Susanna Tamaro si confessa: “Ho la sindrome di Asperger, la mia sedia a rotelle invisibile”
Uscirà il prossimo 20 settembre in tutte le libreria per Solferino il nuovo libro di Susanna Tamaro, intitolato "Il tuo sguardo illumina il mondo". Una lettera all'amico e poeta Pierluigi Cappello, scomparso nel 2017. Sul Corriere della Sera oggi in edicola c'è un'anticipazione del nuovo libro di Susanna Tamaro, che con questo volume rompe il silenzio dopo anni e racconta cosa vuole dire vivere ogni giorno soffrendo della Sindrome di Asperger. L'autrice di "Va dove ti porta il cuore" parla di questa malattia come della
mia invisibile sedia a rotelle, la prigione in cui vivo da quando ho memoria di me stessa. La mia testa non è molto diversa da una vecchia motocicletta. (…) Basta un minimo rumore, un evento imprevisto e dentro di me si scatena il disordine. E con il disordine la disperazione. Sbatto allora la testa contro il muro. «Non capisco più niente!» ripeto, gridando. Tutto in me si fa buio. Non so più da che parte cominciare a rimettere tutto a posto.
Il libro di Susanna Tamaro "Il tuo sguardo illumina il mondo" (Solferino, pp. 208, euro 16,50 in libreria, euro 14 in edicola)" sin dal brano anticipato oggi sembra essere un vero e proprio memoir in cui la scrittrice parla della "pazzia intravista già all’asilo" e del modo in cui sono costrette a vivere tutte le persone che soffrono della Sindrome di Asperger, disturbo pervasivo dello sviluppo, imparentato con l'autismo, che tuttavia non presenta compromissione dell'intelligenza, della comprensione e dell'autonomia, a differenza delle altre patologie classificate in questo gruppo, ma che tuttavia può rendere fortemente invalidante la vita di chi ne soffre.
Vivevo — e continuo a vivere — in un mondo che è solo mio. E questo mondo ha leggi che nessun altro è in grado di capire. All’epoca della mia infanzia simili disturbi non si conoscevano. Nel migliore dei casi venivo considerata una bambina strana, prigioniera di una timidezza patologica. Non dormivo, non parlavo, non guardavo mai negli occhi. Tutta la vita ho lottato contro la complessità dei miei disturbi, contro gli enormi ostacoli che disseminavano — e continuano a disseminare — nei miei giorni. Per decenni mi sono colpevolizzata per non riuscire a essere come gli altri, per non essere in grado di affrontare cose che le altre persone consideravano normali. Avendo una profonda capacità introspettiva, non riuscivo a capire dove fosse il punto di frattura. Ero perfettamente consapevole di tutti i grandi traumi e di tutte le carenze della mia infanzia, eppure non riuscivo a trovare in questi la luce capace di illuminare i miei disturbi.
Dopo l'infanzia, racconta la Tamaro sempre nel brano estrapolato dal suo volume in uscita il 20 settembre, l'età adulta. "Verso i quarant’anni – racconta – i disturbi si sono aggravati e così è iniziato il mio girovagare tra i neurologi. Alcuni problemi erano riconducibili a un importante trauma cranico avuto nell’infanzia, ma tutto il resto?" che impone regole, riti, buone maniere, ma che tuttavia lascia un spazio, un margine entro cui riaffiora la malattia.
Ora lo posso dire. Provo una stanchezza quasi mortale. Sessant’anni di finzione senza essere un attore. I gesti normali delle persone, quelli che vengono compiuti quasi inconsapevolmente, per me sono dei piccoli Everest quotidiani. Conquiste faticose, che avvengono tutte in un riservato silenzio. Andare al ristorante, incontrare persone nuove in ambito professionale, fare o ricevere una telefonata, dormire in albergo in una camera che non conosco, prendere un treno pieno di gente, affrontare le ore di prigionia di un aereo.