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Valerio Magrelli: “Si impara ad essere padri solo quando si smette di esserlo”

Intervista a Valerio Magrelli, uno dei maggiori poeti italiani viventi: dalla stesura di “Geologia di un padre”, suo ultimo romanzo, alla sua idea di paternità.
A cura di Luca Marangolo
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Valerio Magrelli ha attraversato l’ultimo trentennio sull’onda di una produzione poetica e in prosa che lo ha reso illustre, tracciando un solco molto personale e assimilando elementi stilistici, estetici e culturali dalle esperienze più diverse. Sostenitore di una sperimentazione linguistica continua e complessa, Magrelli assorbe alcuni stilemi dell’avanguardia, trasponendone però le forme in base ad una propria urgenza.

Il suo celebre esordio poetico, Ora serrata retinae, una raccolta pubblicata alla giovane età di 23 anni, lo ha proiettato da subito sulla scena del dibattito estetico nazionale. Come ci ha dichiarato, Magrelli sposa il motto di Sanguineti per cui “si scrive poesia sempre contro qualcuno”. Si scrive poesia, potremmo dire, per scuotere dai lacci della semantica la vita quotidiana, reagendo all’esistente.

Se Ora Serrata retinae era infatti un testo dall’estetica sublimata, rarefatta e votata all’astrazione, alla riflessione sul parallelo fra la l’abbandono al sonno e quello alle possibilità percettive della parola poetica, lavori successivi come Didascalie per la lettura del giornale, ma soprattutto lavori prosastici come Nel condominio di carne, La vicevita e Addio al calcio la quotidianità penetra nel suo linguaggio poetico con vigore, e i lavori di Magrelli iniziano sempre più ad oscillare fra l’esigenza di rielaborare la complessa cultura poetica novecentesca, che fa parte del suo bagaglio, e l'esplorazione del quotidiano: dalla mera realtà fisica del corpo trasposta in una chiave allucinatoria, alla resa quasi ipnotica di un’esistenza ferroviaria.

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Per raccontare il suo incontro con la prosa, Magrelli è ricorso ad un parallelo preso in prestito dal dibattito fra  Valéry e Julienne Gracq.  Valéry accusava il romanzo di essere un’esperienza gratuita, a differenza della necessità del fare poesia, ma  “Valéry” – e Magrelli cita Gracq –  “osserva l’atto del narrare come un’insegnante di ginnastica che potrebbe osservare due persone alle prese con l’accoppiamento”.

Se con questa frase Gracq intendeva dire che poesia e prosa sono quasi due mondi a sé stanti, tanto da non  riconoscersi a vicenda, tuttavia è proprio in virtù della necessità della poesia che l’ultimo libro Geologia di un Padre è quasi un esperienza poetica che si sforza di penetrare, colorare e illuminare una serie di vicende della più intensa prosa quotidiana, trasfigurandole: quelle che illustrano il rapporto fra un padre degli anni sessanta, un ingegnere, ed un figlio che ne segue l’esistenza attraverso la malattia, le fragilità personali e la straziante agonia.

Geologia di un padre, complesso iconotesto di una relazione filiale, ha ottenuto successo di pubblico e successo critico, essendo fra l’altro finalista già di due importanti manifestazioni come il premio Campiello e il premio Dedalus 2013, ed è quindi la testimonianza forse culminante di un percorso di maturazione letteraria in cui la necessarietà della poesia predicata da Valéry (l’esigenza di far deflagrare il senso dell’esperienza attraverso un’accanita esplorazione semantica) e  l’intrinseca storicità e quotidianità del romanzo (del racconto inteso, in questo caso, come il tentativo di riappropriarsi di un ricordo) si incontrano fortemente.

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