Buggerare
Buggerare, cioè truffare, ingannare, deriva dal latino medievale Bulgarus Bulgaro. In Bulgaria, fra il X e il XIII secolo, si sviluppò l'eresia bogomila, e così il bulgaro divenne l'eretico per antonomasia.
Come si può immaginare, degli eretici, specie in Italia, non si diceva un gran bene, e fra le qualità che si attribuivano loro con intento offensivo c'era anche quella di una spiccata inclinazione verso la sodomia (cioè l’amor carnale omosessuale). Che spiritosi, questi medievali, eh?
Come i più acuti avranno già intuito, il significato normale di ‘ingannare’ e ‘truffare’ che questa parola ha nasce dall’immagine raffinatissima del ‘metterlo in culo’ – espressione parimenti usata per indicare l’ingannare e il truffare.
Un'immagine tanto volgare quanto inossidabile, che ha attraversato i secoli con l'imperturbabilità di un olivo millenario.
Ma a chi mai parrebbe volgare esclamare che il venditore online ci ha buggerato? Anzi, penseremmo di esprimerci in maniera sofisticata. E in effetti, lo facciamo.
Bighellonare
Tutti sappiamo che bighellonare significa oziare, perdere tempo, e che il bighellone è il fannullone perdigiorno. È una parola che ci immaginiamo pronunciata da un’autorità per rimproverare qualcuno che non si dà abbastanza da fare: da una nonna, da un professore, da un datore di lavoro.
‘Bighellone’ è la variante comune del veneto ‘bigolone', accrescitivo di ‘bigolo', nome di una specie di grosso spaghetto della cucina veneta. In quanto spaghettone, il bigolo è diventato metafora popolare per il pene – quindi i significati di ‘bigolone' e ‘bighellone' sono degli esiti affini a quelli di ‘cazzone', così come quello di ‘bighellonare’ è affine a ‘cazzeggiare’.
Curioso come il gentile eufemismo (l’uso dello spaghetto per il genitale) ne abbia coperto del tutto l’origine, rendendo il bighellonare un verbo piuttosto ricercato – quasi aulico.
Caspita
Non so se qualche studioso si sia mai cimentato nella raccolta di tutte le esclamazioni che ci mette a disposizione la nostra lingua: esistono centinaia di forme con cui si può esprimere ogni tipo di sentimento, dall'ammirazione, allo stupore, alla meraviglia, al risentimento, all'impazienza. Alcune sono scurrili, altre no; ma esiste una zona grigia di esclamazioni che ne variano e addolciscono altre sicuramente scurrili.
Caspita altro non è che un’alterazione eufemistica di "cazzo”.
Ha una forma gradevole, che a nessun orecchio rivela la sua origine triviale, ed è normalmente percepita come una parola buona per grandi e per piccini ("caspiterina"), per la famiglia, per il gruppo di amici e per l'accademia (chi si vergognerebbe a dire "caspita" davanti a un professore? Io l’ho detto decine di volte). Tutta la distanza che separa questa esclamazione dalle sue colleghe di origine meno volgare ("perbacco", "diamine", "accidenti") viene superata dalla grazia della sua maschera.
La volgarità non è un concetto assoluto. Si può parlare di sesso e cacca in maniera fine, così come si può parlare di amore e virtù in maniera triviale. La volgarità è l’assenza di pensiero. E le antonomasie storiche, e le metafore e gli eufemismi sono tutti esercizi di pensiero. Se non credevi che “buggerare”, “bighellonare” e “caspita” fossero parole volgari, facevi bene a non crederlo: nascono dal basso, ma volgari non sono.