Un addio lungo 127 pagine: “Catarsi”, ovvero Luz dopo Charlie Hebdo
"Il mondo è duro, Danny. Se ne frega.
Non ci odia, no, ma nemmeno ci ama.
Se ne frega di cosa ci succede."
Dimenticate le grandi manifestazioni di solidarietà, la corsa alla beneficenza più o meno lecita e strombazzata, il tam-tam sui social networks; soprattutto dimenticate quel Je Suis Charlie proclamato – a proposito e a sproposito – ai quattro venti e subito diventato hashtag, slogan, marchio registrato, merchandising.
La citazione di Shining con cui Rénald "Luz" Luzier apre "Catarsi" (ed. Futuropolis, in uscita in Italia per Bao Publishing, 16.00 €) non lascia adito a fraintendimenti: sulle sue tavole non c'è spazio per celebrazioni o paternalismi.
Catarsi è, soprattutto, un lungo e struggente canto d'addio; e come tutti gli addii porta con sé un enorme carico di rabbia, incredulità, dolore, senso di colpa. Un addio non solo agli amici e colleghi di Charlie Hebdo rimasti uccisi nell'attentato del 7 gennaio, ma anche alla vita, e al disegno (che per un disegnatore sono pressappoco la stessa cosa), così come l'autore li conosceva – e in essi si riconosceva – prima della tragedia.
Leggere Catarsi ti scaraventa, nudo e senza difese, in una dimensione in cui i piani narrativi, il tratto, gli stili si confondono e che riflette dolorosamente lo smarrimento del disegnatore e il suo cercare di mantenersi lucido, uscire dal caos, rimettere in ordine le proprie emozioni.
Una sorta di percorso terapeutico a fumetti, un training autogeno in cui il difficile ma necessario superamento del dolore per ricominciare a vivere, e quindi a disegnare, diventa il vero filo conduttore che lega tutte le tavole del libro: la tragedia di Charlie Hebdo resta sullo sfondo, ma non ne è la protagonista, benché evocata di volta in volta in modo cupo, delicato, malinconico, perfino ironico. Luz non raffigura fatti di cronaca, ma stati d'animo: ecco allora che le sagome nere degli attentatori armati si trasformano in nuvole minacciose o in ballerini che accennano passi di danza; il rosso del sangue delle vittime può essere una macchiolina sul foglio o crescere nelle allucinazioni e negli incubi fino ad invadere un'intera tavola, prima di ritrarsi come una marea e macchiarsi d'azzurro, il colore del cappotto con cui la compagna dell'autore, alla quale il libro è teneramente dedicato, lo raggiunge sul luogo dell'attentato e – nelle tavole a fumetti e nella realtà – lo allontana dai suoi demoni, proteggendolo da se stesso, tenendolo saldamente ancorato sul terreno rassicurante dell'amore, della vita quotidiana, del sesso.
Un racconto non sentimentale né cinico, che lascia spazio perfino all'irriverenza che da sempre caratterizza il lavoro di Luz e lo spirito di Charlie Hebdo: non mancano le prese in giro a giornalisti invadenti, epigoni improvvisati, complottisti della prima ora e perfino agli attentatori, protagonisti di un flashback a fumetti in cui, ancora bambini, imparano a disegnare insieme ad un giovane Luz invece di bisticciare tra loro; non viene risparmiato nemmeno il presidente Hollande, preso "di mira" da un piccione con problemi intestinali… proprio mentre esprime pubblicamente il suo cordoglio per le vittime dell'attentato.
La "catarsi" del titolo può dirsi raggiunta: gli omini occhiuti che popolano il fumetto cambiano e si trasformano di tavola in tavola insieme al loro autore, soffrendo, ridendo, rimpicciolendosi in poche linee o ingigantendosi con i grossi tratti della china, fino all'ultima pagina del libro; quello che verrà dopo – per Luz come per loro – è un'altra storia, ancora tutta da disegnare.