Umberto Eco, l’uomo che sapeva unire Gramsci e Batman
Quando negli anni Sessanta Umberto Eco combinò per la prima volta filosofia e cultura di massa, Kant e Charlie Brown, Superman e Nietzsche, in un saggio divenuto poi leggendario “Apocalittici e integrati”, le reazioni di sdegno del mondo accademico e culturale italiano furono molte e molto dure. Tanto che lo stesso autore a distanza di alcuni anni si tolse lo sfizio di ripubblicare il volume, che nel frattempo era diventato un cult book anche oltreoceano, inserendo nell’introduzione proprio quei commenti così duri e ottusi.
Già perché l’Italia culturale, dal dopoguerra fino alla prima metà degli anni ‘60, era fondamentalmente crociana, cattolica o comunista-marxista e per un intellettuale dedicarsi alla cultura di massa equivaleva a prendere le distanza dal dibattito in corso per spingersi in territori inesplorati. E così fece Eco che da autentico veggente seppe intuire ciò che molti non riuscivano nemmeno a immaginare, regalandoci riflessioni che sono oggi la Bibbia per chiunque voglia approfondire l’evoluzione della cultura europea e occidentale degli ultimi cinquant’anni.
Da “Diario minimo” (1963) in cui appare il famosissimo saggio “fenomenologia di Mike Buongiorno” l’idolo mediocre amato dalla masse ad “Apocalittici e integrati” (1964) di cui si diceva prima, un saggio che ridefinisce la geografia della cultura occidentale contemporanea e propone riflessioni legate al fumetto che poi proseguiranno in altri lavori come “Il superuomo di massa” (1976) dove il filosofo piemontese incrocia Gramsci, Nietzsche e Batman e categorizza le logiche della serialità dando un fondamento teorico utile tutt’oggi ad interpretare le nuove forme di serialità di massa come le serie tv.
Con “Il nome della rosa” (1980), suo primo romanzo che ha venduto oltre cinquanta milioni di copie in trent’anni, Eco diede libero sfogo alla sua passione per il medioevo (da giovane si era laureato con una tesi sull’estetica di San Tommaso) e per i libri, la sua anzi più che passione era una bibliofilia irrefrenabile. Non solo, in questo romanzo, che si svolge in un convento benedettino e cioè il luogo simbolo in cui è stata conservata e tramandata la cultura occidentale, Eco costruisce un intreccio giallo, altro genere che ha contribuito a codificare con analisi illuminanti, incentrato sul ritrovamento segreto del volume che Aristotele dedicò alla commedia, ritenuta appunto un genere “minore”.
Nel 1988 pubblica il suo secondo romanzo, “Il pendolo di Foucault” che è stato anche riveduto e aggiornato da lui stesso all’inizio degli anni 2000, e che mette in campo una quantità incredibile di personaggi in un intreccio articolatissimo eppure leggero, scorrevole, in cui entrano in gioco i Templari, i Miti Celtici, i culti egizi, i Vangeli Apocrifi, Hitler, Napoleone, insomma un gioco al solito coltissimo e appassionante.
Imprescindibile, facendo un balzo all’indietro, è il contribuito che Eco ha dato alla semiotica già a partire dagli anni Sessanta quando il dibattito su questa disciplina e sui suoi limiti era ancora agli inizi con saggi didattici come “Trattato di semiotica generale” a opere più incisive come “La struttura assente” che si poneva già il problema di una teoria semiologica unificata e criticava in modo assolutamente visionario quella che poi sarebbe stata definita la deriva strutturalista. Il tutto in anni in cui la sbornia per quel tipo di approccio era profondamente radicata in buona parte della cultura occidentale. Con questo saggio, tradotto in moltissime lingue, Eco ha letteralmente aperto mondi.
Gli ultimi anni li aveva dedicati per lo più a grandi opere enciclopediche, “Storia della bellezza” (2004) “Storia della bruttezza” (2010) e romanzi come “Il cimitero di Praga” (2010) e il recente “Numero zero” (2015). Era stato appena pochi mesi fa protagonista insieme a un manipolo di intellettuali guidati da Elisabetta Sgarbi dello scisma che li aveva portati a fondare una nuova casa editrice “La nave di Teseo” per non sottomettersi al nuovo gruppo unificato, la “Mondazzoli”. Si era reso anche protagonista di una polemica legata ai social networtk “che danno diritto di parola agli imbecilli” e in cui si intravedeva una venatura di “vecchio” in un pensiero, il suo, che è stato avanguardia e punto di riferimento imprescindibile per oltre cinquant’anni.