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Un pomeriggio con Lino Fiorito: tra pittura, cinema e teatro (VIDEO RITRATTO)

Lo scenografo Lino Fiorito, che ha firmato grandi successi teatrali e cinematografici come “Il Divo” di Paolo Sorrentino e “Le voci di dentro” di Toni Servillo, ci apre le porte di casa sua per raccontarci oltre trent’anni di carriera.
A cura di Andrea Esposito
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Pittore e scenografo di teatro e di cinema, Lino Fiorito (Ferrara, 1955) è una delle figure più atipiche del panorama artistico napoletano e italiano. Abbiamo trascorso nella sua casa napoletana (Fiorito vive tra Napoli e Colonia dove risiede sua moglie) un intero pomeriggio per farci raccontare più di trent'anni di carriera: dai successi giovanili con la compagnia “Falso Movimento” (che poi diventerà “Teatri Uniti”) ai recenti traguardi professionali in film come “Il Divo” di Paolo Sorrentino o spettacoli come “Le voci di dentro” di Toni Servillo. Vi riportiamo le parti salienti della nostra lunga conversazione che, per necessità di montaggio, abbiamo dovuto escludere dal video.

Gli esordi: Napoli, fine anni ‘70

Nasce "Falso Movimento"

Da "Tango glaciale" a "Ritorno ad "Alphaville"

“Falso Movimento” diventa “Teatri Uniti”

Il cinema con Paolo Sorrentino

La mostra in corso: "Ceramiche"

Gli esordi: Napoli, fine anni '70

“La mia avventura – così inizia il suo racconto – è iniziata insieme al mio amico Maurizio Colantuoni, che oggi fa lo scultore. Insieme abbiamo mosso i primi passi nel mondo dell’arte, sebbene all’epoca non avessimo un’idea chiara di cosa significasse “fare l’artista”. Grazie a suo fratello Paolo che ha qualche anno più di noi iniziammo a conoscere la musica americana, a leggere “Linus”… insomma a venire a contatto con esperienze più stimolanti. In seguito la figura che più di tutte ha dato avvio al mio percorso è stata quella di Giuseppe Desiato con cui ho collaborato, nel senso che ero una sorta di assistente, un paio di anni: Peppe è un’artista unico, controcorrente, che purtroppo è stato marginalizzato dal sistema dell’arte. Lui ha formato diverse generazioni di artisti qui a Napoli. Il suo più grande insegnamento, che mi ha letteralmente “aperto la testa”, è stato quello di farmi capire che si poteva fare arte anche con strumenti non associabili a essa: per esempio utilizzava super 8, diapositive, registratori, faceva performance di body art (tra l’altro è stato uno dei i primi in Italia). Dopodiché la galleria “Spazio Libero” mi diede la possibilità di organizzare una mostra che chiamai “Na-Ny-Na” (Napoli-New York-Napoli) in cui sostanzialmente esposi una serie di fotografie che mi ero fatto fare fuori casa mia, ad Agnano, accanto a macchine americane, in cui ero vestito come uno yankee: occhiali ray-ban, giubbotto di pelle, cappellaccio…

Nasce "Falso Movimento"

A questa mostra vennero anche Mario Martone e Angelo Curti che all’epoca avevano un piccolo gruppo che si chiamava “Nobili di rosa”. Lì per lì non ci fu nessun contatto, poi grazie a un articolo di Giulio De Martino, che seguiva i primi passi di molti giovani artisti napoletani, sulla rivista Campania Felix, conobbi Martone. L'episodio, a pensarci oggi, è molto divertente: in quest’articolo De Martino commise un errore tecnico nell’impaginazione e quindi capitò che alla voce Lino Fiorito comparisse la foto di Mario Martone e viceversa. Qualche giorno dopo ad un concerto alla Certosa di San Martino incontrai Mario e iniziammo a parlare della cosa. Da lì, lui mi iniziò a raccontare della volontà di formare un nuovo gruppo, “Falso Movimento”, e del fatto che avrebbe voluto coinvolgermi per la parte di scenografia e pittura.

Da "Tango glaciale" a "Ritorno ad Alphaville"

I primi anni ’80 sono stati anni meravigliosi, Falso Movimento era un gruppo attivissimo in quello che all’epoca era definito teatro di “nuova spettacolarità”, di “post-avanguardia”. Era in sostanza un teatro visivo, apparentemente “ricco”, focalizzato su aspetti legati alla performance, più che al teatro di parola, alla prosa classicamente intesa. Venivamo dopo le "cantine", dopo Carmelo Bene, dovevamo creare qualcosa di nuovo. Avevamo il vezzo di indossare cravatte colorate e in generale un abbigliamento eccentrico, tanto che qualcuno ci prendeva per “fasci”! “Tango glaciale”, che è stato un grande successo, fu prodotto da un teatro di Amsterdam, uno degli spazi più d’avanguardia dell’epoca, e ci aprì le porte di una tournée americana da New York a San Francisco. Incredibilmente avevo iniziato, qualche anno prima, sognando l’America e mi ritrovai lì: alla prima di “Tango” conoscemmo Martin Scorsese, Andy Warhol e Farrah Fawcett. A Londra conoscemmo Keith Haring… Eravamo una compagnia di teatro ma ci sentivamo come un gruppo rock!

“Falso Movimento” diventa “Teatri Uniti”

Correva l’anno 1987 e il gruppo di Falso Movimento si unì con Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio di Caserta, che facevano capo a Antonio Neiwiller (putroppo prematuramente scomparso nel 1993), e a Toni Servillo: nacque così “Teatri Uniti”. Il nuovo gruppo aveva un’impostazione più orientata al teatro di regia, legato al testo, e quindi io decisi di trasferirmi a Roma per cercare un ambiente di lavoro più “aperto” di quello napoletano. Uno dei grandi problemi di Napoli, e che dura ancora oggi, è che non è una città nel senso compiuto della parola. Essa è slegata, ciò che si fa a Scampia, non si sa a Fuorigrotta. Quello che invece si fa a Chiaia, non lo sanno nel Centro Storico… Il punto è che dopo poco tempo mi accorsi che Roma è forse anche peggio di Napoli, o che comunque è una città in cui molte persone provengono dalle regioni limitrofe per lavoro. E quindi durante le feste comandate e i week end tornano alle proprie case… insomma le cose lì arrivavano, ma “portate” da fuori. Non c’era più la Roma degli anni ’60 e ’70. Certo mi capitarono alcune esperienze, associabili a quei tempi, non so, del tipo che mi trovai a cena con Moravia o a chiacchierare con Kounellis, ma ormai non era più il centro di un certo mondo dell’arte. Decisi così di tornare a New York per abitarci, era il 1992. Trascorsi lì quasi otto anni, ma le cose erano molto cambiate rispetto all’esplosione degli anni ’80. A quel tempo New York, e l’America in generale, così come molte città europee, erano ferite dalla diffusione dell’Aids: ricordo grandi battaglie, anche legali, da parte dei giovani e della comunità artistica per cercare di combattere questa piaga. In quegli anni il mio stile, dopo un momento più eclettico e “colorato” legato agli anni ’80, divenne più asciutto: trovai una mia lingua. In sostanza, parlando in termini semplici, utilizzavo della “macchie” astratte per ripercorrere proprio il sentiero dell’astrazione, però in senso inverso: mentre agli inizi del Novecento artisti come Kandinskij e Klee erano partiti dalla realtà per poi allontanarsene, applicando su di essa una lente di tipo psicoanalitico o comunque legata a aspetti interiori, ad un “io” interno; io invece cercavo di riportare le forme astratte a qualcosa di vagamente riconoscibile, alla realtà.

Il cinema con Paolo Sorrentino

Il cinema è arrivato in anni più o meno recenti ed è un lavoro che mi ha dato grandi soddisfazioni, in cui ho potuto ancora un volta apprezzare il fatto di lavorare in gruppo e di crescere insieme ad altri. Io ho sempre portato avanti la mia attività di artista perché credo che quello sia il mio spazio di pensiero, dove mi confronto solo con me stesso. Però le coincidenze della vita mi hanno sempre portato ad apprezzare moltissimo il lavoro di squadra: così è iniziata la mia carriera, così ho avuto modo di confrontarmi col pubblico, di avere un “contesto” in cui esprimermi. In questo il cinema è diverso dal teatro: in teatro il lavoro cresce giorno dopo giorno e si plasma intorno agli attori, sulla scena, insieme col regista, con il disegnatore luci… Così è stato per esempio in “Le voci di dentro” di Eduardo, fatto da Toni Servillo. Mentre il cinema ti lascia poco spazio di pensiero, quando parte la macchina è inarrestabile per via dei costi che ha. La parte forse più bella per me sono quindi i sopralluoghi. Con Paolo (Sorrentino) abbiamo macinato chilometri in vespa alla ricerca, per esempio, delle location di “L’uomo in più”. Se non ricordo male, circa cinque mesi in cui lui ha letteralmente “aggiustato” la sceneggiatura in base ai luoghi che trovavamo e che ritenevamo perfetti per il film. Poi c’è stato “Le conseguenze dell’amore”, “L’uomo in più”… ma quello che ricordo come un lavoro davvero lungo, intenso ma gratificante è stato “Il Divo”: su quel set siamo davvero riusciti a lavorare come un’orchestra, tutti insieme, ed alla fine credo che il risultato sia di grande qualità".

La mostra in corso: "Ceramiche"

Negli spazi del Museo Duca di Martina, all’interno della Villa Floridiana di Napoli è stata recentemente inaugurata la mostra dal titolo "Ceramiche": trentuno lavori che ‘incontrano’ la preziosa collezione del  Museo Duca di Martina, nelle vetrine che accolgono la raccolta di Placido de Sangro, duca di Martina – una delle maggiori collezioni italiane di arti decorative. Lino Fiorito ha deciso di montare la sua mostra pensata e realizzata come una vera e propria installazione in cui la collezione permanente diventa parte del dialogo tra i linguaggi, proprio dell’arte contemporanea. Aperta fino al 22 giugno dalle 8.30 alle 14.00; martedì chiuso.

 

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