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Durante la conferenza stampa che ha preceduto la sua partecipazione al festival di Sanremo come conduttrice, la modella Bianca Balti aveva chiesto una sola cosa: di non essere trattata da malata. "Sono venuta in qualità di top model a indossare i miei vestiti, a fare competizione con Cristiano Malgioglio, ma non perché non voglio raccontare il dolore, purtroppo ovunque ci giriamo vediamo il dolore. Voglio essere stasera una celebrazione della vita, lo voglio vivere così", ha spiegato. Eppure, non appena ha messo piede sul palco dell’Ariston, Carlo Conti l’ha presentata come "soprattutto in questo periodo, una guerriera".
Bianca Balti ha scoperto di avere un cancro alle ovaie a settembre dello scorso anno, nonostante si fosse già sottoposta a una doppia mastectomia dopo il test per la mutazione del gene BRCA1. Non ha mai fatto mistero della sua malattia, che anzi ha deciso di vivere pubblicamente, raccontando anche l’impatto negativo sul lavoro di una professionista abituata a guadagnare col suo corpo e con la sua immagine. Si tratta di una scelta coraggiosa, non perché il coraggio sia un requisito indispensabile del malato o della malata, ma al contrario proprio perché nel momento in cui si decide di assumere su di sé questa nuova livrea, tutti si aspettano che tu ti comporti in un certo modo. Tutti si aspettano che ogni tuo comportamento o decisione sia soltanto una reazione alla malattia. La tua personalità si annulla e la tua vita viene ridotta a "una lotta". Il problema è che la vittoria o la sconfitta di questa lotta non dipende soltanto da te.
Bianca Balti ieri a Sanremo era la Bianca Balti di sempre, ironica e spigliata, con o senza cancro, non importa. È stata invitata così come ogni anno vengono invitate altre top model per sfoggiare abiti elegantissimi, cioè per fare il suo lavoro. Come ha detto lei stessa, non si tratta di ignorare l’elefante nella stanza o fingere che il dolore non esista o che possa essere superato con un sorriso, ma di celebrare la vita e realizzare un suo desiderio professionale. Purtroppo però oggi il discorso cominciato suo malgrado al festival prosegue sui giornali, che esaltano Bianca per aver partecipato “nonostante il dolore” o “dando a tutti una lezione”.
Come scrivono Mounia El Kotni e Maëlle Sigonneau nel libro Im/paziente. Un’esplorazione femminista del cancro al seno, mentre la medicina "ordinaria" si concentra su parole come "curare, guarire, seguire", in ambito oncologico il vocabolario diventa "lottare, vincere, insieme", come se si trattasse di una partita di calcio in cui le pazienti devono affrontare un calvario contro un avversario che sembra invincibile. Ma allo stesso tempo, si richiede a queste "guerriere" di apparire innocue e inoffensive, anche nell’aspetto, cioè di ripetere anche nella malattia il ruolo sociale che ci si aspetta dalle donne. E non è un caso se l’altro appellativo dato a Bianca Balti, dopo “guerriera” è stato “madre”.
La poetessa afroamericana Audre Lorde, cui fu diagnosticato un cancro al seno nel 1980, fu tra le prime a esplorare il tema della malattia dal punto di vista del genere, oltre che della razza. Nei suoi Diari del cancro, scrisse che le donne hanno imparato a rispettare più la paura che i propri bisogni perché sono abituate a guardarsi con gli occhi degli altri. Si ha paura di violare le norme imposte della femminilità, perché il prezzo da pagare è molto alto: derisione, esclusione, ma anche violenza. Quando in questo meccanismo si inserisce il cancro, è come se si fosse di fronte all’esame finale della femminilità dove si deve dimostrare di essere "vere donne", ed è proprio così che lo sguardo degli altri finisce col confondere l’arrendersi alla paura con il coraggio.
Arrendersi alla paura non significa rassegnarsi di fronte al decorso della malattia, ma accettare senza avere voce in capitolo il ruolo abilista della malata da compatire, che in questo modo sublima il suo essere “una vera donna”, qualsiasi cosa significhi. Carlo Conti infatti non ha esitato a dire che Bianca Balti rappresenta "un esempio per tutte le donne", frase a cui lei ha ribattuto saggiamente: "Soprattutto noi donne siamo d’esempio a molti uomini". Senza la malattia di mezzo, forse Balti non sarebbe stata nemmeno considerata come un esempio positivo, visto il suo passato sregolato e la sua personalità ribelle e anticonformista. È difficile pensare che Conti intendesse dire che Balti è un esempio in quanto donna indipendente e realizzata, in quanto professionista affermata, in quanto persona che è felice della sua vita. Probabilmente voleva dire che Balti è un esempio perché "nonostante la malattia" ha avuto l’ardire di mostrarsi in pubblico, non ha abdicato al suo "essere una vera donna", cioè al vestire con lustrini e diamanti.
La modella ha avuto la prontezza di ribaltare il ragionamento: non sono io che sono un esempio perché sono qui. Sono le donne che si fanno carico di tutto questo peso. E così la lezione Bianca Balti non l'ha data alle altre donne, ma allo sguardo pietista che le vorrebbe sempre e tutte uguali. Audre Lorde lo chiamava "il coraggio di rompere il silenzio", che poco ha a che fare con l’essere malate.
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