Traduce la Divina Commedia in latino: l’impresa di un medico in pensione
Nel 1303 Dante Alighieri inizia a scrivere (in latino) il famoso trattato “De Vulgari Eloquentia”, per difendere l'idea, inusuale all'epoca, che la lingua cosiddetta “volgare” potesse assumere i caratteri di lingua letteraria e venire usata per fare poesia. Ma Dante fece molto di più: la Divina Commedia. Un'opera prodigiosa, scritta interamente nella lingua del “volgo”, la lingua nuova. Ma oggi, qualcuno è riuscito nell'ardua impresa di andare contro la volontà di Dante e di tradurre la sua Commedia in latino.
Il signor Antonio Bonelli, medico in pensione, ci ha lavorato per anni, tutti i giorni, tre ore la mattina e tre ore il pomeriggio. E alla fine ci è riuscito: ha tradotto l'intera Divina Commedia in latino, la stessa lingua che Dante aveva rifiutato. Prima di lui ci avevano provato l'abate Gaetano della Piazza e il letterato Giuseppe Pasquali Marinelli, nell'Ottocento.
Ex specialista di chirurgia pediatrica e cardiotoracica all'Ospedale dei Bambini di Milano, ma appassionatissimo di letteratura e di latino, il signor Bonelli ha all'attivo già una piccola produzione di saggi, oltre alla pubblicazione di un romanzo, un volume di racconti e una raccolta di sonetti. Una passione che ben presto è divenuta a tutti gli effetti un “lavoro”: per completare la sua traduzione infatti, Bonelli ha impiegato ben tre anni. Questa nuova versione, interamente tradotta in latino, è stata pubblicata dal Centro Tipografico Livornese con il titolo di “Dantis Alagherii Comoedia”.
I problemi di traduzione
Tre anni, tutti i giorni, tre ore la mattina e tre ore il pomeriggio: una costanza e un impegno unici, per portare a termine un'impresa che sembrava iniziata quasi per gioco, “per passare il tempo”. Un'impresa che si è però rivelata fin da subito molto complessa: molti sono infatti i problemi che Antonio Bonelli ha dovuto fronteggiare nella trasposizione dall'italiano volgare al latino.
Troppi, i neologismi da reinventare: la Divina Commedia è piena di verbi inventati da Dante stesso, che per ironia della sorte, li “tradusse” dal latino. Antonio Bonelli si è impegnato nell'operazione opposta: è così che verbi come “indonna”, “disuna”, “inluia” sono diventati “indonuit”, “disunat” e “inluit”. Antonio Bonelli non si è perso d'animo, di fronte ad un impresa che a raccontarla ha dell'incredibile: ha studiato per anni il modo migliore di rendere la sintassi, la grammatica, la costruzione della frase e soprattutto, cosa più difficile di tutte, la metrica.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona…” è diventato “Amor, qui nullo amato parcit, tantam…”, e la famosissima terzina iniziale, che tutti noi conosciamo a memoria, si è trasformata in “Media aetate, bona deerta fruge, in obscura silva me inveni”. Certo, il latino avrà il suo fascino, ma il suono originario di queste parole è incomparabile.