Valeria Parrella: “Le mie personagge sono forti come le donne che incontro per strada”
Valeria Parrella cominciò la sua carriera ufficiale da scrittrice con la pubblicazione della raccolta di racconti "Mosca più balena", pubblicata da minimumfax, che decise di investire su di lei dopo aver letto un racconto arrivato dattiloscritto. Quel libro fu un piccolo caso editoriale e un successo a cui seguì una seconda raccolta, "Per grazia ricevuta" che bissò quel successo, facendo di Parrella una delle scrittrici da tenere d'occhio, finché il romanzo Lo spazio bianco diede la stura definitiva a farne una venerata Maestra, ruolo che tutt'oggi, decine di libri dopo è riuscita a mantenere, pur non occupando uno spazio social in maniera coatta, ma solo con la forza della scrittura e delle idee. Il percorso di Parrella è cristallino, negli anni si è imposta come una delle voci più brillanti della sua generazione e successivamente della Letteratura italiana tour court. Nelle scorse settimane è tornata in libreria con la raccolta di racconti "Piccoli miracoli e altri tradimenti", secondo libro pubblicato dopo il passaggio a Feltrinelli, tornando alla forma racconto dopo il romanzo storico La fortuna. Parrella racconta storie di donne, donne che esprimono la loro sessualità, che affrontano senza pietismi momenti difficili, che vogliono essere donne prima che mamme, tornando alla sua amata Grecia con una rilettura della storia di Didone e Enea. Ne abbiamo parlato con lei.
Dopo il romanzo storico, il ritorno alla forma racconto, quella da cui hai cominciato…
È anche il mio primo amore da lettrice. Ti racconto questa cosa: a 19 anni ebbi l'epatite virale e come me la presi? Mangiando una cozza sopra una pizza, ma per fortuna ero sana, quindi riesco ad affrontarla tranquillamente. Però l'epatite comporta che per un periodo stai senza mangiare e ti mettono una flebo nel braccio, quindi stavo con un braccio sempre bloccato, ed era il periodo in cui uscivano dei piccolissimi racconti spillati, che in copertina avevano dei disegni di Tullio Pericoli. E c'erano racconti come "Il pranzo di Babette" di Karen Blixen, oppure "Il giorno del Ringraziamento" di Truman Capote, insomma erano tutti racconti, quindi io che avevo un braccio bloccato e non avevo la forza di leggere libroni, leggevo ‘sto racconto, giravo pagina, giravo e giravo e infine lo mollavo. Poi, finito quello, mi cambiavano la flebo e ne prendevo un altro. E così è nata la mia passione per i racconti: i racconti mi hanno fatto compagnia con le transaminasi alte.
E dalla lettura, sei passata alla scrittura…
Mi piaceva scriverli e mi piace scriverli, conta che mentre scrivo romanzi continuo a scrivere racconti, quindi siamo arrivati a quattro raccolte di racconti in vent'anni.
Piccoli miracoli e altri tradimenti: un titolo che cerca di dare qualche indicazione sulle storie che leggeremo.
Sì, Piccoli miracoli è proprio un racconto eponimo, è erotico, anzi, forse non voglio dire erotico, è un racconto sessuale e sessuato, nel senso del racconto di questi due si amano facendo l'amore, in maniera molto esplicita, perché il sesso come si racconta? Solo dando pane al pane e vino al vino, io faccio così. E a un certo punto lei, mentre stanno facendo l'amore, ha una fantasia sessuale, ma non sa se dirlo ad alta voce perché è una cosa di cui non è certa che le piaccia. In quel momento lui, incredibilmente, capisce questa cosa e la fa. Cioè un maschio che capisce questo cosa? È un piccolo miracolo.
Il primo racconto parte con un segnalibro su una tavola imbandita, su cui la protagonista viene nominata come "mamma", non col nome, come tutti gli altri. Questa cosa è la miccia che dà il via a tutto: perché questo particolare è così importante?
È stato molto divertente scriverlo: il racconto si chiama proprio "Mamma", parola che ti fa pensare subito a una cosa tenera, rassicurante oppure nostalgica – io la mamma non ce l'ho più – e quando l'ha letto una amica e scrittrice come Rosella Milone, che ha scritto tanto di maternità, ha pensato: "Oddio!". Però,a lla fine non è proprio "Oddio!", perché la protagonista sa cosa farsene di questo segnaposto in cui manca il suo nome da donna e c'è solo il suo ruolo: ne farà una cosa buona.
Non sveliamo nulla. Sono storie di salvezza, ma comunque storie di donne sempre molto forti.
Ti dovrei dire che le donne sono molto forti e quindi, così come lo sono le donne lo sono le personagge. Io non faccio fatica a creare personagge forti, perché ascolto molto le storie che mi vengono raccontate e ammiro tantissimo le donne che questa città continuamente offre. Nelle conversazioni, negli incontri, imparo tantissimo e imparo anche a essere donna, così come imparo dalle ragazze, quindi non mi riesce difficile. Non è che devo inventarmi qualche cosa, solo le trame sono inventate. C'è una storia sola, forse, in cui non c'è proprio riscatto, eppure c'è una donna che fa una grande tenerezza che è la storia di una senza fissa dimora. Però lì c'è una barista che in qualche modo rappresenta lo sguardo della pietas.
È un periodo in cui gli intellettuali sono attaccati non solo sui social, ma anche dal Potere. Tu eri molto amica di Micherla Murgia, una scrittrice che ha subito questo odio. Cosa ne pensi?
Michela Murgia ha subìto il peso dell'odio del potente, quel potente che ti indica, cosa che è successa, per esempio, anche a Roberto Saviano. Il potente dovrebbe essere colui che gestisce il potere, inteso come verbo. Cioè, io posso fare delle cose perché posso legiferare, per esempio. Stop. Non dovrebbe mai essere un esercizio di forza. Il politico non sta mai nella posizione del pubblico cittadino: il pubblico cittadino può dire a un politico che fa male il ministro. Il ministro non può mai dire a un professore, fai male il professore.
La lingua modifica la realtà?
Sì, assolutamente sì. Soprattutto nel pensiero veloce, quello dei click, quello dei titoli dei giornali, per esempio, la modifica. "Morte 105 persone nella calca per approvvigionamento di beni di prima necessità": scritta così non capisco che l'esercito israeliano ha sparato sui palestinesi ridotti alla fame. Sono due frasi diverse, quindi significano due cose diverse.
Ci pensi mai che sei una delle scrittrici che ha fatto questo lavoro inviando un manoscritto?
[ride, ndr] Ma perché sono cambiati i tempi, adesso come fai? Chi invierebbe un manoscritto, oggi? Nessuno, forse manco io lo farei. Però sì, ho cominciato a mandare un manoscritto, anzi un dattiloscritto per posta cartacea, normale, manco raccomandata…
Mentre eri libraia in Feltrinelli…
Esatto, in quel periodo là.
Cosa succede dopo l'uscita di un libro?
Che sento un profondo senso di gratitudine, non è mai dato che tu scriva un libro e che le persone lo leggano. Poi sai, il mio lavoro è un lavoro strano, nel senso che tu stai chiuso in una casa, in uno studio, per due anni scrivi un libro, il feedback che hai dal vivo è pochissimo rispetto a chi fa spettacolo dal vivo, per esempio, che sente l'applauso, sta là sera dopo sera, e subito ha un riscontro. A volte mi arrivano delle lettere, sono molto belle.
Dattiloscritte?
Talvolta scritte a mano, perché ho una posta dei sentimenti su un settimanale, quindi mi scrivono anche a mano. A volte le persone mi sorprendono, magari mi conoscono come scrittrice, ma mi raccontano cose che io non so. Ed è molto bello. L'altro giorno mi ha fermata una signora, a Napoli, e mi ha detto: "Lei è Valeria Parrella?", "Sì", "Io sono stata alunna di suo nonno all'Istituto tecnico. Suo nonno, com'era bravo!". Cioè mi ha fatto i complimenti per mio nonno. Che bello!