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“Tiresia”, lo scandaloso diario erotico di Jouhandeau, tradotto in Italiano

“Tiresia” di Jouhandeau, tradotto per la casa editrice Marchese, racconta senza pudori la vita sessuale dell’autore, scrittore classico del Novecento francese, ancora poco conosciuto in Italia.
A cura di Luca Marangolo
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In un dialogo con Moravia, nei Comizi d’amore, Pasolini chiese allo scrittore romano come definire il concetto di scandalo ed ebbe una risposta interessante:

 “Gli uomini veramente di profondo senso religioso non si scandalizzano mai, non credo Cristo si scandalizzasse, si scandalizzavano i farisei” (in Comizi d’amore, Pier Paolo Pasolini, 1964)"

Ci interessa  questo legame fra la profondità del senso religioso (del senso religioso,  ancor più che della fede, va da sé) e la percezione dello scandalo. Chi ha vero senso religioso non si scandalizza. Se c’è una cosa che emerge dalla nuova, interessante traduzione di Tiresia di Jouhandeau, e che val la pena indagare, è appunto il nesso inscindibile fra il senso religioso e la percezione dello scandalo.

Il personaggio in questione, Marcel Jouhandeau, è ancora poco conosciuto in Italia, ma lo si può ben dire un classico oltralpe. L’Adelphi ha già dedicato due belle edizioni di Cronache maritali (1996) e Tre delitti rituali (1999) a questa contraddittoria figura: omosessuale, profondamente cattolico e condizionato dall’amore per una donna, la moglie Elise; voce queer nel contesto conformista degli anni Cinquanta, eppure antisemita, tendenza, questa, in seguito rinnegata, ma l'ombra turpe del collaborazionismo lo accompagnò sempre e gli costò un grande isolamento in vita. Oggi Jouhandeau è ampiamente letto e conosciuto in Francia, ma della vasta produzione di uno dei più eccentrici letterati del Novecento francese solo quanto tradotto da Adelphi, finora, esisteva nel nostro mercato librario. Un mercato fatto di grandi e piccole realtà  a volte incapaci di comprendere quanto giovi l’audacia.

E così, per ritrovare uno degli Écrits secrets di Jouhandeau, ci rivolgiamo ad una giovane casa editrice partenopea, la Marchese, che fa parte di quel due per cento di editoria piccola e  piuttosto misconosciuta, ma d’interesse proprio per la sua attenzione a titoli inediti e di pregio, politica che sottintende la comprensione del valore dell’ogetto culturale come premessa al valore di mercato.

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Il lettore, se lo vorrà, potrà addentrarsi nella prospera prosa di un journal, un diario di incontri omosessuali raccontati in prima persona dall’autore, con una scrittura esplicita e al contempo metaforica, che tradisce in questa natura paradossale ciò che la rende più interessante, forse, di altre forme di letteratura erotica novecentesche, come ad esempio Tropico del Cancro (1934) di Henry Miller. Tale paradosso vive nella continua tensione mistica che sublima la descrizione degli incontri amorosi in immagini nette, plastiche e forti le quali però, pur astratte, è come se gridassero ‘guarda’ ‘ascolta’,  ‘vivi’ ciò che sono portate per loro natura a rendere rarefatto: incontri sessuali fra due uomini che avvengono in uno spazio sospeso dove la voce del protagonista sembra farla da padrone, e le parole si possono abbandonare ad un godimento esplicito ma ostinatamente raffinato.

La natura paradossale di una scrittura che vive fra la sublimazione per godimento di uno stile, una sintassi elegante e, viceversa, la natura esplicita, estremamente esplicita di ciò che viene narrato, per scorci, in questo libretto, ci rivela appunto la relazione segreta che c’è fra il fervore religioso e la negazione dello scandalo. Il rapporto con la sessualità di quest’autore è quasi religioso e la sessualità, come viene detto anche nella prefazione, è prima di tutto una forma di conoscenza. Conoscenza che però gode di se stessa, come una piccola perversione. Ed in questo è simile alla religione: l’autore sembra costantemente ribadire l’importanza che ha per lui ciò che narra, cercando di elevarlo a qualcosa di sacro, cruciale per l’esistenza e tradendo un tono talora supplichevole con cui chiede al lettore di condividere con lui, almeno per via letteraria, quest’esperienza.

In appendice al libro, oltre ad un saggio audace di Giuseppe Merlino, uno dei più qualificati francesisti italiani, il lettore potrà trovare anche un paio di articoli, un botta e risposta, fra un numero dell’osservatore romano del 1954 e  lo stesso Jouhandeau, il quale difende il suo lavoro proprio rilevandone la tensione conoscitiva, quasi etica.

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Proprio nel  momento storico in cui anche nello stato di diritto francese entra la possibilità dei matrimoni omosessuali possiamo meglio apprezzare i risultati di questa esplorazione etica, di cui il diario erotico di Jouhandeau è sicuramente una piccola testimonianza che si inserisce in una tradizione più vasta: dal Thomas Mann di Morte a Venezia alla sottilissima analisi delle perversioni sessuali e omoerotiche di Marcel Proust, fino a Pasolini. La letteratura omosessuale vive da sempre la scrittura come un simulacro dell’esperienza, un mezzo per capire, amplificare, esplorare un’affannosa tensione verso la propria identità.

E l’idea della scrittura come immagine di se stessi da poter esplorare e sublimare si concreta nel titolo, Tiresia, indovino ermafrodita,  che dà a se stesso lo scrittore, Jouhandeau, già incline a manifestare la doppiezza del suo atteggiamento nei confronti del sesso con altri due storici pseudonimi piuttosto espliciti: Théophile e Godeau.

L’ottima traduzione di Ornella Tajani, già vincitrice del prestigioso premio Monselice, restituisce l’elemento più prezioso del testo e cioè la raffinatezza della scrittura: sebbene Tiresia sia solo una piccolissima testimonianza dalla ampia produzione di Jouhandeau, questa edizione ci ricorda che esistono ancora molti classici inediti ingiustamente dimenticati.

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