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Valeria Parrella: “Il mio romanzo di formazione durante l’eruzione che sommerse Pompei”

L’ultimo libro di Valeria Parrella si chiama La fortuna ed è una storia di formazione ambientata durante l’eruzione del Vesuvio del 79 dC.
A cura di Francesco Raiola
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Valeria Parrella a Fanpage
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Lucio vive negli anni dell'eruzione del Vesuvio del 79 dC, quella che sommerse Ercolano e soprattutto Pompei, tornata alla luce negli ultimi secoli e visitabile dopo il periodo pandemico. Proprio questa nuovo tornare alla luce dopo la chiusura a causa del Covid ha dato a Valeria Parrella – autrice di libri come Almarina, Lo spazio bianco e Mosca più balena, tra gli altri – lo spunto per ambientare in quegli anni il suo nuovo romanzo, La Fortuna, il primo per Feltrinelli e l'ennesimo che conferma la scrittrice napoletana come una delle voi più autorevoli della Letteratura italiana contemporanea. Quello di Parrella è un esercizio di scrittura che oltre a innalzare il livello stilistico si confronta con un lavoro concettuale e semiologico enorme. Ma Parrella si conferma soprattutto narratrice, demiurgo in grado di muovere i personaggi sulla scacchiera della pagina bianca, sceglie con attenzione i punti di vista e unisce racconto storico, antropologico e di formazione in cui c'è stato un importante lavoro di studio degli usi e dei costumi dell'epoca.

Lucio nasce durante il terremoto del 62 dC che precede di qualche anno l'eruzione: prima dell'evento, però, Parrella lo fa crescere in un mondo in cui potrebbe avere la vita già segnata e spianata dalla nascita, essendo del rango senatorio, ma il bello è potergli far sviluppare una passione fortissima per il mare per cui abbandonerà il solco segnato dalla sua storia familiare, scegliendo di studiare a Roma e poi entrare nella flotta di Plinio a Capo Miseno. E proprio questo lo porterà a guidarla verso Pompei, guardando l'eruzione da mare e mostrando il suo ruolo di capo illuminato che alla fine riuscirà ad "andare dove nessuno sarebbe andato".

Valeria, in quale contesto storico è nato Lucio?

Lucio nasce nel 62 dC, quindi epoca imperiale a Pompei: c'era stato un forte terremoto di cui sappiamo tutto per le evidenze archeologiche, era il prodromo della grande eruzione, ma loro non lo sapevano, quindi nasce per un evento naturale.

Come è nata l'idea di ambientare il romanzo nella Pompei antica?

Anche questa per una catastrofe naturale: subito dopo il primo lockdown sono tornata a Pompei per parlare dell'Antiquarium ed era una Pompei vuota, non c'erano bancarelle, turisti, e così quando sono entrata agli Scavi, l'ufficio stampa mi ha detto: "Non vediamo l'ora di vederla tornare a vivere" e sembra incredibile, una frase potentissima detta in una città che era scomparsa due mila anni prima e poi era tornata alla luce. Insomma, anche rispetto alla pandemia Pompei ha qualcosa da dirci.

Che lavoro è stato quello di rievocare e ricostruire la Pompei di quei tempi?

Io Pompei la conoscevo perché ci ha lavorato mia madre per tanti anni e lavorava proprio sulle specie naturali, quindi tutta la parte della flora e della fauna la conoscevo. Ho dovuto fare tutta una ricostruzione della cultura materiale, però anche quella è facile perché Napoli è piena di librerie – mi piace ricordare Pironti – in cui ho comprato tantissimi libri inaspettati, dispense universitarie in cui c'erano analisi di cose che sembrano minuscole ma che nella narrazione sono importantissime, tipo cosa mangio ma anche dove mangio e con cosa mangio.

Dove finisce la realtà storica e dove comincia il lavoro dello scrittore di fiction?

Chiunque si metta a scrivere un romanzo ambientato nel 79 dC, ambientato tra capo Miseno e Pompei vuole scrivere dell'eruzione. Io faccio sempre così: mi leggo tutto quello che è stato scritto sull'argomento, e quando dico tutto intendo tutto, dalle fonti di prima mano ad Alberto Angela, Robert Harris, anche la parte pop e divulgativa perché mi interessano tutte le versioni. Quando penso di aver raccolto tutto me lo dimentico e lo immagino daccapo.

Cosa hai immaginato dimenticando tutto?

Volevo cambiare la prospettiva, da terra l'eruzione è stata molto raccontata, è anche più visibile e mi sono detta: vediamo se si può fare da mare.

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Qual è stato il metodo per dare vita e credibilità al protagonista nella trama di un romanzo storico?

Secondo me scrivere un romanzo storico è come giocare a Second Life, crei una trama, decidi un personaggio, in questo caso è un ragazzino che si ribella come tutti i ragazzini. Lui, poi, è inserito in una società fatta di dogmi e di libertà come quella sessuale, ma c'è anche il dogma sociale: lui appartiene al rango senatorio, quindi può fare e non fare cose, a seconda delle proprie pulsioni e a seconda del mondo attorno. Questa cosa credo sia vera per gli esseri umani in qualunque epoca, la cosa divertente è andare a vedere ogni cosa che avrebbe fatto Lucio oggi come si faceva all'epoca. È stato un gioco di ruolo, sostanzialmente.

Come hai lavorato sul lessico e sul linguaggio?

Lucio avrebbe dovuto parlare latino, parla in prima persona, quindi già quella è una finzione. Il lessico ha preso tantissima valenza nel corso dei secoli, per cui a un certo punto Lucio si mette sull'impluvium (una vasca incastonata nel pavimento dell'atrio delle case, ndr) a guardare il cielo e vede una luna che è sfocata. Io non potevo dire "sfocata", però, perché se è vero che il fuoco esiste da sempre, "sfocato" deriva da "messa a fuoco", concetto sviluppato dopo, quindi tutte le parole hanno una stratigrafia che va avanti negli anni e come avrebbe fatto un archeologo io ho dovuto ripulire questa stratigrafia, per creare una lingua pulita pulita.

C'è una qualità in particolare che riconosci in Lucio?

Secondo me Lucio è un ragazzo magico, come sono tanti ragazzi. Io mi confronto con gli adolescenti, ho un figlio di 16 anni, e vedo che hanno la capacità di arrivare al punto senza tutti gli orpelli che ci siamo costruiti noi negli anni. Non hanno ancora il senso del compromesso ed è una cosa bellissima, gli dà la possibilità di essere rivoluzionari, questo li rende magici, quindi credo che Lucio sia molto sentenzioso, sa parlare, è andato a scuola da Quintiliano, quindi le dice anche bene.

Hai chiamato il romanzo "La fortuna", che significato assume per te?

La fortuna è un nome molto bello per noi. Per i latini, però, era ambivalente, perché vuol dire sorte e la sorte può essere buona o cattiva. C'è questo motto napoletano che dice "Storta va e dritta vene" che secondo me viene dal latino e racconta questa ambivalenza, ma è anche una Dea, infatti Lucio è affascinatissimo dalle storie in cui umani e dei si mischiano, perché sa, essendo un iniziato, che c'è del divino nell'umano e quindi vuole andare a vedere dove sta, perché è la parte più affascinante e questa dea che gli compare in una narrazione fatta dalla bàlia pare dare dei baci meravigliosi e lui, da ragazzino ormonizzato, li vuole proprio quei baci. Per me, infine, la fortuna è una nave di cui tenere la barra del comando, dopodiché a volte nel maremoto l'unica cosa che si può fare è seguire la corrente.

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