sono le strade del rap che ti piacciono di più da ascoltatore?

Per motivi di affezione storica, ovviamente le sonorità un po' più old school sono quelle che mi fanno più felice come ascoltatore. Mi piace molto questo ritorno al boom bap, come lo chiamiamo noi vecchie teste hip hop, lo sento tornato tanto anche nei dischi degli artisti più importanti del Paese. Certo, le sonorità della trap non sono esattamente le mie, come ascolto, però mi piace l'approccio che hanno nella scrittura, è ancora un genere di rottura e mi piace l'approccio un po' punk. Se dovessi dirti il mio punto di riferimento più alto, penso ad Anderson.Paak o a Mac Miller.

L'esperienza più importante che ti porti da questo Festival?

I rapporti umani credo siano una delle cose che mi porto maggiormente a casa da questa esperienza: le attese nel backstage, il poter condividere con altre persone che stanno vivendo le tue stesse esperienze, quindi hanno lo stesso tipo di pressione, di ansie…

C'è questa piccola serie che ti vede protagonista con Brunori, che era nello tuo stesso albergo, con cui ti scambiavano per strada…

Esatto, è stato molto buffo e ribadisco, io sono un grande fan di Dario da sempre e devo dirti che poterlo incrociare anche solo ogni mattina a colazione o per le scale è stato fantastico, è una persona di una simpatia travolgente e quindi quella è una delle cose che mi ricorderò con più piacere.

Qual è l'effetto di vedersi in varie classifiche, streaming, top debut di Spotify? Insomma, contano quello che contano, sappiamo che probabilmente fra 6 mesi sarà alto, però un minimo di soddisfazione te la dà?

Senza dubbio, anche perché non ero arrivato con l'idea che avrei raggiunto certi traguardi e mi fa piacere perché vuol dire che in qualche modo il lavoro è stato premiato, le scelte che abbiamo fatto sono state capite e quindi ti dà la soddisfazione di dire che stiamo andando nella direzione giusta.

E poi immagino che ti aspettano un bel po' di concerti, no?

Sì, anche perché il disco è nato proprio suonando con la band, è un disco che ha una sua natura live che va portata per forza sui palchi quanto prima, quindi lo spero davvero tanto.

Questa improvvisa bolla dei live ti spaventa? Questo obbligo per cui bisogna fare gli stadi, le grandi platee.

Io sono un artista più da club che da stadio, evidentemente, però no, non mi spaventa, nel senso che capisco l'evoluzione, credo abbia delle radici anche negli anni che hanno preceduto questo momento, l'assenza dei concerti ha poi aiutato l'esplosione dei grandi eventi, di grande condivisione, del voler stare in tanti a fare qualcosa insieme, quindi, secondo me, ha anche una sua spiegazione sociale. Ti dico, al momento non ho il confronto, io i palazzetti li ho visti solo con i Subsonica e allo stadio, a parte per le partite, non ci vado.

Senti, lo hai sentito come un Festival di Sanremo di destra?

Non la trovo corretta come definizione, nel senso che capisco cosa si intende, nella percezione che si avesse paura di infastidire qualcuno. Io mi sento di aver fatto la mia cosa, poi su Sanremo tutti diciamo tutto e il festival è bello anche perché c'è questa libertà – e questa facilità – di commento, però non l'ho vissuto come un Festival particolarmente schierato politicamente né da una parte né dall'altra. In generale posso dirti che se i cantautori, che sono considerati da sempre più di sinistra, sono andati così forte, non non lo vedrei come un festival così smaccatamente schierato da quella parte. Io, "quello che fa la musica politica", un po' mi sono sentito il dito puntato, ma devo dire grazie a Carlo Conti perché è stato molto disponibile su tutta la linea, anche sul lasciarci fare cose che non erano previste, tipo quelle con Luca Ravenna. L'ho visto molto attento alla musica, molto attento ai cantanti e quindi, sai, forse per una volta ci è toccato parlare di musica e a Sanremo non basta.

Sei riuscito ad ascoltare le altre canzoni di Sanremo?

Ci sono tante canzoni belle, tante canzoni che secondo me rimarranno anche se a Sanremo non rimane solo la canzone, rimane anche il personaggio e vedere Lucio Corsi che sta ricevendo così tanto amore da tutta la Nazione è una bella cosa, a prescindere da tutto ti dà un po' di speranze.

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