Mentre sto parlando al telefono con Valeria Parrella, qualcuno ci interrompe. La voce di una donna irrompe, dicendole che sta parlando troppo a ridosso di casa sua: evidentemente il tono squillante della scrittrice partenopea deve averle creato qualche scompiglio. "Questa è Napoli" mi dice sorridendo l'autrice di "Almarina" (Einaudi), che all'ultima edizione del Premio Strega ha più che ben figurato ottenendo un onorevole terzo posto col suo ultimo romanzo ambientato nel carcere minorile di Nisida. Tuttavia prima di procedere oltre in quest'intervista devo confessare al lettori di vivere un conflitto di interesse: da anni con Valeria Parrella condividiamo un pezzo di vita e di lavoro, organizzando insieme una piccola rassegna letteraria che si chiama Un'Altra Galassia, ma soprattutto siamo grandi amici. Qualche giorno fa, in occasione del polarizzarsi del dibattito social italiano attorno agli scatti di Chiara Ferragni alle Gallerie degli Uffizi (ma più che gli scatti pare che a generare la battaglia social sia stato il contenuto del post degli Uffizi) ho letto un tweet della scrittrice e le ho posto qualche domanda, che spero possano essere di un qualche interesse generale.
Andiamo subito in affondo: cosa pensi della vicenda Ferragni-Uffizi?
Per come la vedo io, qualsiasi cosa contribuisca ad "aprire" i musei alle persone è la benvenuta. Mentre qualsiasi cosa li "chiuda" è male. Il solo fatto che ne stiamo parlando da giorni significa, in qualche modo, riparlare dei musei e metterli al centro di un dibattito. È giusto o sbagliato che un museo faccia questo tipo di marketing? Non lo so. La questione più importante di cui dovremmo discutere sono le politiche museali.
In quali termini?
Prima ho bisogno di una premessa. Viviamo in una società capitalista, quindi non mi meraviglio che i musei oggi sopravvivano attraverso i privati, né che Ferragni faccia un servizio fotografico agli Uffizi o che la Fontana di Trevi venga restaurata con il contributo di Fendi. Prendo atto della cosa. E poi senza fare troppo gli snob posso dire una cosa? Grazie a una fotografia di Chiara Ferragni, ho scoperto un'opera di cui non conoscevo la storia.
Quale?
Quella del "Tondo Doni" di Michelangelo Buonarroti. C'è una foto molto bella in cui Chiara Ferragni è stata immortalata di spalle mentre la osservava. Sono andata a fare delle ricerche e ho scoperto che si tratta dell'unica opera che possiamo attribuire con certezza a Michelangelo. Con questo cosa voglio dire? Ipotizziamo che in Italia ci sia qualcuno che fino all'altro giorno non conosceva la Venere di Botticelli, magari adesso la conosce. Se questo è l'obiettivo, penso che qualsiasi strada vada bene: i puristi cercano le strade pure, ma siccome viviamo in un mondo impuro, la ricerca della purezza non ha senso.
Se scrivessi questa cosa in un tweet, saresti sommersa dalle critiche.
L'ho fatto. Ho letto i commenti ed alcuni erano interessanti. Perlopiù si tratta di persone colte, qualcuno mi ha persino invitare a rileggere Agamben per dirmi che sbagliavo. Ma ho qualche dubbio che chi legga Agamben abbia un problema con gli Uffizi dopo il passaggio della Ferragni. Il punto è un altro: per chi sono i musei? Per chi legge i libri di Agamben? O vogliamo che siano anche per gli altri che non lo leggono? Forse una parte della bagarre che si è scatenata dipende da come la gente vede la Ferragni.
Pensi ci sia del sessismo in questa vicenda?
Avverto un disprezzo generale ma non saprei dire se è sessista o elitario.
Prima hai accennato al fatto che bisogna rimettere al centro del dibattito le politiche museali… (a questo punto, la signora infastidita dal vociare ci interrompe per qualche secondo…)
Vorrei che in Italia si potesse fare come al Prado di Madrid. Dopo le 19, si entra gratis. Magari invece di fare tutti l'aperitivo, a quell'ora qualcuno potrebbe scegliere di andare ad ammirare una singola opera per un'ora, prima di cena.
L'idea è: musei gratis per tutti?
Sarebbe l'ideale, ma l'ideale è parlarne senza estremismi: il fatto che un turista paghi il biglietto per entrare in un museo può essere giusto, lo è meno che debba pagarlo un cittadino residente. Ecco. Aiutiamo e sosteniamo le persone a varcare la soglia nei musei, facciamo che chi abita le nostre città possa entrarci quando vuole, senza aspettare le domeniche gratis. Un altro grande problema sono le barriere architettoniche che ad oggi rappresentano un problema enorme e irrisolto, per cui davvero ci vorrebbe un movimento di indignazione che veda tutti uniti: i direttori dei musei, chi ci lavora e le persone che scrivono sui social…
Di recente, in un'intervista che ci ha concesso qui, il nuovo direttore generali del MiBact, Massimo Osanna, ha dichiarato che quest'ultima sarà una delle sue priorità. Ma andiamo avanti. Prezzi, accessibilità e poi?
Didattica.
Ti fermo un attimo. Vorrei che in proposito rispondessi anche a questo: prima, quando hai affermato che dopo il passaggio della Ferragni a Firenze qualcuno più di ieri oggi conosce la Venere di Botticelli, alludevi al fatto che questo è lo scopo ultimo dell'arte. Perché è così importante conoscere un dipinto?
Ti rispondo con un fatto accaduto in passato nella mia famiglia. Mia madre era figlia di un operaio delle Ferrovie dello Stato e di una casalinga, arrivava a scuola a digiuno di tutto. Durante gli studi incontrò una professoressa di italiano che intuì il suo potenziale, ma anche il fatto che di più, data la situazione socioeconomica di partenza di mia madre, per lei non avrebbe potuto fare. Peraltro mia madre e un'altra sua compagnuccia erano le uniche due donne presenti nella loro classe. Così la professoressa si inventò un appuntamento settimanale, di domenica, in cui accompagnava mia madre alla scoperta dei musei della città, dall'Orto botanico al Museo di Capodimonte a Napoli. Col tempo quel seme gettato da una professoressa si è trasformato in un un frutto che ha consentito a mia madre di prendere il famoso ascensore sociale e di guadagnarsi una vita migliore di quella a cui era destinata. L'arte serve a questo: a emanciparci.
Cosa può fare un intellettuale oggi per contribuire a questo scopo?
Non so un intellettuale, ma so cosa dobbiamo fare come adulti: dare le chiavi delle porte che teniamo chiuse ai ragazzi. Dobbiamo fare un passo indietro e lasciare che i ragazzi di oggi si costruiscano da soli il futuro che li aspetta. Stiamogli dietro, solo così riusciremo davvero ad accompagnarli.