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Sulla soglia dell’eternità: perché il nuovo film su Van Gogh è a sua volta un’opera d’arte

Il 3 gennaio arriva sul grande schermo “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità”, il lungometraggio che racconta gli ultimi anni dell’artista olandese, e che ha già riscosso un enorme successo di pubblico e di critica. Un successo per nulla scontato quando ci si confronta con una vicenda umana e artistica come quella di Vincent Van Gogh e con i suoi capolavori: ma il film di Julian Schnabel è anch’esso un capolavoro.
A cura di Federica D'Alfonso
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Un frame tratto dal film "Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità" in uscita al cinema il 3 gennaio.
Un frame tratto dal film "Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità" in uscita al cinema il 3 gennaio.

Domani, 3 gennaio, uscirà nelle sale italiane Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità, il già pluripremiato film diretto da Julian Schnabel, con Willem Dafoe nei panni del celebre pittore olandese. La pellicola racconta gli ultimi due anni di vita che Vincent Van Gogh trascorse in Provenza: dapprima ad Arles, poi presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Remy e infine a Auvers-Sur-Oise, dove l’artista troverà la morte nel 1890. Non è la prima volta che un lungometraggio prova a raccontare la tragica esistenza del “suicidato dalla società”, come lo ha definito Artaud in uno dei suoi saggi più celebri: ma è sicuramente la prima volta che un film, riuscendo a raccontare quel sublime abisso nascosto dietro l’arte, si trasforma esso stesso in un capolavoro.

Julian Schnabel: l’artista che racconta Van Gogh

Sono in tutto 16 le pellicole, dai lungometraggi ai film di animazione, che hanno raccontato sul grande schermo la complicata vicenda esistenziale di Vincent Van Gogh: il primo in assoluto fu “Brama di vivere” di Vincente Minnelli, nel 1956, e l’ultimo in ordine di tempo è stato “Loving Vincent”, del duo Kobiela-Welchman, nel 2017. Grazie anche al cinema, di Van Gogh abbiamo visto tutto: il forte legame con il fratello Theo, la difficile amicizia con Gauguin, la mutilazione dell’orecchio e il mistero che avvolge ancora la sua morte.

Ma mai nessun film era riuscito a trasformare in immagini l’intangibile, il non detto: ciò che ha avvicinato il fragile uomo nascosto dietro il mito alla pittura. Non è un caso che il riferimento fondamentale di Schnabel sia stato proprio Antonin Artaud con la sua profonda e sentita riflessione sulla vicenda umana ed esistenziale di Van Gogh: l’isolamento e il tormento interiore di Vincent fanno da sfondo alla grande protagonista del racconto che è, in ultima analisi, la pittura.

E non è un caso che a riuscire a raccontare quel sentimento del dolore e del sublime, che insieme fanno scaturire l’arte, sia stato proprio un altro artista: perché Julian Schnabel, classe 1951, è egli stesso un pittore. Schnabel è considerato uno degli artisti più interessanti del panorama newyorkese: ha all'attivo decine di mostre personali nei più grandi musei del mondo, oltre a numerose opere esposte al Moma di New York, al Centre Pompidou di Parigi, alla Tate Gallery e anche in Italia, al MAMbo di Bologna e al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.

In questo film Schnabel ha scelto di raccontare, per sua stessa ammissione, la sua personalissima reazione dinanzi ai quadri di Van Gogh: la pellicola non è infatti una biografia, né un semplice racconto degli ultimi anni di vita di un uomo, bensì una lunga esperienza attraverso i colori, i paesaggi e le sensazioni racchiuse in alcuni dei capolavori più famosi di sempre. Non sentiremo le parole che Van Gogh disse, né vedremo i gesti che compì: nonostante la ricostruzione fedele fatta attraverso i diari e le lettere al fratello Theo, ascolteremo e vedremo invece ciò che accade quando un uomo, qualunque uomo, supera i propri limiti per giungere, attraverso la propria sofferta esperienza di artista, alle soglie dell’eternità.

Sulla soglia dell’eternità c'è un vecchio che soffre

Van Gogh, "Sulla soglia dell'eternità" (1890), Museo Kröller-Müller, Otterlo.
Van Gogh, "Sulla soglia dell'eternità" (1890), Museo Kröller-Müller, Otterlo.

Nel 1890, mentre si trova a Saint-Rémy, che Van Gogh dipinge la tela da cui, non a caso, è ispirato anche il titolo del film. Durante il suo soggiorno in Provenza, prima ad Arles e poi ad Auvers-sur-Oise, in poco più di due anni Van Gogh realizza centinaia di tele: fra queste grandi capolavori come “La camera di Vincent”, dipinta nell’ottobre del 1888, la “Notte stellata”, realizzata mentre si trova nell'ospedale psichiatrico nel 1889, e numerosi paesaggi come i campi di ulivi e i campi di grano.

Ma in questo quadro, conosciuto anche con il titolo di “Vecchio che soffre” l’artista ci ha lasciato la testimonianza forse più importante di cosa abbia voluto dire, per lui, trovarsi “sulla soglia dell’eternità”: nei colori ad olio si rispecchia un uomo probabilmente ormai giunto alla fine della vita, con le mani sul viso, e con accanto un fuoco che non lo scalda più. Un fuoco che per tutta la sua esistenza lo aveva accompagnato e che, nel film di Schnabel, si riaccende più vivido che mai.

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