Un Grand Tour contemporaneo con Valerio Rocco Orlando
“The Reverse Grand Tour” è un progetto sui generis: è arte che parla del sistema dell’arte, che osserva e analizza dall’interno un apparato formativo e culturale tipico del contemporaneo, offrendo interessanti spunti di riflessione, con immagini di grande impatto estetico e altamente poetiche. I risultati di questo progetto hanno preso forma in una videoinstallazione e una serie di fotografie che Valerio Rocco Orlando (Milano, 1978) – alla sua prima esposizione in un’istituzione pubblica italiana – presenta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma fino al 28 aprile.
“The Reverse Grand Tour” riguarda la pratica – ormai diffusissima – delle residenze d’artista, pratica per la quale un artista viene ospitato, per un determinato periodo di tempo, da un museo, un’accademia o altro ente, che mette a disposizione atelier e strumenti per la creazione di opere d’arte. Si tratta dunque di programmi che stimolano la mobilità geografica degli artisti, il confronto e le relazioni tra gli autori e con curatori e critici, dando grande impulso alla ricerca.
Valerio Rocco Orlando – autore di installazioni, video, fotografie e libri d’artista – di residenze ne ha vinte, sia in Italia che all’estero. Nell’ultimo anno ha attuato una speciale ‘residenza itinerante’ che lo ha visto spostarsi da un quartiere all’altro di Roma, di volta in volta ospite di Accademie straniere, protagonista di un Grand Tour invertito: Roma non è più la destinazione principe, com’era nel Grand Tour sette-ottocentesco, ma diventa punto di partenza per un viaggio nelle Accademie internazionali. Real Academia de España, Istituto Svizzero, Deutsche Akademie, Circolo Scandinavo, sono i diversi istituti dove l’artista ha condotto le sue ricerche entrando in contatto con i colleghi stranieri e realizzando delle video-interviste incentrate proprio sul sistema di residenze, sul concetto di accademia, sulla sua attualità e le sue possibili evoluzioni.
Il risultato di questi colloqui è sorprendente dal punto di vista formale e contenutistico, perché poetico, profondo, intimo, ma anche didascalico, documentario e critico. La videoinstallazione che raccoglie le interviste agli artisti stranieri è un mosaico ordinato e coerente di “ritratti in movimento”, intensi primissimi piani dei diversi protagonisti che raccontano le proprie esperienze, le proprie idee e le proprie emozioni, come in un’intima “conversazione a più voci”, che riesce a catturare l’attenzione senza stancare l’osservatore, ma anzi coinvolgendolo empaticamente in quel momento confidenziale che l’artista sa creare con il suo interlocutore. La videoinstallazione incuriosisce per i temi critici affrontati e affascina per la bellezza delle immagini: infatti, nonostante il processo creativo per un’opera simile sia molto complesso – richiedendo un lungo lavoro di documentazione e raccolta di materiali, un’accurata selezione e una successiva riscrittura drammaturgica – il prodotto finale è asciutto e immediato, con primi piani in bianco e nero lucidissimi e puliti ed un montaggio molto comunicativo.
Altrettanto lucide e definite sono le “Vedute”, una serie di fotografie, anch’esse in mostra alla Gnam, che ritraggono gli interni degli studi d’artista delle Accademie e rovesciano volutamente il concetto tradizionale di ‘camera con vista’, rendendo protagonista non più il paesaggio visibile dall’atelier, ma lo studio stesso, ovvero il luogo della creazione artistica.
Valerio, che “con una telecamera e un treppiedi gira il mondo” – come afferma uno degli intervistati –, nei dialoghi con gli artisti indaga il mondo dell’arte proponendo riflessioni che incredibilmente sanno essere al contempo personali e universali, spunti critici sul sistema dell’arte da leggersi anche come meditazioni esistenziali: dall’eccessivo isolamento delle Accademie all’influenza del contesto lavorativo sulla ricerca artistica, dalla paura di non radicarsi in alcun luogo al timore di sacrificare la vita personale per quella professionale; in generale si parla del rapporto dell’artista con gli altri artisti, con l’Accademia, con il territorio, con la società. Ed emerge forte un bisogno di condivisione, scambio di idee, relazioni.
Si va delineando il ruolo di un artista attivo nella società, in rapporto con il pubblico e con il territorio: è questa la figura che Valerio propone, una figura che si interroghi sulle dinamiche umane, sociali, politiche, che le metta in scena, che le analizzi e che per questo abbia finalmente una funzione educativa. “L’arte e l’educazione sono sovrapponibili […] perché l’arte oggi deve rispondere a un bisogno di educazione”, sostiene l’artista, promotore attivo di una riconnessione dell’arte con la realtà e l’attualità. “Personale è politico”: Valerio l’ha scritto sui muri, con un neon verde, a ricordarci che non esiste individualità senza comunità, dimostrandoci anche che, nelle sue mani, politico è poetico.