“We are the world” compie 35 anni, ma oggi il mondo si ferma a Lesbo
Ricordo che, negli anni Ottanta, una delle frasi ricorrenti della mia maestra, era che non bisognava mai sprecare né buttare il cibo perché “ci sono bambini in Africa che non possono nemmeno mangiare quel pezzetto di pane...” Ecco, questa frase ha segnato un’intera generazione. E ogni volta che la mia maestra la diceva sembrava che per un attimo tutto si fermasse e il mondo intero puntasse perentorio su di me il dito indice di chi accusa: “È tutta colpa tua se i bambini in Africa muoiono di fame!” E giù di senso di colpa come se non ci fosse un domani e per allontanarlo raccoglievo anche le briciole, pur di non essere causa di un'altra morte. Anche se alla fine poi le briciole le mangiavo comunque io e ai bambini in Africa morivano lo stesso, ma almeno non si buttava via niente perché: “il cibo non si butta mai.” Punto. Poi all’improvviso è arrivato lui, il re, Michael Jackson con We are the World e altri 74 artisti fra i più celeberrimi della scena musicale di allora e tutto è cambiato.
"USA for Africa" univa intrattenimento e beneficenza
Si potrebbe quasi dire che sia stata la prima presa di coscienza collettiva globale, di certo fu il primo grande evento della storia della cultura popolare a mettere insieme tanti artisti di così grande fama in un solo colpo (come viene raccontato qui). "USA for Africa" acronimo di "United Support Artist", non solo di United States of America, univa intrattenimento e beneficenza. E fu un successo di tali proporzioni che nel corso di questi 35 anni che ci separano dalla sua pubblicazione, sono stati in molti a cercare di emularne la fortunatissima sorte ma ovviamente senza riuscirci. Ma soprattutto da quel momento ci sembrava che potessimo fare qualcosa in più che raccogliere le briciole dei nostri panini.
Credo che We are the world abbia segnato un momento tale da aver creato un prima e un dopo. Fu stampata il 7 marzo 1985 in 800.000 copie, che andarono subito esaurite. Il 5 aprile più di 5.000 stazioni radio trasmisero il brano contemporaneamente. Il singolo conquistò la cima della classifica di Billboard diventando il singolo ad aver conquistato più velocemente la posizione numero 1, dominandone inoltre le sue varie classifiche. Furono venduti oltre 8 milioni di copie soltanto negli Stati Uniti e i fondi raccolti, oltre 100 milioni di dollari, furono interamente devoluti alla popolazione dell’Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia.
L'Italia negli anni Ottanta
In Italia fu trasmesso in prima serata, in televisione, e lo vedemmo tutti e tutte. E non c’era nessuno che la mattina dopo non ne parlasse: erano tempi assai differenti da quelli in cui ognuno è richiuso nella bolla del proprio algoritmo e vede solo quello che vuole vedere. Tempi diversi ma non per questo migliori sia chiaro, non sono ancora così vecchio da glorificare i miei bei vecchi tempi andati. Chiunque, il giorno dopo, però sentiva nel profondo di se stesso empatia nei confronti del terzo mondo, chiunque voleva fare la sua parte, aiutare quei poveri bambini con la pancia gonfia e il viso scheletrico che osservavano inermi e quasi imbambolati gli obiettivi delle telecamere che li riprendevano a beneficio dei nostri teleschermi e telegiornali, trasmessi all’ora punta, durante la cena di ogni buona famiglia media italiana. La compassione faceva ancora parte del nostro paese, del nostro lessico e per questo le maestre di un’intera generazione continuavano a ripetere che non era giusto buttar via quel pezzetto di pane con il quale dei bambini “avrebbero potuto campare giorni interi”. Un po' troppo secondo me ma tutto sommato aveva il suo senso e di certo era molto meglio di quanto si sente spesso dire oggigiorno.
Da We are the world al razzismo moderno
E difatti, 35 anni dopo il più grande evento della cultura pop, che non fu solo musicale ma anche umano (e, beninteso, anche commerciale, non solamente disinteressato come molti musicisti della scena indipendente e punk accusavano in quegli anni), pare che le persone non siano più in grado di provare compassione ed empatia, anzi tutto il contrario. E questo accade semplicemente perché quei bambini poveri con gli occhi sgranati e il pancino gonfio hanno detto basta e sono arrivati fin qui, alle nostre porte. E in casa nostra non c’è spazio: compassione sì, ma ognuno al suo paese perché "Tutta l'Africa in Italia non ci sta. Punto" come ebbe a precisare il capitano Salvini. Siamo passati in pochi anni da “noi siamo il mondo” ad “aiutiamoli a casa loro” che potrebbe essere il titolo di una bellissima canzone sovranista, dove potrebbero cantare molti dei personaggi della scena musicale contemporanea che si son dichiarati tali. Chi lo sa, magari Povia e Rita Pavone (giusto per citarne un paio con dichiarate posizioni sovraniste e “anti migratorie”) potrebbero essere i nuovi Jackson e Lionel Richie… sto scherzando, ripeto sto scherzando.
Purtroppo oggi il mondo è più diviso e divisivo che mai, lo era anche 35 anni fa per via della guerra fredda e in altri modi, ma forse si conservava un certo pudore nell’esternare il proprio razzismo, il proprio odio e la propria ignoranza. 35 anni fa “noi eravamo il mondo”, adesso “io e solo io sono il mondo”. E quel mondo che crolla a pezzi giorno dopo giorno, quel mondo che siamo stati abituati a guardare in televisione, provando compassione telecomandata, ora lo seppelliamo negli abissi del mare dove lo abbandoniamo e lasciamo che venga torturato davanti un filo spinato a Lesbo. Forse, in questi giorni bui e ambigui. sarebbe più giusto dire: "We fuck the world". E come siamo arrivati a tutto questo? Verrebbe da chiedersi se le riposte non fossero davvero tante, ma così tante da non poterci stare in questa piccola storia.
35 anni dopo
35 anni dopo non sono più quel bimbo terrorizzato dai sensi di colpa ma un allegro papà di un bimbo e una bimba ai quali, proprio ieri, ho gridato perentorio "ehi bimbi, NO! Non si butta il cibo per terra… ci sono bambini che ci camperebbero una settimana intera con quel pezzo di pa…" e mentre lo dicevo mi sono fermato e son scoppiato a ridere da solo. Mi ero trasformato nella mia vecchia maestra… vecchia un paio di palle visto che all'epoca mi sembrava molto anziana ma poi aveva solo una decina in più d’anni del me di adesso.
E comunque anche se sono passati 35 anni, Bob Dylan che canta "We are the world, we are the children" è ancora inascoltabile.